L’Unione europea e gli Stati membri, in affanno tra l’aggressivo vicino e l’esigente partner storico, oscillano tra europeismo e atlantismo
A metà febbraio la sensazione prevalente tra gli analisti era che in Ucraina sarebbe potuto succedere di tutto, anche niente. Le tensioni che si sono addensate su Kiev negli ultimi mesi del 2021 e soprattutto nei primi del 2022 potevano infatti sia scaricarsi a terra nel modo più devastante, con un’invasione russa, sia rimanere nell’empireo delle prove di forza astratte.
Gli sviluppi di metà febbraio sembravano indicare una sorta di via di mezzo, con la Russia pronta a intervenire per “difendere” la popolazione russa che abita nelle province sud-orientali dell’Ucraina – in particolare nel Donbass, dove si trovano le due autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk –, se mai ci fosse un casus belli adeguato. Il timore americano era che questo casus belli potesse essere inscenato proprio dai russi o dai filo-russi con un’operazione di false flag, per fornire un pretesto al Cremlino per attaccare.
Le ragioni della Russia e degli Stati Uniti
Ma questo era solo lo scenario più probabile al momento, non in assoluto (come si è visto): ancora a inizio febbraio sembrava che la diplomazia potesse tornare protagonista e che un accordo tra Mosca e Washington fosse alla portata. Considerato che la principale origine delle tensioni – il mancato accordo tra Russia e Occidente sugli assetti geopolitici in Est Europa, con la richiesta di fermare l’allargamento della Nato e di smilitarizzare in parte i confini orientali dell’Alleanza – era stata un fallimento della diplomazia, non si poteva escludere che le ragioni di un accordo che evitassero il peggio potessero risorgere improvvisamente. Ma specularmente non si potevano escludere sviluppi più drammatici di un intervento russo limitato alle regioni orientali, come ad esempio un’invasione su larga scala. Se infatti il Cremlino ha ritenuto di avere da perdere, in termini di sanzioni economiche e isolamento internazionale, tanto a conquistare Donetsk quanto a conquistare Kiev, non si vede perché avrebbe dovuto scegliere la prima opzione.
In questo scenario precedente la decisione di Mosca di attaccare, vale la pena soffermarsi sulle ragioni di fondo degli attori sul campo: Stati Uniti, Russia ed Europa. La Russia, dopo le tensioni in Bielorussia del 2021 e il sempre più marcato avvicinamento di Kiev all’Occidente, e soprattutto dopo il ritorno alla Casa Bianca di un’amministrazione ostile nei confronti di Mosca dopo la parentesi di Donald Trump, si è sentita probabilmente ricacciare nell’angolo in cui era finita nel 2014.
All’epoca, infatti, la reazione della Russia alla perdita di fatto dell’Ucraina – annessione illegittima della Crimea e sostegno alla guerriglia separatista nel Donbass – ebbe come conseguenza un duro isolamento internazionale e sanzioni economiche. Putin riuscì ad uscire dall’angolo negli anni successivi, sfruttando prima le indecisioni mediorientali di Obama e poi la postura meno aggressiva dell’amministrazione Trump. Ma quella parentesi favorevole per la Russia sembra essersi conclusa e le recenti decisioni di Putin – a partire dall’aver ammassato oltre centomila uomini al confine ucraino – testimoniavano verosimilmente l’intenzione di preferire una nuova stagione di crisi e di sanzioni a un logoramento costante della sfera di influenza russa in Europa.
E veniamo così agli Stati Uniti. Perché Washington è così restia a dare a Mosca rassicurazioni sull’espansione della Nato verso Est? L’indisponibilità americana a dare queste garanzie si può leggere in diversi modi. Poco plausibile la difesa del principio dell’autodeterminazione dei popoli (chiedere ad esempio a cileni e iraniani, che dal secolo scorso hanno appreso qualche lezione in proposito), più realistica la tesi secondo cui con l’aumento delle tensioni con la Russia l’amministrazione americana voglia rivitalizzare una Nato considerata cerebralmente morta (copyright Emmanuel Macron, 2019) ancora pochi anni fa, indebolire ulteriormente la Russia e riguadagnare lo smalto e l’immagine di forza persi con il disastroso ritiro dall’Afghanistan. E non solo.
La posizione dell’Ue e degli Stati membri
Arriviamo così all’Ue: che posizione prendono l’Unione e i suoi Stati membri rispetto alla crisi, e poi guerra, in Ucraina? La prima, più importante, considerazione da fare è che ad oggi l’Ue ancora non esiste come soggetto in grado di avere una propria politica estera e militare comune. Le discussioni sulla creazione di un esercito europeo hanno ripreso slancio negli ultimi mesi ma ad oggi ancora il traguardo sembra lontano. Tuttavia se l’Ue vorrà un domani diventare un attore geopolitico forte e autonomo, alcune decisioni deve cominciare a prenderle fin da subito. Da un lato non può subire un allargamento a Est dell’Alleanza deciso dagli americani senza chiedere garanzie e porre condizioni. Agli Stati Uniti, banalmente per ragioni geografiche, non sembra infatti interessare avere Stati cuscinetto in Europa con la Russia. Gli Stati Ue potrebbero legittimamente avere delle sensibilità diverse. Dall’altro lato, se l’Ue vuole un domani essere ritenuto da tutti i suoi Stati membri l’attore geopolitico principale e il garante dei loro confini, non può dare già oggi la sensazione agli Stati membri dell’Est Europa che la loro sicurezza sia barattabile in cambio di accordi vantaggiosi con Mosca.
Se così fosse, Varsavia, Tallin e Vilnius – ad esempio – continueranno a volere la protezione americana piuttosto che quella europea per i propri interessi e per i propri territori. Se poi l’Unione europea, quando in futuro si fosse dotata di una politica estera e di una politica di difesa comuni, volesse mantenere con la Nato un rapporto buono ma non simbiotico, si porrà il problema di avere due attori (Ue e Nato) che operano nella stessa regione con geometrie variabili di Stati partecipanti e con agende diverse. Uno scenario probabilmente poco gradito alla Casa Bianca.
Ma mentre l’Ue decide che cosa vuol fare da grande, i suoi Stati membri sanno che non possono prescindere dalla protezione militare americana e se da Washington arriva la richiesta di assumere determinate posizioni nei confronti di Mosca sul dossier ucraino, le principali capitali europee – chi più, chi meno – si allineano, almeno formalmente. Il gioco che devono giocare gli Stati membri dell’Ue è un esercizio di equilibrismo tra il non compromettere le future evoluzioni che si auspicano per l’Unione e il preservare il rapporto speciale con gli Stati Uniti.
Ma le sensibilità degli Stati Ue a tal proposito sono molto diverse. In Est Europa – con l’eccezione dell’Ungheria, su posizioni più filo-russe – come detto, sono schierati con convinzione dalla parte della Nato e degli Stati Uniti (e, nei confronti del rafforzamento dell’Ue come entità sovranazionale, hanno dimostrato negli anni recenti segnali di insofferenza). La Francia tende a marcare la propria distanza rispetto all’agenda di Washington – la proposta di “finlandizzare” l’Ucraina non è stata bene accolta negli Stati Uniti – anche se non se ne smarca completamente. Berlino a sua volta sembra combattuta tra l’esigenza di dimostrarsi un alleato totalmente affidabile per gli Usa e tutelare i propri interessi economici ed energetici. Roma sembra ai margini della partita ma potrebbe essere una cartina tornasole interessante da osservare per capire gli sviluppi della possibile divergenza tra europeismo e atlantismo.
Questo groviglio che sono la realtà e le prospettive della politica estera degli Stati europei e dell’Unione europea, ovviamente, interroga anche gli altri attori della partita. La Russia ha dimostrato di avere uno scarso interesse a parlare con gli europei e vuole trattare direttamente con gli americani. Questo risponde sicuramente alla realtà attuale, per cui gli europei non sono artefici della propria sicurezza e non hanno una politica estera e di difesa autonoma rispetto a quella americana. D’altro canto è anche vero che la maggior disponibilità europea a concedere alla Russia delle garanzie, valutata positivamente al Cremlino, non compensa il danno strategico che Mosca subirebbe dall’eventuale nascita in futuro di un’Unione europea militarmente forte e autonoma.
Gli Stati Uniti poi hanno (quasi) sempre detto di vedere con favore un rafforzamento militare dell’Europa. Ma se a Washington potrebbe interessare un’Europa forte, di sicuro non interessa un’Unione europea autonoma. Di qui l’esigenza di rivitalizzare la Nato, aumentare la tensione con la Russia e tenere viva l’esigenza per gli Stati europei di fare affidamento sulla protezione americana. Un debito questo che può essere poi speso dagli Usa su molteplici tavoli, a partire da quello dei rapporti con la Cina.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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Gli sviluppi di metà febbraio sembravano indicare una sorta di via di mezzo, con la Russia pronta a intervenire per “difendere” la popolazione russa che abita nelle province sud-orientali dell’Ucraina – in particolare nel Donbass, dove si trovano le due autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk –, se mai ci fosse un casus belli adeguato. Il timore americano era che questo casus belli potesse essere inscenato proprio dai russi o dai filo-russi con un’operazione di false flag, per fornire un pretesto al Cremlino per attaccare.