Con il cessate-il-fuoco, ora Israele e Palestina devono ricostruire le macerie sociali e politiche, minate da una inconsistenza politica e da infiltrazioni fondamentaliste
Con il cessate-il-fuoco, ora Israele e Palestina devono ricostruire le macerie sociali e politiche, minate da una inconsistenza politica e da infiltrazioni fondamentaliste
Minori partecipano al funerale dei palestinesi uccisi durante i combattimenti israelo-palestinesi, in seguito alla tregua Israele-Hamas, a Khan Younis, nella striscia meridionale di Gaza, 21 maggio 2021. REUTERS/Ibraheem Abu Mustafa
Cessati i lanci di razzi, fermati i raid israeliani, oltre a contare vittime e danni, nelle aree interessate dall’ultima serie di scontri tra Israele e i gruppi di Gaza, ma anche nei paesi vicini e lontani coinvolti nella questione, si comincia a ragionare su quanto successo. L’ultimo poderoso round di combattimenti che in undici giorni ha fatto oltre 250 vittime in entrambi gli schieramenti, ha lasciato più macerie di quanto non abbiano fatto razzi e bombardamenti.
Sia Israele che la Palestina devono ricostruire le macerie sociali e politiche, minate da una inconsistenza politica e da infiltrazioni fondamentaliste che ne scuotono le istituzioni dal profondo, così come la loro stabilità sociale. Se, come prevedibile, dal punto di vista bellico Israele ha inflitto una sconfitta fin troppo gravosa sia ad Hamas che alla Jihad Islamica Palestinese, distruggendo gran parte delle centinaia di chilometri di tunnel sotterranei usati come rifugio dai capi di Hamas e per trasferire armi e altro, uccidendo molti dei loro leader, lo Stato ebraico ha riscoperto di essere vulnerabile al fondamentalismo. La questione irrisolta della società israeliana nella quale, anche a causa di leggi varate non da molto, è molto ampia la frattura fra le comunità ebraica e araba, ha dimostrato nei giorni della guerra di Gaza tutta la fragilità del Paese.
Il fronte interno è sicuramente anche più preoccupante di quello esterno, in particolare quello di Gaza. Non a caso, anche quando sono cessate le armi e le sirene antirazzo, non sono finiti gli scontri tra gli arabi e la polizia israeliana nel luogo simbolo di tutto, quella spianata delle moschee che rappresenta le aspirazioni di Israele e della Palestina di controllare Gerusalemme. E gli scontri sarebbero anche “normali”, in un periodo certamente non facile anche dal punto di vista economico di una minoranza che già subisce una serie di torti, se non fossero fomentati dall’odio fondamentalista e dalla propaganda che Hamas è riuscita a insinuare nella società israeliana. Sin dal primo giorno delle rivolte e della guerra, oltre 11 giorni fa, sulla spianata e per le strade della città vecchia di Gerusalemme, così come per le strade delle città miste israeliane dove è scoppiata la rivolta tra arabi ed ebrei, le bandiere verdi di Hamas hanno accompagnato proteste, slogan e marce, scatenando la reazione veemente di polizia e civili ebrei.
La propaganda di Hamas
Hamas, sin dall’inizio, si è accreditata come unica vincitrice della situazione, come unica forza a difesa dei palestinesi, come sola forma di resistenza all’occupazione. La sua mossa di accerchiamento di Israele che, partita da Gaza l’ha vista conquistare Ramallah e la Cisgiordania, l’ha portata ultimamente a manifestarsi fortemente anche all’interno del Paese della stella di Davide, in particolare a Gerusalemme. Un affronto per il Governo ebraico che ha opposto l’unica arma conosciuta, la forza, per reprimere il tutto.
Non importa se il teatro fossero le strade o la spianata: impensabile lasciare terreno alla propaganda di Hamas. Organizzazione questa che, non appena accettato il cessate-il-fuoco, ha moltiplicato per Israele la sua propaganda di vittoria. I leader internazionali che hanno espresso il loro plauso e soddisfazione per la fine delle ostilità, invocando ora una svolta politica, dovranno realizzare che bisogna fare i conti con una Hamas sempre più forte e rappresentativa. Se nel 2007 sono riusciti a contenerne il potere con la decisione di Abu Mazen, il grande assente di questo periodo, di estromettere l’organizzazione di Gaza dalla guida del Governo dopo le elezioni vinte l’anno prima, questa volta sarà ancora più difficile. E scendere a patti con Hamas significa legittimarne metodi, idee (come la distruzione dello Stato di Israele) e, soprattutto, protettori e padrini. A cominciare dall’Iran, convitato di pietra in tutta la questione.
È indubbio che Hamas abbia vinto la sua battaglia politica in questo round. L’avrebbe vinta anche si fossero tenute le elezioni palestinesi che, con la complicità di tutti, Abu Mazen ha cancellato (nessuno crede alla favola del rinvio). In questo ultimo caso, l’avrebbe vinta senza il troppo pesante bilancio di vittime. Anche Benjamin Netanyahu ha vinto la sua battaglia. Incapace di formare un Governo con i suoi ex delfini, ha assistito alla fine di fatto del tentativo del centrista Yair Lapid di formare una coalizione estremamente allargata che, dalla sinistra dei laburisti e di Meretz, arrivasse fino alla destra (con posizioni più radicali del Likud) di Yamina, New Hope e Israel Beitenu, passando anche per i partiti della Lista Unica dei partiti arabi. Con loro, anche il fuoriuscito Ra’am, che si era avvicinato pure a Netanyahu. Ma nessuno di questi partiti arabi sembra riuscire a intercettare il dissenso dei giovani della comunità arabo-israeliana, soprattutto gerosolimitana, nei quali si fanno sempre più largo sentimenti anti ebraici e anti israeliani. Il tutto, con buona pace di Bibi e del suo pugno duro. Non a caso gli ultimi scontri sono sì avvenuti durante il suo mandato governativo, ma mentre governava come Primo Ministro in carica in attesa che gli altri formassero una vera coalizione di Governo senza e contro di lui. Dopotutto, dal 2014, dall’ultima grande guerra con Gaza prima di questi giorni, Netanyahu ha governato ininterrottamente e Israele ha sperimentato un lungo periodo di stabilità e tranquillità, che si sono tradotte in significative affermazioni elettorali a ogni tornata.
Con il cessate-il-fuoco, ora Israele e Palestina devono ricostruire le macerie sociali e politiche, minate da una inconsistenza politica e da infiltrazioni fondamentaliste
Cessati i lanci di razzi, fermati i raid israeliani, oltre a contare vittime e danni, nelle aree interessate dall’ultima serie di scontri tra Israele e i gruppi di Gaza, ma anche nei paesi vicini e lontani coinvolti nella questione, si comincia a ragionare su quanto successo. L’ultimo poderoso round di combattimenti che in undici giorni ha fatto oltre 250 vittime in entrambi gli schieramenti, ha lasciato più macerie di quanto non abbiano fatto razzi e bombardamenti.
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