La IEA avverte: siamo molto lontani dal raggiungimento dell’obiettivo zero emissioni entro il 2050. Serve investire molto di più nello sviluppo di energia pulita e rinnovabile
La Cop26 di Glasgow si avvicina (31 ottobre-12 novembre) e arriva in un momento delicato per la produzione mondiale di energia. Un tipico scherzo del destino vuole, infatti, che mentre ci si avvicina a scelte cruciali per il destino dell’umanità – che di questo si tratta – i mercati e i Paesi con il sottosuolo ricco di gas e petrolio si mettano a fare gli scherzi. E così, dopo il calo dei prezzi di petrolio e gas nel 2020 dovuto al crollo della domanda, la ripresa sta facendo impennare quei prezzi e la scarsità di risorse energetiche ha determinato un abbondante utilizzo del carbone. Ma senza eliminare in fretta quel ritorno dell’energia più sporca che ci sia sarà difficile raggiungere i risultati necessari a tenere sotto controllo la crescita delle temperature medie.
L’avvertimento è arrivato mentre l’organismo con sede a Parigi – la International Energy Agency (IEA) – ha detto che anche se tutti gli attuali impegni di zero netto dei Governi fossero implementati in pieno e in tempo, il mondo raggiungerebbe solo il 20% dei tagli alle emissioni entro il 2030 necessarie per mantenere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050.
L’avvertimento della IEA
Lo scenario delineato nel World Energy Outlook della IEA prevede infatti che, stanti gli impegni presi dai Paesi fino a oggi, le temperature medie globali aumenteranno di 2,1 gradi sopra i livelli pre-industriali entro il 2100, che fa 0,6 gradi in più dell’obiettivo di 1,5 C contenuto negli Accordi di Parigi del 2015. Siamo molto lontani dal raggiungere l’obiettivo di zero emissioni entro il 2050. L’annuncio russo di non avere intenzione di disfarsi degli idrocarburi, il ritorno pesante del carbone nella produzione di energia in Cina e l’impasse politico negli Stati Uniti non lasciano dormire sonni tranquilli.
Parlando con il Financial Times, il capo della IEA, il turco Fatih Birol, ha messo in guardia su due cose: l’aumento del prezzo delle risorse energetiche non è in nessun modo legato alla transizione ecologica come qualcuno di questi tempi punta a far credere e, se vogliamo davvero raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti, è necessario investire molte, molte più risorse nello sviluppo di energia pulita e rinnovabile. Birol parla della necessità di triplicare gli investimenti nei prossimi 10 anni (allo stato sono un quarto di quelli previsti per gli idrocarburi).
Birol suggerisce anche che i leader mondiali (e i principali finanziatori) potrebbero dare mandato a Fondo monetario internazionale e Banca mondiale per dirigere i propri prestiti e investimenti ai Paesi in via di sviluppo verso la produzione di energia rinnovabile.
Proprio la crisi dei prezzi di queste settimane dovrebbe incoraggiare a investire in rinnovabili, la cui produzione, a investimenti fatti, determinerebbe una stabilità dei prezzi, che non oscillerebbero più come quelli del mercato degli idrocarburi (e, tra l’altro, accrescerebbe l’indipendenza energetica di ciascun Paese).
La lettera a Bruxelles
Di segno relativamente opposto il segnale inviato a Bruxelles dai manager dei gruppi che producono energia, che con una lettera mettono in guardia dalle scelte di corto respiro che rischiano di far deragliare la transizione ecologica.
La lettera è la risposta a una misura presa dal Governo spagnolo, che ha previsto una tassa una tantum sui profitti di dette compagnie per attenuare gli effetti dei costi dell’energia impazziti. Madrid fa sapere che in caso di intervento paneuropeo sarà ben lieta di evitare quella tassa, ma il segnale della lettera è anche sintomo delle preoccupazioni dei grandi gruppi che estraggono idrocarburi o li trasformano in energia. È il tempo delle scelte ed è in atto una campagna per evitare che queste siano troppo radicali o penalizzanti nei confronti di questi colossi.
L’impegno di Europa e Stati Uniti
Positiva è invece la notizia secondo cui Europa e Stati Uniti stanno portando avanti un piano e una serie di impegni per ridurre drasticamente le emissioni di metano, che sebbene sia meno dannoso della CO2 è un altro dei fattori che determinano il riscaldamento globale.
Secondo le informazioni diffuse lunedì dal Dipartimento di Stato americano, 31 Paesi hanno annunciato la loro intenzione di unirsi al cosiddetto Accordo globale per il metano. “Nove dei 20 principali emettitori di metano partecipano ora all’impegno, rappresentando circa il 30% delle emissioni globali e il 60% dell’economia globale”, si legge nel comunicato dell’amministrazione Usa. In questo caso, oltre che intervenire per ridurre le emissioni da estrazione di petrolio, che contano il 20% circa del totale e quelle da agricoltura e allevamento del bestiame. Sembra uno scherzo, ma tra le cose che potrebbero contribuire a ridurre le emissioni c’è la possibilità di dar da mangiare alle mucche delle alghe o dell’aglio per ridurre drasticamente la quantità di metano prodotta dalla digestione dei ruminanti.