Tulsa, 100 anni dopo la strage degli afroamericani
Domani Biden sarà a Tulsa per commemorare i cento anni della più brutale strage razzista della storia degli Stati Uniti: un atto simbolico, che pone al centro una delle spaccature più profonde della società americana
Domani Biden sarà a Tulsa per commemorare i cento anni della più brutale strage razzista della storia degli Stati Uniti: un atto simbolico, che pone al centro una delle spaccature più profonde della società americana
Il primo giugno di 100 anni fa una folla di bianchi inferociti dava l’assalto al Greenwood District di Tulsa, Oklahoma, un quartiere della città noto come “Wall Street nera”, dove una middle class afroamericana fatta di ex schiavi e braccianti aveva costruito un quartiere florido e dotato di tutti i servizi nonostante la segregazione. Nei 35 isolati i neri compravano da neri e chi lavorava fuori dal distretto spendeva solo nei negozi neri. Un’economia separata che funzionava.
Nei giorni che precedettero la più brutale strage razzista della storia degli Stati Uniti, la polizia arrestò un giovane nero accusato di aver aggredito una ragazza bianca – un episodio dubbio – e i giornali locali soffiarono sul fuoco del risentimento razziale. Nelle ore successive i veterani neri si schierarono a protezione del carcere per impedire un linciaggio, vennero disarmati e trattenuti, altri vennero prelevati in casa dalla Guardia nazionale dopo che il governatore aveva dichiarato lo stato di emergenza. Così che la parte più combattiva della popolazione nera locale non era presente quando la folla marciò su Greenwood.
Nei due giorni dell’assalto si stima che siano stati uccise 300 persone e che siano stati incendiati o rasi al suolo 1.200 case e 60 negozi, decine di chiese, una scuola, un ospedale e una biblioteca pubblica.
Il centenario della strage
Nell’ennesimo passo simbolico nei confronti della comunità afro-discendente, il Presidente Biden ha scelto di essere in città per il centenario. Ma nel frattempo a Tulsa è cresciuta la tensione. Una disputa legale è in corso attorno ai fondi raccolti per un fondo che compensi i familiari delle vittime, ci sono polemiche attorno all’inaugurazione di un museo che ricordi la strage e nei giorni scorsi il New Black Panther Party ha marciato nelle strade della città armi alla mano. Nel frattempo, il governatore repubblicano dello Stato è stato espulso dalla commissione per il centenario dopo aver firmato la legge approvata dall’Assemblea legislativa che vieta l’insegnamento della “critical race theory”, una legge di quelle simboliche approvate per fare alimentare le polemiche e spaventare un po’ determinati segmenti della popolazione bianca. In fondo, per 75 anni, quando l’anniversario divenne notizia, non si era quasi parlato del rogo della Black Wall Street e la commissione per cercare “verità e giustizia” venne istituita solo nel 1996.
Tutta la vicenda della commissione, le polemiche attorno ai pochi sopravvissuti, il tema più ampio delle riparazioni per la comunità nera, per gli antenati degli schiavi privati di alcuni diritti e non coinvolti nei programmi di sviluppo successivi all’abolizione della schiavitù – nonostante fossero uomini liberi – sono il bagaglio di un Paese che si è raccontato la propria vicenda in maniera parziale, nella quale il razzismo, anche istituzionale, è figlio di episodi e non sistemico.
La questione razziale
Le celebrazioni per il centenario della strage sono dunque solamente uno dei momenti simbolici che mettono al centro uno dei nodi profondi della politica e della società americana. Niente di nuovo, se non fosse che la centralità delle notizie relative ai conflitti razziali (difficile chiamarli altrimenti) è in maniera crescente un argomento di polemica politica sottile da parte di un Partito repubblicano che punta in maniera quasi univoca sul risentimento dei bianchi nei confronti dell’America che cambia. Nell’anno del coronavirus è aumentato in maniera impressionante il numero di armi vendute, abbiamo assistito all’amplificazione di episodi di violenza nelle manifestazioni di protesta come fossimo di fronte a rivolte simili a quelle della fine degli anni ’60 e ogni occasione sembra buona per sottolineare in maniera negativa il nuovo protagonismo e la domanda di risposte da parte della comunità nera – la legge dell’Oklahoma sulla “critical race theory” è un buon esempio come le polemiche sulla ben più cruciale riforma della polizia. L’attenzione con cui è stato seguito il processo a Derek Chauvin, il poliziotto che ha ucciso George Floyd, è un sintomo di questa tensione sotto traccia.
Per Biden l’occasione di Tulsa è solo un passaggio, ma la montagna da scalare su questo fronte rimane molto ripida. Come ottenere risultati che contribuiscano a portare la comunità nera fuori da una condizione di minorità oggettiva senza fornire armi retoriche all’opposizione repubblicana? Un’idea generale è contenuta nei piani di investimento su infrastrutture e welfare, che prevedono interventi mirati nelle comunità più degradate – anche bianche, ma soprattutto nere. La questione della riforma della polizia è invece molto più difficile sa portare a casa, sia per ragioni pratiche – la competenza è spesso statale e di contea – che per ragioni simboliche. Tra l’altro l’aumento dei reati in un anno di crisi, viene cavalcato dai sostenitori della Legge & Ordine.
Il Presidente Biden deve la sua elezione alla mobilitazione della comunità nera che lo ha resuscitato politicamente alle primarie della South Carolina e gli ha portato la Georgia in dote e sente un dovere reale nei confronti della minoranza. Per lui e la sua amministrazione ottenere risultati tenendo a freno le tensioni che questi potrebbero comportare è un passaggio stretto ma necessario.
Domani Biden sarà a Tulsa per commemorare i cento anni della più brutale strage razzista della storia degli Stati Uniti: un atto simbolico, che pone al centro una delle spaccature più profonde della società americana
Il primo giugno di 100 anni fa una folla di bianchi inferociti dava l’assalto al Greenwood District di Tulsa, Oklahoma, un quartiere della città noto come “Wall Street nera”, dove una middle class afroamericana fatta di ex schiavi e braccianti aveva costruito un quartiere florido e dotato di tutti i servizi nonostante la segregazione. Nei 35 isolati i neri compravano da neri e chi lavorava fuori dal distretto spendeva solo nei negozi neri. Un’economia separata che funzionava.
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