Lai Ching-te, vicepresidente di Taiwan e candidato alle presidenziali di gennaio 2024 per il partito di maggioranza, è in viaggio negli Stati Uniti. “Se Taiwan è sicura, il mondo è sicuro. Se sullo Stretto di Taiwan c’è pace, nel mondo c’è pace”, ha dichiarato durante un evento a New York.
Nuovo stress test sullo Stretto di Taiwan. Il vicepresidente taiwanese, Lai Ching-te, sta effettuando un viaggio tra Stati Uniti e Paraguay che rischia di riaccendere le tensioni tra Taipei e Pechino. Il tutto un anno dopo la visita di Nancy Pelosi a Taiwan, che diede il via alle più vaste esercitazioni di sempre intorno all’isola. Da allora, le manovre di jet e navi dell’Esercito popolare di liberazione oltre la linea mediana, il confine sullo Stretto non riconosciuto ma ampiamente rispettato sino ad agosto 2022, si sono moltiplicate e si svolgono su base pressoché quotidiana.
Il viaggio non è una novità assoluta ed era anzi atteso da tempo. Si tratta infatti dell’undicesima volta che un vicepresidente taiwanese effettua un transito negli Stati Uniti, la seconda per Lai che era passato da queste parti nel gennaio del 2022 sulla strada dell’Honduras, dove aveva assistito alla cerimonia d’insediamento di Xiomara Castro. La presidente honduregna ha poi deciso nei mesi scorsi di rompere le relazioni diplomatiche con Taipei, per stabilire quelle con Pechino.
I paesi rimasti ad avere rapporti ufficiali con la Repubblica di Cina, il nome con cui Taiwan è indipendente de facto, sono rimasti 13. Tra questi il Paraguay, dove Lai si reca lunedì 14 al termine del primo transito a New York. Martedì 15 è in programma la cerimonia di insediamento del neo presidente Santiago Peña, che vincendo le elezioni dei mesi scorsi ha allontanato le possibilità che anche Asuncion possa abbandonare Taiwan, come chiedeva invece uno degli altri candidati.
Il profilo del viaggio di Lai appare però più basso rispetto a quello del 2022. C’è un dettaglio, infatti, che rende più delicato che mai il suo transito dagli Stati Uniti: Lai non è solo il vicepresidente, ma anche il candidato alle presidenziali del 2024 per l’attuale forza di maggioranza, il Partito progressista democratico della presidente Tsai Ing-wen. Non è certo strano che un candidato taiwanese si presenti negli Stati Uniti. Anzi, è una sorta di tradizione.
Gli stessi rivali di Lai al voto di gennaio prossimo lo hanno fatto o lo faranno. Ko wen-je, sindaco di Taipei e attualmente secondo nei sondaggi con il suo Taiwan People’s Party, è stato a Washington nei mesi scorsi. Hou Yu-ih, il candidato del Kuomintang (il partito nazionalista cinese, dialogante con Pechino), dovrebbe andarci a settembre.
Ma per Pechino, con Lai è un’altra storia. Intanto perché è già la seconda carica della politica taiwanese. E poi perché viene ritenuto un “secessionista”. Questo soprattutto per alcune sue dichiarazioni passate, in cui si era raffigurato come un “lavoratore per l’indipendenza di Taiwan”. Cosa ben diversa dal riconoscere e dire di voler tutelare la sovranità de facto di Taiwan come Repubblica di Cina, la posizione ufficiale di Tsai e dello stesso Lai, che ha molto smussato la sua retorica e le sue esternazioni sulle relazioni intrastretto da quando è vicepresidente. Ma a Pechino ricordano che nel 2019, il detestato partito di maggioranza (per il suo mancato riconoscimento del cosiddetto “consenso del 1992”, che riconosceva l’esistenza di una unica Cina pur, dice il Kuomintang, senza stabilire quale) fu sull’orlo della scissione per i contrasti tra l’ala radicale di Lai e quella più moderata di Tsai.
Proprio per questo, Lai sta cercando di veicolare un’immagine di continuità sia sul piano interno sia durante il suo viaggio. “Se Taiwan è sicura, il mondo è sicuro. Se sullo Stretto di Taiwan c’è pace, nel mondo c’è pace”, ha detto durante il discorso alla comunità taiwanese di New York, a cui ha presenziato Ingrid Larson, direttrice generale dell’Ufficio di Washington dell’American Institute in Taiwan (di cui incontrerà la presidente Laura Rosenberger nel secondo transito di San Francisco).
Le direttrici del suo discorso sono state in linea con Tsai: disponibilità al dialogo con il Partito comunista, ma tutela della sovranità de facto di Taiwan come entità non subordinata alla Repubblica Popolare, entro la cornice della Repubblica di Cina e senza indipendenza formale. Presente anche il capo dello staff di Tsai, Lin Chia-lung per ribadire la pretesa di continuità con l’ex rivale all’interno del partito. Una necessità, dopo alcune esternazioni delle scorse settimane che avevano destato qualche timore sulla riedizione di un periodo Chen Shui-bian, il primo presidente eletto col Dpp nel 2000 e non apprezzato dagli Usa per la sua imprevedibilità. Caratteristica che ora renderebbe tutto più pericoloso, visto che la Repubblica Popolare Cinese non è certo quella di 20 anni fa.
Lai vuole presentarsi come garante dello status quo, che nonostante le attuali tensioni a diverse componenti degli Usa (con l’amministrazione Biden che si professa comunque neutrale sul voto taiwanese) sembrerebbe più appetibile rispetto a un ritorno del Kuomintang, che invece veniva quasi apertamente sostenuto dall’amministrazione Obama fino al 2012.
Il profilo del viaggio di Lai è stato finora piuttosto basso. A New York non sono stati annunciati incontri con nessun componente dell’amministrazione Biden o del Parlamento. In Paraguay non potrà imbattersi nella vicepresidente Kamala Harris, com’era invece accaduto in Honduras nel gennaio 2022. Tra i repubblicani statunitensi c’era chi aveva chiesto che la vicepresidente incontrasse Lai, una possibilità di cui si è parlato molto anche a Taipei. Ma alla fine Biden ha mandato ad Asuncion (dove un incontro con Lai sarebbe stato meno sensibile che durante i due transiti negli Usa) la segretaria degli Interni, Deb Haaland. Mercoledì 16 agosto previsto il transito a San Francisco, proprio la città dove dovrebbe recarsi a novembre Xi Jinping per il summit dell’Asia Pacifico. Non è ancora chiaro chi vedrà in questo caso Lai, che si fermerà solo per mezza giornata prima del rientro a Taipei.
Pressoché certa la reazione di Pechino. Domenica 13 il ministero degli Esteri cinese ha definito Lai un “piantagrane”, ha detto di “monitorare attentamente” i suoi transiti negli Stati Uniti e che verranno prese “misure forti e risolute a tutela della sovranità nazionale e integrità territoriale”. Ampiamente attese nuove esercitazioni militari intorno a Taiwan. Non certo quelle di routine lanciate sabato 12 nel mar Cinese orientale, al largo della provincia dello Zhejiang e a più di 500 chilometri a nord di Taiwan. No, è probabile che ci sia una finestra temporale per svolgere esercitazioni più o meno ampie dopo il transito di Lai a San Francisco e prima della partenza di Xi per il Sudafrica, dove sarà il 22 agosto per il summit dei Brics.
I funzionari taiwanesi si aspettano possibili manovre aeree e/o navali nei pressi delle 24 miglia nautiche dalle coste, che segnano l’ingresso nelle acque contigue. Quello delle 24 miglia è il limite che è stato lambito dai mezzi di Pechino già ad agosto 2022 e nei mesi scorsi, ma oltre cui non si è mai andati. Attenzione anche alla possibile estensione delle ispezioni a bordo delle navi in passaggio sullo Stretto annunciata in alcune zone dal Fujian lo scorso aprile, e poi non messe in atto in modo stringente.
La sensazione è però che la reazione militare possa essere in qualche modo contenuta. Soprattutto se, come pare, Lai terrà un basso profilo durante il doppio passaggio negli Usa. Un po’ come accaduto ad aprile, quando Tsai incontrò lo speaker del Congresso Kevin McCarthy in California. In quell’occasione Taipei messe in atto una sorta di “male minore” per Pechino: incontro con McCarthy sì, ma negli Usa invece che a Taiwan. Invito al compromesso che fu colto per effettuare manovre sì vaste ma non tanto quelle dell’agosto 2022 dove la visita di Pelosi non aveva contenuto nessun segnale di compromesso, nemmeno nei suoi più piccoli dettagli.
In vista delle elezioni di gennaio 2024, manovre troppo forti potrebbero rivelarsi un boomerang per il Partito comunista, che senz’altro utilizzerà comunque la vicenda e il suo malcontento che non mancherà di dimostrare più volte anche a parole come leva negoziale (in senso ampio e non su Taiwan dove un negoziato è impossibile) nei dialoghi in corso con Washington per organizzare il viaggio di Xi a San Francisco.