Un anno perso ha significato la rinuncia di molte star ma è l’occasione di lancio per molti giovanissimi che l’anno scorso non avrebbero avuto l’età e l’esperienza
Chiudete gli occhi e pensate alle Olimpiadi come le avete sempre viste: vi scorreranno le immagini del mondo che scende in campo, avrete davanti a voi stadi pieni di colori, tifosi che arrivano da ogni nazione e riempiono le strade di buonumore, l’allegra pattuglia di volontari che si agita e permette il funzionamento di una macchina imponente, il villaggio olimpico come luogo di mescolanza e socializzazione, confronto e confusione tra l’eroe con al collo una collezione di medaglie d’oro e l’apolide senza una bandiera che dopo mille lotte per la propria vita è riuscito a mettere piede nel paradiso dello sport.
Ora apriteli, perché Tokyo2020 (il nome è lo stesso, anche se è passato un anno) non sarà quasi niente di tutto questo.
Le Olimpiadi spogliate di ogni abito olimpico sono un’altra cosa. Senza pubblico straniero, con gli spettatori contati e solo giapponesi, con un’organizzazione ancora da testare in un paese che ha paura e, un po’, fa paura. Perché in Giappone si sono vaccinati in pochissimi (a fine giugno solo il 4% della popolazione), la pandemia non è stata affrontata con una strategia chiara e il Paese che si preparava ad accogliere 40 milioni di persone ora i Giochi non li vuole più, li sopporta appena, non vuole avere gente di cui non conosce l’anamnesi tra i piedi.
Un anno fa il rinvio, inevitabile: il mondo era chiuso in casa, impaurito, in molti casi ammalato e niente poteva mettersi in moto. Lo sport, fermo, pagava un altro dazio assistendo al disperdersi di ciò che lo alimenta: la visibilità, quella creata dalle imprese che rende possibile la sopravvivenza di chi non ha ricavi faraonici. L’arrivo dei soldi degli sponsor rende grande chi vive da “minore” l’agonismo di tutti i giorni. Con il rinvio dei Giochi il conto è diventato salato. Esistono, infatti, sportivi che aspettano quattro anni per prendersi la scena, qualche copertina, una medaglia e gli onori conseguenti. Sport che non sono ricchi e che renderebbero fiero De Coubertin, perché non è del tutto vero che vincere non sia importante, ma in un’Olimpiade partecipare può bastare ad avere benefici e gloria. Per loro un anno in più è stato un problema: altri dodici mesi passati a nuotare sott’acqua in attesa dell’emersione. In più, se lavori quattro anni per un obiettivo, hai un programma di allenamento scadenzato, che devi rivedere all’improvviso. E in mezzo si mettono l’età, la fatica, le scelte. Per molti può diventare un’occasione definitivamente persa.
Queste Olimpiadi arrivano in fondo a un periodo reso ancor più strano dalla ripartenza dopo il lockdown, che ha condensato molti impegni (si doveva recuperare il perduto e poi riprendere più o meno normalmente). E ha ridotto i tempi di riposo, reso la stagione faticosa per chi deve cominciare a dosare le energie. E quindi deve scegliere tra un’Olimpiade senza appeal e altre competizioni o altre forme di popolarità, parlando degli sportivi più noti, più esperti e più in vista. A Tokyo, ad esempio, ci sarà il Dream Team del basket Usa, ma non Lebron James: anche per le stelle avere 36 anni non è come averne 35. In più Lebron ha deciso di non spremersi e ha scelto di dedicarsi alla promozione di Space Jam 2, il seguito del film storico che aveva Michael Jordan nel cast, che negli Usa va nelle sale dal 16 luglio. «Giocherò per la Tune Squad quest’estate, ci prepareremo a sconfiggere i MonStars, o la Goon Squad visto che ora si chiamano così», ha detto annunciando la sua pausa agonistica estiva mentre schivava i cinque cerchi.
Per capire il contrasto tra una stagione straordinariamente intensa e le star che badano al fisico da tutelare serve leggere con attenzione il post con cui lo spagnolo Rafa Nadal, uno dei più forti tennisti del mondo (e l’unico ad avere vinto l’oro alle Olimpiadi sia nel singolare, nel 2008, che nel doppio, nel 2016) ha annunciato di rinunciare ai Giochi di Tokyo. Nadal ha 35 anni e scrive di aver ascoltato il suo corpo: “Ho capito che è la decisione giusta per estendere la mia carriera sportiva”. Ha scelto di rinunciare anche a Wimbledon, di concentrarsi sugli Us Open di fine agosto perché gli impegni diventati troppo ravvicinati sono un’insidia: “Il fatto che ci siano solo due settimane tra Roland Garros e Wimbledon quest’anno non ha aiutato il mio corpo a riprendersi (…). In questi momenti della mia carriera di atleta, una parte importante è la prevenzione di qualsiasi tipo di eccesso nel mio corpo”. Troppe gare tutte insieme, ma c’è anche un fantasma evocato, nella spiegazione del dispiacere: “I Giochi Olimpici – scrive − hanno significato molto nella mia carriera e sono sempre stati una priorità, lì ho trovato l’ambiente in cui ogni atleta vuole sentirsi almeno una volta”.
Il punto è che quell’ambiente non sarà quello che si troverà quest’estate: al Villaggio Olimpico, una volta una sorta di mini-stato in cui tutto era bellissimo e viverci era il sogno di ogni atleta, ci si muoverà tra regole ferree e controlli: bisognerà dichiarare ogni spostamento, cenare da soli, saranno vietate escursioni in città, proibite le contaminazioni sociali. L’insolita tradizione delle distribuzioni di centinaia di migliaia di preservativi agli atleti, per incoraggiare il sesso sicuro all’interno del villaggio, “inaugurata” nel 1988 a Seul, sarà mantenuta ma con la raccomandazione di non usarli, portarli a casa per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’Hiv. Nel villaggio niente contatti a nessun costo, nemmeno chiacchierate in ascensore, altrimenti multe, squalifiche, persino revoca delle medaglie. Il terrore del contagio rende inospitale ciò che rendeva uniche le Olimpiadi, decine di migliaia di atleti dovranno vivere quasi da prigionieri, per evitare un gigantesco focolaio.
Giorgia Cardinaletti, giornalista del Tg1 che con Mario Clementi sarà a Tokyo per raccontare quello che c’è intorno e dentro le Olimpiadi, mi racconta di “un vademecum molto dettagliato, con regole per i tamponi, per la vita “in bolla”, le aree da frequentare e le cose da evitare”. Però rimane un appuntamento con la storia: “E questo andrà raccontato – continua la Cardinaletti −: saranno dei Giochi unici, un’edizione irripetibile. C’è una vita pre Covid e poi c’è quella post Covid, ammesso che si sia giunti a questo punto, che passa anche attraverso una manifestazione così grande. E queste Olimpiadi rappresenteranno proprio la ripartenza di tutto lo sport. È anche il senso di quel 2020 che c’è ancora nel nome: è come se si stesse recuperando quell’anno in cui tutto è stato fermo, compresi gli atleti. Saranno da raccontare, quindi, le emozioni e le complessità”.
“Saranno delle Olimpiadi difficili – mi dice Valentina Vezzali, pluricampionessa olimpica e ora sottosegretario allo sport −, perché i giapponesi hanno una politica di quasi solo contenimento e vogliono evitare i contagi con moltissime restrizioni. Le vedremo, dall’esterno, diverse dal solito, ma vi posso garantire che gli atleti potrebbero anche non accorgersene, perché nel momento in cui si accende la fiaccola si accende anche lo spirito olimpico”. Valentina Vezzali ora è un esponente del Governo, ma prima di fare il grande salto nelle istituzioni ha vinto sei ori olimpici e un’infinità di altre medaglie altrove. A Londra 2012 è stata la portabandiera azzurra e sa cosa vuol dire, nonostante tutto, vedere i cinque cerchi da vicino: “Sono il sogno che hai quando sei bambino, il premio al lavoro da ragazzi, quando devi tenere insieme lo studio e l’amore per lo sport. Sono il traguardo massimo di una vita di sacrifici. Per molti che cercano la luce attraverso lo sport le Olimpiadi sono questo ed è il motivo per cui dico che molte difficoltà verranno dimenticate una volta partiti”. Ciò che inciderà, probabilmente, sarà la preparazione cambiata al volo con il rinvio dell’estate scorsa.
Qui Valentina Vezzali torna atleta per un momento: “Chi arriva alle Olimpiadi non sempre attraversa ponti d’oro. Anzi, molto spesso si allena in situazioni difficili, in palestre in cui piove dentro, o cambia quattro voli per una trasferta dall’altra parte del mondo. È spinto solo da grandi motivazioni. E anche cambiare programma di allenamento è faticoso: hai lavorato con una scadenza davanti e poi te l’hanno spostata, quindi hai dovuto rifare tutto. Ma sono convinta che, proprio per lo spirito di adattamento di cui parlavo, anche questo può diventare un ostacolo superabile”.
In un anno possono accadere molte cose: Tania Cagnotto, la tuffatrice europea con il maggior numero di podi olimpici, pensava di tornare sul trampolino nell’estate del 2020, ma di fronte al rinvio non ha voluto rimandare il progetto personale di una nuova maternità, e quindi si è fatta da parte, lasciando senza Olimpiade anche la sua compagna di sincro Francesca Dallapè. C’è un figlio anche sulla strada del campione del mondo di ciclismo, il francese Julian Alaphilippe: diventato papà ha deciso di restare vicino alla famiglia e a quel punto di scegliere un solo obiettivo per questa parte di stagione, preferendo il Tour de France di fine giugno alle Olimpiadi di luglio e non provando nemmeno a sovrapporre le cose.
Oppure un anno in più può permettere di sognare quello che prima era impossibile. Benedetta Pilato, baby fenomeno del nuoto italiano, nel 2020 aveva quindici anni e già aveva vinto un argento ai Mondiali. Ma nei 50 metri rana (di cui nel frattempo è diventata detentrice del record del mondo e campionessa europea), che non sono specialità olimpica. Lo sono, invece, i 100 metri. La cosa non vuol dire che basta raddoppiare lo sforzo, perché c’è un passo diverso e una tecnica da modificare non poco, quasi fosse un altro sport. La Pilato sarà a Tokyo proprio perché è passato un anno: “È il rinvio ad avermi dato questa opportunità – mi dice −. Un anno fa per me non sarebbe stato possibile qualificarmi, perché la mia specialità non è ammessa. Allora ho sfruttato quest’anno in più per allenarmi sui 100 e sono riuscita a prepararmi in tempo, ottenendo anche la qualificazione alle Olimpiadi, che è la più grande delle ricompense per i miei sacrifici”.
Quando si sono disputati i Giochi di Rio, gli ultimi prima di Tokyo, Benedetta aveva undici anni, ora arriva con un bel po’ di Italia che non nasconde le speranze riposte sul suo talento così giovane: “Me l’avessero detto a undici anni che le Olimpiadi successive le avrei disputate anche io forse avrei riso moltissimo. Invece ci sono e provo a non caricarmi di aspettative, anche se ogni giorno che passa sento la pressione salire”.
E chissà dove sarebbe arrivata Larissa Iapichino, saltatrice in lungo e figlia di Fiona May, per la quale il tempo ha giocato a favore prima e contro poi: a diciannove anni aveva approfittato del rinvio per interrogarsi e cambiare allenatore, scegliendo di essere allenata dal padre Gianni, che aveva già portato sua moglie Fiona fino all’argento olimpico a Sidney. Ma tra Larissa e i Giochi si è messo un mese di troppo: agli Assoluti di Rovereto si è infortunata e ha dovuto annullare il suo viaggio in Giappone, dove comunque è facile prevedere la carica degli ex adolescenti, che hanno guadagnato un anno, ciò che le stelle più grandi non potevano permettersi.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
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Un anno perso ha significato la rinuncia di molte star ma è l’occasione di lancio per molti giovanissimi che l’anno scorso non avrebbero avuto l’età e l’esperienza