L’analisi costi/benefici di un’Olimpiade è territorio di grandi dispute. Ma c’è qualcosa che non si può mettere sul piatto della bilancia: la fresca felicità dei Giochi Olimpici
Il giorno più imbarazzante nelle competizioni per ospitare un’Olimpiade fu probabilmente il 7 novembre del 1970. Nel maggio precedente, il Comitato olimpico internazionale aveva assegnato i Giochi Olimpici invernali del 1976 alla città di Denver, Colorado. In fondo, si sarebbe trattato di un doppio anniversario da celebrare degnamente: non solo i duecento anni dell’indipendenza degli Stati Uniti, anche un secolo dalla nascita del Centennial State, appunto il Colorado. Quel 7 novembre, però, gli elettori non erano di buonumore e, preoccupati dai costi della manifestazione e dal probabile impatto ambientale, respinsero l’iniziativa. La prima e unica volta che una città vinceva il contest e rifiutava l’assegnazione. L’imbarazzo, però, non terminò quel giorno.
Dopo il ritiro di Denver, il Comité International Olympique (Cio) offrì i giochi ad altre città. Whistler, nella canadese British Columbia, declinò l’offerta; così pure la svizzera Sion, che nella gara per la conquista dell’onore olimpico era arrivata seconda. Si fece avanti Salt Lake City, nello Utah, che però poi fece un passo indietro per lasciare il posto a Lake Placid, nello Stato di New York, ma anche in quel caso niente da fare. Si arrivò al 1973, quando i Giochi Invernali del 1976 furono assegnati a Innsbruck, Austria. E lì si tennero: l’Unione Sovietica si prese 13 medaglie d’oro e la Germania est sette, contro le tre americane.
La vecchia vicenda degli anni Settanta dovrebbe essere tenuta in conto quando si decide se ospitare un’Olimpiade. A maggior ragione se questa è estiva, il che di solito (ma non se c’è di mezzo Vladimir Putin) comporta costi e interventi maggiori rispetto a giochi su neve e ghiaccio. La prudente Svizzera, per dire, ha ospitato due volte i giochi invernali (nel 1928 e nel 1948, sempre a Sankt Moritz) ma mai un’olimpiade estiva. Non a caso, provare ad aggiudicarsi un’olimpiade è sempre una scelta controversa, come sanno i romani che ricordano il No del 2016 di Virginia Raggi alla candidatura della città per i Giochi del 2024. Soprattutto, come si stanno rendendo conto i giapponesi in questi giorni.
I costi
Il problema maggiore della manifestazione di luglio a Tokyo è naturalmente la pandemia da Covid-19 che ha costretto al rinvio di un anno, all’assenza di spettatori internazionali e alla limitazione del numero di quelli giapponesi, a misure sanitarie straordinarie. Con un costo aggiuntivo che gli organizzatori stimano tra i 2,8 e i tre miliardi di dollari. Ma c’è di più dei danni da virus. Il comitato promotore dei Giochi Olimpici 2020 (poi posticipati) nel 2013 aveva previsto un costo di 7,3 miliardi di dollari, poi salito a 12,6 miliardi alla fine del 2019. Ma l’Ufficio nipponico per la contabilità nazionale prevede ora una spesa superiore a 22 miliardi, con alcune stime che arrivano a 26. Il 75% della quale sarà sostenuta da denaro pubblico. E qui si entra in un territorio di grandi dispute. L’analisi costi/benefici di un’olimpiade sembra infatti un’equazione irrisolvibile: dipende dove e da dove guardi.
Uno studio pubblicato lo scorso novembre sul Social Science Research Network da tre accademici dell’università di Oxford – Brent Flyvbjerg, Alexander Budzier e Daniel Lunn – è arrivato alla conclusione che i costi dei Giochi estivi e invernali dal 1960 al 2016 sono andati sopra al budget di previsione in media del 172%, con un minimo del 2% per quelli di Pechino nel 2008 e un massimo del 720% per quelli estivi di Montreal del 1976 (dell’80% quelli invernali di Torino nel 2006). I Giochi estivi più cari sono stati quelli di Londra del 2012, 15 miliardi di dollari, mentre il record assoluto spetta a quelli Invernali di Sochi, la città amata da Putin sul Mar Nero, nel 2014, a 21,9 miliardi (potrebbe essere battuto da Tokyo in luglio). Le entrate da sponsor, pubblicità, diritti televisivi, biglietti, merchandiser tendono a non coprire i costi. I ricavi dalla vendita dei diritti tv per l’Olimpiade di Londra, per esempio, sono ammontati a 2,6 miliardi di dollari. Le entrate da sponsorizzazioni per i Giochi di luglio a Tokyo superano i tre miliardi (da più di 60 imprese giapponesi) ai quali si aggiungono altre centinaia di milioni dalle partnership speciali con Toyota, Bridgestone e Panasonic. Parecchio ma solo una porzione dei costi.
I benefici
Per quel che riguarda i benefici, il calcolo è più aleatorio. Dopo l’Olimpiade del 2012, il Governo britannico commissionò un meta-studio a un consorzio di ricerca guidato dalla Grant Thornton, il quale calcolò che l’impatto sulla città in termini di valore aggiunto lordo sarebbe ammontato fino a un massimo di 41 miliardi di sterline, contando anche la rigenerazione di alcune aree di Londra est. In più, dice il rapporto, i Giochi motivarono i britannici a fare più sport, soprattutto bambini e adolescenti, migliorarono la gestione e la sostenibilità delle manifestazioni sportive, riqualificarono aree della città e molto altro. Influenze sulle quali non è facile mettere numeri.
Lo studio sui costi dei tre accademici di Oxford si prende comunque la briga di avanzare alcuni consigli alle città che pensano di avanzare la loro candidatura, sia per l’inverno sia per l’estate. Consigli di questo genere: possiamo rischiare di finire con costi di tre volte più alti del previsto rispetto a spese di base già multimiliardarie? “Se la risposta a questa domanda è sì, allora procedi e diventa l’ospite; se la risposta è no, molla”. In più, mettono in guardia da sei elementi tipici di ogni candidatura una volta che la si è lanciata. È irreversibile o quasi, dopo che si è vinta la gara per conquistarla, il caso di Denver è unico; ha tempi fissi, non ci possono essere ritardi, il che aumenta i costi; la qualità delle opere è definita a livello internazionale e lascia poco spazio a risparmi; la pianificazione a lungo termine apre le porte a imprevisti; il Cio non è interessato a risparmiare perché i costi in eccesso sono in capo a chi ospita; l’esperienza nell’impresa olimpica di solito non c’è perché i Giochi cambiano posto ogni quattro anni.
A questo studio il Cio ha reagito vivacemente. Ha sostenuto che mischia le spese strettamente necessarie per i Giochi con le infrastrutture che poi restano alla città. E ha portato come contro-argomentazione un’analisi del 2019 di due accademici tedeschi, Holger Preuss e Maike Weitzmann dell’università di Mainz, e di un francese, Wladimir Andreff della Sorbona, dalla quale risulta che dal 2000 tutti i Giochi hanno raggiunto il break-even o hanno generato un profitto. La discussione è insomma aperta non solo tra i politici e amministratori che vogliono tagliare nastri opposti a politici e amministratori che si sentono austeri. Anche nel mondo accademico sui Giochi Olimpici ci si divide. Chi rischia di più, in ogni caso, sono i sindaci e i politici, i quali ultimamente vanno con i piedi di piombo e prima di muovere il passo consultano i cittadini. Anche con bocciature sonore. Il ritiro di Denver, infatti, è unico perché arrivato dopo l’assegnazione ufficiale ma non è il solo caso di ritirata dalla corsa.
Nel settembre 2017, proprio gli elettori di Innsbruck, che aveva beneficiato della rinuncia di Denver nel 1976, votarono contro una nuova candidatura della propria città. Amburgo avanzava fiduciosa nella sua offerta di ospitare i Giochi estivi del 2024 con sondaggi che registravano un consenso popolare sopra al 60%; ma al momento del voto vinse il No. Oslo avrebbe voluto ospitare l’Olimpiade Invernale dell’anno prossimo, ma come Stoccolma, Cracovia, Leopoli si è ritirata in tempo.
Non tutte le Olimpiadi sono uguali anche dal punto di vista dei costi e dei benefici, naturalmente. Una metropoli come Londra può permettersi grandi spese e, alla fine, avrà ritorni da innumerevoli fonti. Diverso è il discorso per Paesi emergenti, i quali sono sempre più tentati di candidarsi: uno studio degli economisti americani Robert Baade e Victor Matheson ha segnalato che i tentativi di Paesi in via di sviluppo sono più che triplicati dopo il 1988. Ma venti miliardi di dollari per i Giochi del 2018 non sono poca cosa per Rio de Janeiro: c’è da pensarci bene.
Fatti i conti, c’è però qualcosa su cui non si può mettere il cartellino del prezzo: la fresca felicità dei Giochi Olimpici.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
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L’analisi costi/benefici di un’Olimpiade è territorio di grandi dispute. Ma c’è qualcosa che non si può mettere sul piatto della bilancia: la fresca felicità dei Giochi Olimpici
Il giorno più imbarazzante nelle competizioni per ospitare un’Olimpiade fu probabilmente il 7 novembre del 1970. Nel maggio precedente, il Comitato olimpico internazionale aveva assegnato i Giochi Olimpici invernali del 1976 alla città di Denver, Colorado. In fondo, si sarebbe trattato di un doppio anniversario da celebrare degnamente: non solo i duecento anni dell’indipendenza degli Stati Uniti, anche un secolo dalla nascita del Centennial State, appunto il Colorado. Quel 7 novembre, però, gli elettori non erano di buonumore e, preoccupati dai costi della manifestazione e dal probabile impatto ambientale, respinsero l’iniziativa. La prima e unica volta che una città vinceva il contest e rifiutava l’assegnazione. L’imbarazzo, però, non terminò quel giorno.