In Occidente abbiamo l’immagine di un gruppo di esaltati combattenti islamici che hanno perseguito una guerra sorretti dalla fede o poco più. Ma la realtà non è questa…
I Talebani sono stati una insorgenza quasi unica nel panorama mondiale. In Occidente abbiamo l’immagine di un gruppo di esaltati combattenti islamici che hanno perseguito una guerra sorretti dalla fede, dallo spirito combattivo proprio degli afghani e da poco più. La realtà è abbastanza lontana. I Talebani sono un gruppo ben coordinato (pur con perduranti tensioni interne) dotato di un vertice politico/religioso forte con a capo l’emiro, “la guida dei fedeli” che presiede la “Rabhari Shura” (consiglio direttivo), una sorta di consiglio d’amministrazione del gruppo composto da una serie di personalità religiose e dai capi delle varie commissioni in cui si articola la struttura amministrativa del movimento.
Le commissioni coprono le attività d’interesse dei Talebani (commissione militare, politica, finanziaria, reclutamento, salute, Ong, educazione etc.) costituendo un vero e proprio Governo ombra servito da una burocrazia forte di 1200/1400 unità. Una struttura articolata ed efficiente. Ricordo ad esempio che, quando avevo incontri con la leadership talebana a Doha, gli appuntamenti venivano definiti attraverso un funzionario responsabile del desk Europa della Commissione per le relazioni esterne.
I Talebani avevano altresì una diffusa rete locale, composta da governatori ombra e capi militari per quasi tutte le province e amministrazioni più estese nelle province e nei distretti che controllavano.
Tutto questo, accoppiato alla spesa per lo sforzo bellico, costa e richiede risorse finanziarie. I combattenti avevano un salario (in media, mi è stato detto, di 15.000 afghani al mese, pari a 170/180 dollari) così come i comandanti, che ricevevano un salario più alto e potevano contare su benefici ulteriori (entrate derivanti da taglieggiamenti, traffici clandestini e così via). Munizioni, armi, alimentazione, trasporti e così via costano anch’essi. Nel corso degli anni i Talebani hanno costruito una capacità di finanziamento che ha consentito loro di reggere una guerra di logoramento e tenere in efficienza forze e strutture. E l’hanno costruita in modo da affrancarsi progressivamente dalla dipendenza dai donatori esterni, fossero essi nel Golfo, in Asia o altrove, che davano generosamente ma fatalmente condizionavano le scelte e gli orientamenti del gruppo.
Secondo uno studio commissionato recentemente, le risorse di cui hanno potuto disporre i Talebani nel 2020 sono stimate in una cifra vicina al miliardo e duecento milioni di dollari. Alcuni studiosi ritengono la cifra troppo alta e quella reale più vicina al miliardo di dollari e forse qualcosa in meno. Ma vi è una larga concordanza di vedute circa la provenienza delle entrate, che sta a dimostrare l’evoluzione del gruppo da fonti di finanziamento terze (principalmente donatori nel mondo islamico) dai quali i Talebani dipendevano all’inizio della loro storia, a forme più spinte di autofinanziamento derivanti dallo sfruttamento del territorio e dalla cooperazione sempre più stretta con la criminalità organizzata nazionale e transfrontaliera.
Per venire a qualche cifra, quasi il 30% delle entrate dei Talebani derivano da sfruttamento ed esportazioni di minerali, o da miniere gestite direttamente da appartenenti al movimento oppure da collaborazione o estorsioni a danno di proprietari di miniere; il 26% dei proventi derivano dal traffico di narcotici, raramente coltivati direttamente ma nella cui catena di distribuzione i Talebani sono massicciamente presenti, specie nella provincia di Helmand da cui proviene l’80% circa degli oppiacei immessi sul mercato mondiale; il 15% da esportazioni varie di merci legittime, quali il talco e lo zafferano; il 10% da estorsioni a danno della popolazione delle zone controllate dal movimento (che i Talebani hanno battezzato tasse locali), il 5% da attività immobiliari lecite ed il 15% da donatori esteri. In sintesi, negli anni i Talebani si sono trasformati anche in abili amministratori, in grado di reperire e amministrare per conto proprio la maggior parte delle risorse necessarie a finanziare la jihad.
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