Sono bastati dieci minuti al Consiglio europeo per discutere di un dossier caldo come quello dei migranti: niente ricollocamenti ma 10 miliardi alla sponda sud
Dieci minuti. Il tempo necessario ai capi di Stato e di Governo europei, giovedì sera, per approvare le conclusioni del Consiglio sul tema migranti. Un copione già scritto quasi per intero dal premier italiano Mario Draghi e dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel il 21 giugno nel loro ultimo bilaterale. I due hanno messo sul tavolo i rispettivi problemi: la Merkel non vuole offrire altre armi alla destra nazionalista alla vigilia delle elezioni e chiede ai partner europei la conferma dei contributi (altri 3 miliardi) alla Turchia di Erdogan perché offra asilo ai migranti che arrivano da Lesbo. Draghi, da parte sua, vuole evitare di trasformare il dossier migranti in un’arma in mano a Fratelli d’Italia e della Lega contro il Governo e punta alla stabilizzazione della Libia per trattare con un Governo forte che possa ricevere aiuti e frenare le partenze.
L’Italia ha evitato questa volta di ripetere gli errori di tre anni fa puntando i piedi per una relocation ancora una volta solo volontaria per i migranti salvati in mare cercando di ottenere un impegno di tutta l’Europa a sostanziosi aiuti finanziari (complessivamente circa 10 miliardi di euro) ai Paesi di origine (Mali e Sahel) o transito (come Libia) dei flussi migratori. “Il mio obiettivo – spiega Draghi a Bruxelles al termine del Consiglio europeo – non era ottenere un accordo sui ricollocamenti. Tutto quello che avevo visto nelle settimane passate mi diceva che non era possibile avere un accordo per noi conveniente, ma che fosse a due o a tre; semmai, un coinvolgimento significativo, massiccio, dell’Ue nel Nord Africa, nel Centro Africa e nelle zone che manifestano instabilità, non solo quindi nei confronti della Turchia, ma anche nei confronti di questi Paesi, primo tra tutti la Libia”.
Draghi precisa che “tutto quello che abbiamo chiesto è stato accolto, a cominciare dalla dimensione esterna dell’Ue nelle politiche di migrazione”. Il tema resterà comunque nell’agenda del Consiglio europeo, aggiunge il premier italiano, “perché ci sarà piano di azione della Commissione ed eventi di rilievo che necessitano discussione in Consiglio Ue. Il problema dell’immigrazione ha bisogno dell’Europa e l’Europa ha bisogno di affrontarlo in armonia senza escludere accordi tra gruppi di Paesi”.
Draghi enfatizza l’accordo raggiunto laddove si dice che “al fine di prevenire la perdita di vite umane e ridurre la pressione sui confini europei, saranno intensificati i partenariati e la cooperazione reciprocamente vantaggiosi con i Paesi di origine e di transito, come parte integrante dell’azione esterna dell’Unione europea. L’approccio sarà pragmatico, flessibile e su misura, farà un uso coordinato, come team europeo, di tutti gli strumenti e incentivi disponibili dell’Ue e degli Stati membri e si svolgerà in stretta collaborazione con l’Unhcr e l’Oim”.
Partenariati, dunque, con i Paesi di origine e transito nell’interesse di entrambe le parti, come è avvenuto con la Turchia, che proprio dal Consiglio ha avuto altri 3 miliardi di euro fino al 2024 per l’assistenza dei rifugiati siriani e per il controllo delle frontiere orientali. “Il Consiglio – si legge nelle conclusioni – dovrebbe affrontare tutte le rotte e basarsi su un approccio globale, affrontando le cause profonde, sostenendo i rifugiati e gli sfollati nella regione, sviluppando capacità di gestione della migrazione, sradicando il contrabbando e la tratta, rafforzando il controllo delle frontiere, cooperando in materia di ricerca e soccorso, affrontando la migrazione legale nel rispetto delle competenze nazionali e garantendo il rimpatrio e la riammissione”. Infine, vi è l’indicazione specifica della criticità di alcune rotte che “destano serie preoccupazioni e richiedono una vigilanza continua e un’azione urgente”.
Ora bisogna passare ai fatti, avverte Draghi, rispettando le scadenze e gli impegni stabiliti dai leader europei. La Commissione Ue e l’Alto rappresentante, in stretta cooperazione con gli Stati membri, dovranno presentare piani d’azione per i Paesi prioritari di origine e transito nell’autunno 2021, indicando obiettivi chiari, ulteriori misure di sostegno e tempistiche concrete. Verrà poi utilizzato al meglio almeno il 10% della dotazione finanziaria del NDICI, lo strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale, assieme ad altri strumenti di finanziamento pertinenti.
Secondo alcune forze politiche, sia nella maggioranza che nell’opposizione, si poteva ottenere di più, ma l’idea del premier era muoversi con diplomazia e gradualità portando a casa un primo risultato. E questo obiettivo può dirsi raggiunto.
Sono bastati dieci minuti al Consiglio europeo per discutere di un dossier caldo come quello dei migranti: niente ricollocamenti ma 10 miliardi alla sponda sud