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Con il Green Pass l’Italia riparte, ma a modo suo


L’Italia delle imprese e dell’istruzione riapre a metà. Confindustria e sindacati in disaccordo sulle regole e una parte del personale scolastico è sedotto dagli anti-vax

Quello del 2021 sarà ricordato come “l’autunno caldo del Green Pass”. La questione più scottante del rientro, più del Recovery Fund, della ripartenza economica, degli ammortizzatori sociali legati alla pandemia e della gestione dei possibili licenziamenti finora congelati per decreto. A ben vedere non si tratta di una questione di secondo piano. Riguarda la ripresa delle attività in presenza e la fine dello smart working che ha caratterizzato il lockdown. Naturalmente, poche aziende hanno fatto una riflessione seria sull’esperienza della quarantena in ufficio, su cosa ci sia da buttare e cosa ci sia da salvare, sulle nuove frontiere del lavoro “smart” ovvero agile, elastico. Nella maggior parte delle imprese i dirigenti del personale hanno suonato la campanella del rientro come il pastore per le greggi dell’alpeggio: si torna in valle, tutto come prima. Come se si fosse schiacciato nuovamente il tasto pausa dopo una parentesi di un anno e mezzo. Anche se è mancata, grazie ai no vax, l’immunità di gregge, il gregge torna in azienda. Ma non è facile per decine di milioni di lavoratori italiani ritrovare i cari vecchi pascoli dell’ufficio o della fabbrica. Ci sono prima le forche caudine del Green Pass ad attenderli.

L’unico aspetto certo riguarda le mense aziendali: non si entra senza il certificato verde. È discriminazione? C’è una foto che ha fatto il giro dei giornali e dei social media: i lavoratori dell’Ikea costretti a mangiare per terra col vassoio in mano come a un picnic perché sprovvisti di permesso.

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