Dopo l’annuncio a Montevideo restano molte questioni irrisolte. Forte l’opposizione in Europa e in America Latina, ma le condizioni geopolitiche non sono mai state migliori.
L’accordo raggiunto la scorsa settimana a Montevideo tra l’Unione Europea e il Mercosur, volto alla creazione di una delle zone di libero commercio più rilevanti al mondo, continua a suscitare accesi dibattiti su entrambe le sponde dell’Atlantico. Del resto, era già evidente che qualunque dichiarazione emersa durante il summit del Mercosur sarebbe stata più che altro un modo per riaffermare l’interesse a concludere i negoziati, dato che il percorso verso un vero e proprio accordo di libero scambio resta ancora lungo e complesso.
Partiamo dai fatti. Durante il 65º incontro dei presidenti del Mercosur, un’istanza che riunisce semestralmente i capi di Stato di Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay (e, dall’anno scorso, anche la Bolivia, che però non è inclusa nell’accordo UE-Mercosur poiché non faceva parte del blocco durante i negoziati), Ursula von der Leyen ha dichiarato concluse le negoziazioni per un trattato di libero scambio con i paesi sudamericani a nome dei 27 membri dell’Unione Europea. Questo rappresenta già di per sé un dato rilevante e si inserisce nella strategia della Commissione Europea per aggirare il veto imposto da alcuni paesi, come la Francia (i cui agricoltori temono da anni una sorta di “invasione” di prodotti agricoli latinoamericani), la Polonia (principale produttore avicolo dell’UE, che teme la concorrenza di pollame sudamericano con standard sanitari meno rigorosi) e l’Austria.
È vero, però, che il testo annunciato a Montevideo è diverso da quello negoziato negli ultimi 25 anni, pre-accordato nel 2019 e poi bloccato dall’opposizione di diversi parlamenti europei. Tra le novità, è stata inserita una clausola che vincola l’accordo al rispetto del Patto di Parigi sul Clima, obbligando le parti a aderire a tale impegno per continuare a beneficiare del libero scambio tra i due blocchi. Inoltre, i paesi firmatari si impegnano a interrompere il disboscamento entro il 2030, una disposizione chiaramente rivolta ai governi sudamericani. Sebbene in molti dubitino della reale fattibilità di questa misura, essa fornisce ai parlamentari europei un argomento per controbattere le critiche legate alle questioni ambientali. L’UE, dal canto suo, ha promesso di destinare 1,8 miliardi di euro nell’ambito del progetto Global Gateway per favorire la transizione verde nei paesi del Mercosur.
“Le condizioni che abbiamo ereditato erano inaccettabili; era necessario incorporare nell’accordo questioni di grande rilevanza per il Mercosur”, ha dichiarato il presidente brasiliano Lula da Silva durante il suo intervento al summit di Montevideo, riferendosi al pre-accordo del 2019. Secondo Lula, il testo concordato la settimana scorsa è “moderno ed equilibrato, riconosce le credenziali ambientali del Mercosur e rafforza il nostro impegno verso gli accordi di Parigi. Siamo riusciti a preservare i nostri interessi nel settore degli appalti pubblici, il che ci consentirà di implementare politiche pubbliche in aree come la sanità, l’agricoltura familiare e la scienza e tecnologia”.
Il Brasile si è dimostrato uno dei sostenitori più entusiasti del nuovo accordo. Lula stesso ha spinto con forza per riprendere i negoziati durante i preparativi del summit del G20 di Rio de Janeiro, tenutosi a novembre. Secondo le stime ufficiali, l’accordo potrebbe generare per il Brasile un incremento di 130 miliardi di dollari all’anno nel proprio PIL.
Rispetto al testo del 2019, sono state introdotte modifiche significative riguardanti la gradualità dell’entrata in vigore dell’accordo. L’UE avrà a disposizione 10 anni per eliminare i dazi sull’importazione di tutti i beni industriali prodotti nel Mercosur. A sua volta, il Mercosur porterà a zero le tariffe sull’82% delle importazioni provenienti dall’Europa, inclusi automobili (attualmente soggette a un’imposta del 35%), autoricambi (18%) e prodotti farmaceutici (14%).
Per quanto riguarda i prodotti agricoli, settore particolarmente delicato per i produttori europei, sono state ricalibrate le quote di esportazioni a dazi zero che il Mercosur potrà destinare all’UE. Ad esempio, metà delle importazioni di carne bovina dal Mercosur (circa 100.000 tonnellate metriche, pari all’1,5% del consumo di carne dell’UE) potranno entrare con una tariffa doganale speciale del 7,5%. Quote specifiche sono state inoltre concordate per pollame, carne suina, zucchero, riso, etanolo, miele e mais. Sul fronte opposto, i formaggi europei potranno entrare nel Mercosur con tariffe azzerate fino a un massimo di 30.000 tonnellate metriche, insieme a latte in polvere, vino – di cui l’Argentina è uno dei principali produttori mondiali –, olio d’oliva, cioccolato e frutta fresca. I paesi sudamericani, inoltre, riconosceranno 357 denominazioni d’origine europee, un aspetto particolarmente rilevante per l’Italia.
Infine, l’accordo consentirà all’UE di importare metalli e terre rare, riducendo così la propria dipendenza dalla Cina, e aprirà un mercato importante nel settore dei servizi, in particolare per telecomunicazioni e trasporti marittimi.
Ecco una versione più chiara e scorrevole dei paragrafi, con tutte le informazioni preservate:
In questo scenario, il Mercosur aprirebbe un canale preferenziale per i prodotti europei, riducendo le attuali barriere doganali estremamente elevate e mettendo l’UE in una posizione di vantaggio per competere contro i rivali statunitensi e giapponesi nel mercato sudamericano. Questa decisione è stata fortemente influenzata dal ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, il principale partner commerciale dei paesi latinoamericani insieme alla Cina. L’approccio protezionista previsto per gli Stati Uniti rischia infatti di aggravare ulteriormente le difficoltà economiche del Cono Sud. Un ulteriore fattore determinante è la presenza, per la prima volta, di quattro governi favorevoli all’accordo: in passato, se non era la sinistra argentina dei Kirchner o di Alberto Fernández a ostacolarlo, era l’estrema destra brasiliana di Jair Bolsonaro a bloccarne l’avanzamento. Anche il bisogno della nuova Commissione Europea di presentare risultati concreti nel più breve tempo possibile e la necessità strategica dell’Occidente di contenere l’espansione cinese in America Latina hanno accelerato i negoziati.
Tuttavia, il cammino verso la ratifica dell’accordo resta complesso. La strategia della Commissione Europea di dividere il testo in due parti, per evitare che una minoranza di paesi membri (Francia e Polonia a cui potrebbero aggiungersi Austria, Olanda e Irlanda) blocchi l’intero processo, richiede una delicata ingegneria politico-istituzionale, proprio in un momento in cui a Bruxelles il consenso è tutt’altro che abbondante. Tutto dipenderà dalle garanzie che la Commissione riuscirà a fornire ai paesi ancora incerti, il cui dissenso potrebbe nuovamente far naufragare l’accordo. Anche in Sudamerica, nonostante l’apparente consenso tra i quattro paesi membri, potrebbero emergere ostacoli. La politica estera di Javier Milei, orientata a un allineamento incondizionato con Washington e ostile alle agende ambientali o con prospettiva di genere, come l’Agenda 2030 e le Conferenze sul Clima dell’ONU, potrebbe creare imbarazzo al governo argentino prima ancora che l’accordo venga approvato. Anche in Brasile, la sinistra ha preso le distanze dai termini del trattato sostenuti da Lula. Secondo La Via Campesina, uno dei più grandi coordinamenti di piccoli produttori agricoli al mondo, l’accordo rappresenta “una ricolonizzazione europea dei paesi del Mercosur, che rafforza il modello storico di monocoltura agroesportatrice”. L’organizzazione ha promesso di organizzare grandi mobilitazioni sia in Europa che in America Latina. Insomma, l’ottimismo che ha accompagnato l’annuncio di un accordo sembrerebbe, a priori, motivato più dal bisogno di entrambi i blocchi di riordinare e consolidare la propria linea di politica estera che da concreti indizi di fattibilità dell’area di libero scambio.