Espellere i combattenti stranieri è una delle priorità e solo un Governo legittimo avrà la forza per riuscirci. Elezioni eque, libere e trasparenti alla fine di quest’anno sono cruciali
Sono trascorsi più di 10 anni dallo scoppio delle proteste contro il regime del colonnello Muammar Gheddafi. Fin dal suo inizio, la crisi libica è stata caratterizzata dall’influenza decisiva di attori esterni. La Libia è diventata il teatro di una guerra per procura, esacerbata dalla divisione de facto sotto due diverse autorità durata per diversi anni: da un lato, il Governo di accordo nazionale (GNA) riconosciuto a livello internazionale, emanato dall’accordo di Skhirat del 2015 e sotto la leadership di Fayez al-Sarraj; dall’altro il maresciallo Khalifa Haftar e il suo Libyan National Army (LNA), che dopo aver conquistato porzioni sempre più vaste della Libia orientale, nell’aprile 2019 hanno lanciato un’offensiva per conquistare Tripoli dal GNA. Mentre il Qatar e in particolare la Turchia hanno sostenuto il governo di Al-Sarraj, l’Egitto, l’EAU e in seguito la Russia hanno sostenuto Haftar, al quale anche la Francia ha battuto ciglio più di una volta.
L’influenza e l’impatto degli attori esterni sono cambiati nel corso degli anni, rendendo difficile identificare il vero punto di svolta in Libia. Parallelamente, e nonostante i suoi interessi strategici nel Paese nordafricano, tra il 2015-20 l’Europa è stata progressivamente emarginata sullo scenario libico per mancanza di unità e strategia.
In questo cupo scenario per la Libia – e per l’Europa –, il cosiddetto processo di Berlino ha rappresentato una parziale svolta. Questa iniziativa diplomatica sul futuro della Libia è durata 4 mesi e si è conclusa con una conferenza organizzata nel gennaio 2020 dalla Cancelliera Angela Merkel, che ha riunito rappresentanti di tutti gli Stati più coinvolti e interessati alla crisi libica così come istituzioni come l’Ue, l’Unione Africana e la Lega Araba. In un momento in cui la Turchia e la Russia stavano acquisendo crescente rilevanza sui lati opposti del dilemma libico e l’Europa era marginalizzata, la conferenza è riuscita a capitalizzare una tregua russo-turca. Il principio originale del processo di Berlino era quello di costruire la pace in Libia dall’esterno; un cambiamento radicale dall’approccio inside-out, che aveva dominato i negoziati di pace fino a quel momento.
L’ingerenza di attori esterni
Ma nonostante i vari proclami alla conclusione della conferenza, l’ingerenza di attori esterni non ha conosciuto sosta.
Da parte europea, la conferenza di Berlino ha rappresentato una finestra di opportunità per gli Stati membri interessati – Germania, Italia e Francia – per mostrare il rinnovato peso diplomatico dell’Europa. E un’iniziativa importante per l’Europa per riconquistare centralità nella gestione della crisi libica, scongiurando il rischio di lasciare il conflitto nelle mani di Turchia e Russia.
A livello operativo, il processo di Berlino ha impedito che si aprisse un nuovo conflitto civile in seguito al fallimento dell’offensiva di 14 mesi di Haftar su Tripoli. Ciò è andato di pari passo con l’avvio di un nuovo negoziato volto a indirizzare le diverse dimensioni della crisi (politica, militare, economica). L’interruzione dei combattimenti nell’estate 2020 è stata successivamente certificata da un cessate-il-fuoco a ottobre, mentre il lancio del Forum di dialogo politico libico, fortemente incoraggiato da Stephanie Williams, diplomatico americano allora in carica come rappresentante speciale Onu per la Libia, hanno aperto la strada alla formazione di un nuovo governo ad interim – il Governo di unità nazionale (GNU) – nel marzo 2021 e alla programmazione delle elezioni nazionali per il 24 dicembre 2021.
Sfruttando la sua significativa partecipazione a questo processo di transizione politica, l’Europa avrebbe le carte in regola per riguadagnare un’influenza significativa in Libia. Tuttavia, quello che i paesi europei devono capire al più presto è che il loro obiettivo dovrebbe essere la definizione e l’attuazione di una strategia comune.
Un banco di prova
La Libia potrebbe essere insieme un banco di prova e un’ambizione per un’Europa più geopolitica, sulla base di quella che il premier italiano Mario Draghi ha recentemente definito “sovranità condivisa europea”: in questa prospettiva, la Libia dovrebbe essere una priorità di politica estera comune anziché il terreno per la lotta intraeuropea. Anche alla luce di ciò, la visita dei Ministri degli Esteri italiano, francese e tedesco in Libia nel marzo 2021 è stata accolta da diversi analisti come primo passo verso un nuovo coordinamento europeo sul dossier libico. Questa direzione è stata confermata dal recente riavvicinamento tra Italia e Francia, con il premier Draghi che ha annunciato di aver compiuto un nuovo importante passo verso la cooperazione con la Francia in Nord Africa e nel Sahel, superando le rivalità del passato con Parigi. Del resto, Macron e Draghi hanno dimostrato di saper lavorare bene insieme su tanti dossier, in particolare su quelli economici, e sembra esserci spazio per ampliare la cooperazione tra Francia e Italia sui temi di politica estera. In questo quadro, l’Italia ha dimostrato di essere pronta a fare concessioni e a sostenere la visione della sicurezza francese, come esemplificato dalla partecipazione di Roma alla task force TAKUBA sotto comando francese. D’altra parte, la Francia dovrebbe abbandonare il suo approccio unilaterale. Ad ogni modo, il fatto che Parigi abbia riallacciato i rapporti con Tripoli aprendo la sua ambasciata nella capitale libica dimostra l’impegno francese verso l’unità della Libia e verso il nuovo Governo.
Per quanto riguarda Roma, sotto la guida di Draghi l’Italia appare pronta a far valere i propri interessi nazionali: la politica estera italiana sembra passare da un approccio attendista a uno più propositivo, che mira a evidenziare la rinnovata presenza di Roma al tavolo delle trattative (Di Maio ha visitato il Paese 5 volte da quando è stato nominato il GNU).
Una cooperazione euro-atlantica
In Libia, lo sforzo multilaterale richiederebbe anche una più profonda cooperazione euro-atlantica: l’America di Biden, con il suo ritorno al multilateralismo, potrebbe essere un buon partner per l’Europa per sostenere e incoraggiare la transizione libica. Sul dossier libico l’Europa potrebbe definire le linee dell’impegno americano: se l’Europa agisse come attore unitario, e se riuscisse a mettere in atto la sua natura “geopolitica” e a proiettare in modo costruttivo la sua sovranità strategica.
Da un punto di vista operativo, uno sforzo unitario e coordinato dell’Ue dovrebbe tradursi prima di tutto nel contenimento della presenza russa e turca in Libia. La Russia in particolare è fonte di preoccupazione per i Paesi europei, che temono l’alto grado di autorità raggiunto nel Paese negli ultimi anni, e che Mosca possa trasformare la Libia in una piattaforma da cui minacciare la sicurezza europea. In questo tentativo può essere utile l’intesa europea con Washington, visto che l’amministrazione Biden è più incline della precedente a vigilare sulla crescente influenza russa nell’area. Da un punto di vista più generale, contrastare gli spoiler internazionali in Libia significa anche indebolire ogni tipo di supporto militare esterno alle fazioni per garantire che gli attori di Cirenaica e Tripolitania rispettino gli accordi e che il Paese possa intraprendere una seria Riforma del Settore della Sicurezza (SSR).
Espellere i combattenti stranieri dalla Libia – ovvero gli appaltatori del Gruppo Russo Wagner e i mercenari siriani legati alla Turchia – è anche una delle priorità emerse dalla Seconda Conferenza di Berlino sulla Libia, che si è tenuta il 23 giugno. Questa questione è profondamente intrecciata con la legittimità delle istituzioni che governano il Paese: solo un Governo autorevole, legittimo e pienamente riconosciuto avrà la forza per liberare la Libia dalle forze straniere. Per questo è importante promuovere un processo politico che porti a elezioni eque, libere e trasparenti alla fine di quest’anno.
In questo complesso quadro, va considerata la possibilità di istituire una missione tecnica europea per trasformare l’Ue in una sorta di garante degli accordi già esistenti, svolgendo al contempo anche un ruolo nella SSR. Inoltre, la missione IRINI andrebbe ampliata estendendo i suoi compiti. Ciò consentirebbe agli europei di costruire relazioni costruttive e trasparenti con le nuove istituzioni libiche, in particolare nelle aree prioritarie dei flussi migratori e dell’antiterrorismo, mantenendo gli occhi ben aperti sul rispetto dei valori fondanti dell’Ue.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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L’influenza e l’impatto degli attori esterni sono cambiati nel corso degli anni, rendendo difficile identificare il vero punto di svolta in Libia. Parallelamente, e nonostante i suoi interessi strategici nel Paese nordafricano, tra il 2015-20 l’Europa è stata progressivamente emarginata sullo scenario libico per mancanza di unità e strategia.