Cina, Russia, Medio Oriente e Mediterraneo orientale: l'Ue deve trovare una voce unica per poter interagire con gli Usa e gli altri grandi partner sui vari dossier
Cina, Russia, Medio Oriente e Mediterraneo orientale: l’Ue deve trovare una voce unica per poter interagire con gli Usa e gli altri grandi partner sui vari dossier
Il segretario di Stato americano Antony Blinken e la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in conferenza stampa presso la sede dell’Ue a Bruxelles, Belgio, 24 marzo 2021. Virginia Mayo/Pool via Reuters
La scarsa capacità dell’Unione europea, sia a livello di istituzioni comuni sia a livello intergovernativo, di proiettare la propria potenza economica sul piano della politica estera è da tempo il tallone d’Achille della costruzione comunitaria. Di recente sono stati fatti dei passi in avanti – complici sopratttutto la Brexit e gli anni di Donald Trump alla Casa Bianca, che hanno reso evidente la necessità per l’Europa di cercare una maggiore autonomia – con l’intenzione dichiarata della Commissione europea insediatasi nel 2019 di trasformare l’Ue in una forza anche geopolitica. Ma alle parole sono finora seguiti fatti piuttosto modesti.
La vittoria del democratico Joe Biden alle ultime elezioni americane rappresenta quasi certamente una buona notizia per gli interessi dell’Europa e degli Stati europei, con un rinnovato impegno degli Stati Uniti verso le istituzioni internazionali e l’Alleanza atlantica. Ma i rischi non mancano. Quando Washington si dice interessata a dare di più, nei rapporti con l’Europa, è altrettanto evidente che voglia ricevere di più. Se questa “stretta ai bulloni” dei rapporti atlantici è probabile che produca una serie di risultati positivi su quei dossier dove gli interessi americani ed europei sono sufficientemente allineati, rischia allo stesso tempo di creare tensioni e storture dove gli interessi risultano divergenti. A complicare la situazione rimane poi uno dei principali limiti strutturali dell’architettura europea, cioè l’inesistenza di una politica estera comune, con la conseguenza che su alcune questioni gli Stati Uniti vengono assecondati da alcuni Paesi Ue e contrastati da altri.
Cina e Russia
Sulla questione dei rapporti con la Cina la posizione di aspro confronto che hanno mantenuto gli Stati Uniti anche dopo il cambio di amministrazione, non entusiasma le capitali europee, Berlino in primis. Qualche concessione alle richieste americane, probabilmente più a un livello formale che sostanziale – ad esempio sulla questione dei diritti umani, in particolare della minoranza uigura – è probabile venga fatta, anche al prezzo di conseguenze diplomatiche negative. Ma per l’Europa la Cina continua a rappresentare più un’opportunità economica che un rischio geopolitico ed è probabile che prevalga un calcolo di interesse. Su questo dossier l’Europa sembra inoltre sufficientemente compatta nel voler evitare una dinamica di scontro tra blocchi e nel voler anzi ricercare il dialogo. L’intenzione dichiarata di Biden di rafforzare il legame con l’Europa rischia insomma di incontrare un ostacolo proprio sulla principale sfida strategica che gli Stati Uniti ritengono di avere di fronte per i decenni a venire.
Un discorso diverso, anche se con alcune similitudini, vale sulla questione dei rapporti dell’Europa con la Russia, che spaziano dal confronto in Europa dell’est all’energia, dal dialogo in Medio Oriente allo spionaggio, passando per le questioni di politica interna russa e per il rispetto dei diritti e delle libertàfondamentali. Su ciascuna di queste questioni l’Europa si frammenta. Alcuni Stati dell’est Europa, come la Polonia e le repubbliche baltiche, sono apertamente schierate a sostegno della linea americana del confronto anche duro con il Cremlino. Altri, come l’Ungheria, hanno al contrario una posizione fortemente filo-russa. I grandi Paesi dell’Ue – Germania, Francia e Italia – hanno posizioni variegate, che vanno dalla condanna per la politica estera aggressiva in Ucraina (e non solo), per i casi di spionaggio e di repressione del dissenso interno, alla ricerca del dialogo su questioni commerciali, in particolare energetiche, su questioni geopolitiche in Medio Oriente, Nord Africa, Mediterraneo orientale e Caucaso.
L’atteggiamento dell’amministrazione Biden nei confronti di Mosca – duro ma non senza spiragli, come sul disarmo nucleare – trova insomma sponde solo parziali in Europa. Sulla questione del gasdotto Nord Stream 2 non è ancora chiaro come Washington e Berlino, capofila degli Stati europei che non sono contrari all’infrastruttura, possano trovare la quadratura del cerchio.
Mediterraneo orientale
L’area in cui la rinnovata vicinanza tra Stati Uniti ed Europa promette invece di produrre i suoi frutti migliori è quella che si estende dal Nord Africa al Medio Oriente, passando per il Mediterraneo orientale. Il tentativo di riaprire il dialogo con l’Iran da parte americana trova il convinto sostegno dell’Unione europea e degli Stati membri. Un atteggiamento meno acritico nei confronti dell’Arabia Saudita, sia sui diritti umani sia sulla guerra in Yemen, di nuovo vede Europa e Usa più vicini di quanto non siano stati negli ultimi anni. Il tentativo, avviato da Obama con scarsi risultati e interrotto negli anni di Trump, di trovare un balance of power tra fronte sunnita e asse sciita è in generale visto favorevolmente dalle capitali europee (anche se Parigi appare meno convinta degli altri grandi Paesi Ue sul punto). I rischi sono ovviamente dietro l’angolo: potrebbe accadere di nuovo che l’emergere dell’Iran dall’isolamento internazionale spinga Arabia Saudita – e forse anche Israele – a reazioni dure in tutti gli scenari dove sono in corso proxy wars o dove comunque corre la faglia dello scontro tra le due potenze islamiche. Ma l’indebolimento del fronte sunnita, spaccato tra Sauditi e alleati da un lato e Turchia e Qatar dall’altro, e che negli ultimi anni ha dovuto incassare diversi fallimenti e battute d’arresto, potrebbe giocare a favore di una soluzione di compromesso.
Per quanto riguarda la Turchia, infine, questo sarà uno dei banchi di prova più interessanti della politica estera di Biden e dell’interazione tra questa e le posizioni europee. Dopo gli scarti degli ultimi anni, culminati in un flirt con la Russia che è apparso sempre meno occasionale, Ankara sembra ora intenzionata a ritrovare un dialogo più costruttivo con gli alleati occidentali della Nato. Ci sono stati alcuni sviluppi positivi sulle tensioni con la Grecia, riguardo la questione di Cipro e in generale sulla necessità di delimitare le rispettive influenze in quell’angolo di Mediterraneo. Ma tanti dossier restano aperti sul tavolo, soprattutto la questione libica. Gli Stati dell’Ue – Francia e Italia soprattutto – stanno mandando segnali di una maggiore unità tra loro e sembrano intenzionati a competere più con Turchia e Russia, che non tra di loro, per l’influenza nel Paese africano. Gli Stati Uniti, che si può dire con un eufemismo non siano contenti della condotta di Erdogan negli ultimi anni, potrebbero favorire accordi e compromessi che ripristinino una maggiore influenza occidentale. Anche perché, come detto, il flirt della Turchia con la Russia – dalla Siria alla Libia – è uno degli sviluppi più preoccupanti per la Nato negli ultimi anni.
Opportunità e rischi
L’Unione europea e gli Stati europei da un lato, e gli Stati Uniti dall’altro, sono insomma di fronte a cinque anni gravidi di opportunità e rischi. L’allontanamento degli Usa dall’Europa e dal Medio Oriente vedrà forse un rallentamento, ma nel medio e lungo periodo oramai sembra sia una dinamica che viene ritenuta irreversibile. Questo porterà probabilmente l’Europa ad assecondare le richieste americane su tutti quei dossier dove c’è una sovrapposizione di interessi e invece a cercare maggiore autonomia sulle questioni dove gli interessi divergono, come ad esempio sulle relazioni economiche con Pechino e Mosca. Vedremo ovviamente in futuro se, e quanto, la reazione degli Usa alle resistenze dei principali alleati europei cambierà le carte in tavola. Un banco di prova molto interessante sarà quello delle relazioni con la Turchia, dove si vedrà se Washington sarà interessata a ridimensionare l’espansionismo neottomano di Erdogan bilanciando a favore dell’Europa le partite libica e del Mediterraneo orientale. Infine bisogna anche considerare la variabile rappresentata dalla Gran Bretagna. Londra ha scelto la via della Brexit, ma in politica estera nella mediazione con gli Usa, più che nella competizione con l’Ue, potrebbe ritagliarsi un ruolo centrale.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
Cina, Russia, Medio Oriente e Mediterraneo orientale: l’Ue deve trovare una voce unica per poter interagire con gli Usa e gli altri grandi partner sui vari dossier
La scarsa capacità dell’Unione europea, sia a livello di istituzioni comuni sia a livello intergovernativo, di proiettare la propria potenza economica sul piano della politica estera è da tempo il tallone d’Achille della costruzione comunitaria. Di recente sono stati fatti dei passi in avanti – complici sopratttutto la Brexit e gli anni di Donald Trump alla Casa Bianca, che hanno reso evidente la necessità per l’Europa di cercare una maggiore autonomia – con l’intenzione dichiarata della Commissione europea insediatasi nel 2019 di trasformare l’Ue in una forza anche geopolitica. Ma alle parole sono finora seguiti fatti piuttosto modesti.
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