Mirziyoyev non aveva veri oppositori, gli altri tre candidati, di facciata, sono rimasti per lo più in silenzio. Solo Xidirnazar Allaqulov, ex rettore di università, era ritenuto un possibile avversario. Ma le autorità hanno bloccato la sua candidatura e i suoi tentativi di fondare un partito
Shavkat Mirziyoyev ha vinto le elezioni presidenziali in Uzbekistan. L’ufficialità è arrivata lunedì 10 luglio, quando la commissione elettorale ha annunciato i risultati preliminari del voto del giorno precedente. Ma in realtà questa frase poteva essere scritta nello stesso momento in cui sono state indette le elezioni, cioè dopo un referendum costituzionale che spiana la strada a due nuovi mandati presidenziali per Mirziyoyev, al potere dal 2016.
Il leader ha vinto le elezioni del 9 luglio con l’87,1% dei voti. Dei circa 20 milioni di elettori, si è presentato alle urne più o meno il 70%. Proprio l’affluenza era ritenuta un indicatore importante per dare legittimità a un voto in cui Mirziyoyev non aveva veri oppositori. Lungo tutta la campagna elettorale, gli altri tre candidati sono rimasti per lo più in silenzio. Un po’ per l’oscuramento da parte dei media, molto perché di fatto sono stati considerati da diversi osservatori internazionali come candidati di facciata. Xidirnazar Allaqulov, un ex rettore di università, era ritenuto un possibile avversario serio. Ma il suo tentativo di candidarsi è stato ostacolato e le autorità hanno bloccato gli sforzi di Allaqulov di fondare un suo partito.
Mirziyoyev è a capo della Repubblica ex sovietica dell’Asia centrale dalla morte del suo storico leader Islam Karimov. Ascesa effettuata dopo aver occupato il ruolo di premier dal 2003. Nel suo primo mandato presidenziale, ha operato diverse riforme, attirando l’attenzione mondiale di chi ha intravisto nel suo Uzbekistan un possibile esempio di apertura nella regione dell’Asia centrale. A Mirziyoyev va il merito di aver eliminato il lavoro forzato nei campi di cotone, di aver aperto il Paese al turismo e agli investimenti e di aver concesso una libertà, seppur limitata, ai media.
Ma quello che non è mai cambiato è l’ecosistema politico dell’Uzbekistan. E il secondo mandato del Presidente ha visto sprazzi di ritorno al recente passato autoritario, forse anche a causa degli effetti collaterali della guerra in Ucraina. I critici hanno sottolineato, tra le altre cose, la repressione dei disordini delle minoranze nella regione autonoma del Karakalpakstan nel luglio 2022.
Nei mesi scorsi il passaggio più critico, con la riforma costituzionale che prevedeva un’estensione dei mandati presidenziali da 5 a 7 anni e l’azzeramento delle presidenze passate. Un referendum ha approvato la riforma col 90% dei voti. Ciò consente a Mirziyoyev di aggirare il vincolo dei due mandati. Dopo l’approvazione del referendum, sono state indette elezioni anticipate, visto che il secondo mandato del leader avrebbe dovuto concludersi solo nel 2026. Il nuovo mandato di Mirziyoyev scadrà così nel 2030, con la possibilità di un suo prolungamento fino al 2037. Questo significa che ora il Presidente ha la strada spianata e soprattutto un lunghissimo periodo di tempo a disposizione per costruire quello che ha già definito “nuovo Uzbekistan“, che i critici sostengono, però, rischi di assomigliare molto a quello vecchio.
La base della legittimità sarà ricercata ancora una volta su due direttrici: crescita economica e sicurezza. Nel 2022, il Pil uzbeko è cresciuto del 5,7%, col Paese che ha attirato circa 10 miliardi di dollari di investimenti. Oltre tre volte quelli di cinque anni prima. Come tanti altri leader dell’area, Mirziyoyev si presenta poi come l’uomo in grado di garantire stabilità in una regione ancora esposta a diverse turbolenze. Basti pensare alle frequenti ribellioni in Kirghizistan o alla rivolta del gennaio 2022 in Kazakistan.
La speranza degli attivisti è che quantomeno, avendo messo in sicurezza la sua presa politica, Mirziyoyev possa operare alcune delle aperture promesse sul fronte dei diritti. In particolare la revisione del codice penale, che continua a ritenere un crimine il sesso consensuale tra due persone dello stesso sesso. Richiesta a gran voce anche una facilitazione delle regole di registrazione per le organizzazioni non governative, così come per la libertà di protesta.
Ma la sensazione è che il sistema politico uzbeko sia destinato a restare simile a quello di Karimov ancora per diverso tempo. Il tutto in un’Asia centrale che continua a mostrare tendenze autoritarie. Il Turkmenistan, per esempio, ha appena inaugurato una nuova e futuristica città “intelligente” dedicata all’ex presidente Kurbanguly Berdymukhamedov. La città si chiama Arkadag, o protettore, un titolo non ufficiale con cui i media turkmeni si riferiscono da tempo a Berdymukhamedov, che ha festeggiato il suo 66° compleanno recandosi alla città santa musulmana della Mecca. La costruzione della nuova città per 73.000 residenti è costata 3,3 miliardi di dollari e si prevede di spendere altrettanto nei prossimi anni. A tagliare il nastro è stato il nuovo Presidente e successore del “protettore”: Serdar Berdymukhamedov, suo figlio.
Shavkat Mirziyoyev ha vinto le elezioni presidenziali in Uzbekistan. L’ufficialità è arrivata lunedì 10 luglio, quando la commissione elettorale ha annunciato i risultati preliminari del voto del giorno precedente. Ma in realtà questa frase poteva essere scritta nello stesso momento in cui sono state indette le elezioni, cioè dopo un referendum costituzionale che spiana la strada a due nuovi mandati presidenziali per Mirziyoyev, al potere dal 2016.
Il leader ha vinto le elezioni del 9 luglio con l’87,1% dei voti. Dei circa 20 milioni di elettori, si è presentato alle urne più o meno il 70%. Proprio l’affluenza era ritenuta un indicatore importante per dare legittimità a un voto in cui Mirziyoyev non aveva veri oppositori. Lungo tutta la campagna elettorale, gli altri tre candidati sono rimasti per lo più in silenzio. Un po’ per l’oscuramento da parte dei media, molto perché di fatto sono stati considerati da diversi osservatori internazionali come candidati di facciata. Xidirnazar Allaqulov, un ex rettore di università, era ritenuto un possibile avversario serio. Ma il suo tentativo di candidarsi è stato ostacolato e le autorità hanno bloccato gli sforzi di Allaqulov di fondare un suo partito.