Ai Verdi tedeschi sono andati il Ministero per l’Economia e il Clima e quello degli Esteri. Due posizioni che possono influenzare molto la politica energetica tedesca e quindi anche quella europea
Due eventi hanno reso la Germania il Paese europeo dove più si discute di transizione energetica e cambiamento climatico. Lo scorso luglio, le devastanti inondazioni nella Valle del Reno, che hanno provocato 180 tra morti e dispersi, ma anche un grande shock in un Paese abituato a pensarsi come efficiente, organizzato e al riparo da un certo tipo di catastrofi. E in aprile una pronuncia della Corte costituzionale, secondo cui le politiche ambientali sin lì dispiegate dai vari Governi nazionali erano insufficienti a garantire le libertà fondamentali alle generazioni a venire, e dovevano essere subito aggiornate. Alcuni dunque pronosticavano un trionfo dei Verdi, alle elezioni di settembre. Il trionfo non c’è stato, ma il 14,8% dei voti ha consentito alla capolista Annalena Baerbock di ottenere il Ministero degli Esteri, e all’altro capo del partito Robert Habeck di diventare Ministro dell’Economia e del Clima – dicastero creato per l’occasione – nel nuovo Governo di coalizione guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz. Due assi non da poco, per influenzare la politica tedesca e di conseguenza quella europea.
Le idee dei Verdi
Partiamo dalla carta più debole: è vero, il partito ecologista dirige il Ministero dell’Economia, ma non è da lì, non inganni il nome, che in Germania si controllano le politiche di spesa. Lo si fa piuttosto dal Ministero delle Finanze, dominio incontrastato del principe dell’austerità Wolfgang Schäuble dal 2009 al 2017; il suo erede, proprio Olaf Scholz (2018-21), nel confermare nonostante il cambio di colore le politiche del suo predecessore dichiarò significativamente, scatenando le reazioni della Francia: “Cosa vi aspettavate? Un Ministro delle Finanze tedesco è un Ministro delle Finanze tedesco”.
La conferma del rigore budgetario è valsa all’ostentatamente moderato e sobrio Scholz la vittoria elettorale – un discreto erede di Angela Merkel, hanno pensato i tedeschi, scartando il cristianodemocratico Armin Laschet e le sue gaffe. E al Ministero delle Finanze non sono andati i Verdi e le loro idee di una transizione energetica ed ecologica tutta da spingere a colpi di interventi dello Stato, a partire magari da un’emissione speciale di buoni del tesoro “verdi”. No: alle Finanze c’è Christian Lindner, il capo del Partito liberale – che con il 10,4% è la terza gamba della coalizione – ancor più rigorista. Per lui, lo stretto limite dello 0,35%/pil di deficit strutturale deve restare una barriera invalicabile. “Transizione energetica? – dice Lindner – Benissimo: lasciamo fare al mercato e tutto andrà per il meglio”. La potente industria nazionale dell’auto ha già accettato la svolta elettrica: l’Audi smetterà di produrre auto a benzina entro il 2033.
Non sarà semplice modificare i meccanismi di spesa pubblica della Germania come vorrebbero i Verdi. La variante Omicron, poi, ha colto la Germania in una posizione scomoda. Il Pil nell’arco del 2021 è cresciuto solo del 2,4%, contro il 6,3 dell’Italia. L’economia esportatrice della Germania registrava segnali preoccupanti già dal 2019, per le conseguenze delle tensioni internazionali sul commercio, oggi peggiorate dai blocchi nelle catene di approvvigionamento, dall’aumento dei prezzi dell’energia e dagli effetti della pandemia sui consumi. È vero che l’emergenza potrebbe essere usata per scardinare i limiti di indebitamento; ma è vero anche che le diverse anime del governo litigheranno di più, per dirigere la spesa dove vogliono: i socialdemocratici soprattutto verso i provvedimenti sociali, i liberali verso gli aiuti alle imprese. “Non c’è problema, dateci 2300 miliardi di euro e ve la facciamo noi la transizione energetica”, ha detto la Confindustria tedesca. I sussidi alle imprese, oltre a essere molto apprezzati a Bruxelles perché in consonanza con le scelte politico-economiche della Ue, che su fisco e stipendi non può intervenire, hanno il vantaggio agli occhi della società tedesca di non alimentare il temutissimo ritorno dell’inflazione.
La politica energetica sul fronte internazionale
È invece sul posizionamento internazionale della Germania, che incide e molto anche sulla politica energetica, che i Verdi – dal Ministero degli Esteri – potranno giocare la carta migliore. Lo si è già visto in maniera eclatante nei rapporti con la Russia, virati al peggio nel giro di pochi mesi. Mentre tra Berlino e Mosca si susseguono trame di spie degne di un libro di John Le Carré, il vero elefante nella stanza resta Nord Stream 2, il condotto che passando sotto il Baltico raddoppia la fornitura diretta di gas dalla Russia alla Germania. Il condotto è pronto ma non è stato ancora aperto, e il caloroso sostegno arrivato dagli Stati Uniti ai Verdi di Annalena Baerbock si spiega anche con la contrarietà della Ministra ecologista alla sua apertura. È la stessa posizione di Washington, da sempre opposta all’opera finanziata da Gazprom (Russia), Shell (Olanda-UK), E.ON (Germania), OMV (Austria) e Engie (Francia). “È un progetto del settore privato, su cui non possiamo mettere bocca”, ha commentato con evidente imbarazzo il Cancelliere Olaf Scholz. Nel frattempo l’Agenzia tedesca per l’energia, dopo aver bloccato l’apertura per un vizio giuridico di forma, ha fatto sapere di aver bisogno di altri sei mesi per prendere una decisione.
Resta dubbio se sia davvero possibile bloccare il Nord Stream 2. Habeck, il Ministro verde dell’Economia, ha tentato di condizionarne l’apertura al comportamento della Russia in Ucraina: “non possiamo escludere nulla, nel caso di una nuova violazione dell’integrità del territorio ucraino”, ha dichiarato facendo riferimento alla possibilità di un’avanzata russa fino a Kiev. Un’altra presa di posizione sicuramente apprezzata a Washington – che la reclamava fin dall’arresto di Alexei Navalny – e molto meno a Parigi, da dove Emmanuel Macron non smette di invitare alla distensione.
L’Europa verso un’autonomia strategica?
L’idea di un’autonomia strategica dell’Unione europea, che la Francia sostiene a spron battuto e che continuerà a sponsorizzare parlando di “esercito europeo” per tutta la durata del suo semestre di presidenza Ue (gennaio-giugno 2022), non è infatti compatibile con una Russia aggressiva: impossibile rinunciare alla protezione della Nato in Europa orientale. Ma perché la Ue possa approntare le sue strutture di difesa convenzionali e le forze di intervento rapido, servirebbe senza dubbio un grande impegno economico da parte della Germania, l’unico grande Paese con sufficiente margine di manovra. Negli uffici di Berlino, però, guardano i conti degli investimenti per la transizione energetica, quelli delle politiche sociali e dei sussidi da erogare per evitare che i costi siano scaricati sulle fasce più deboli (nessuno vuole rivedere i gilet gialli nelle piazze), quelli delle pensioni di una popolazione sempre più anziana, quelli degli aiuti alle imprese… La situazione rende più probabile che a Bruxelles la Germania si schieri a favore di un “booster” di Recovery Fund, tarato sugli obiettivi della transizione, invece che dedicarsi alle spese militari.
Il prezzo del gas è aumentato di sei volte rispetto allo scorso anno, di certo anche grazie alle manovre del Cremlino: Nord Stream 2 o no, la Germania deve liberarsi dalla dipendenza dal gas russo. Ad esempio, in cerca di fonti alternative, la Ministra Baerbock ha già fatto passi importanti verso il Marocco, Paese decisivo per lo sviluppo delle rinnovabili e dell’idrogeno verde, rivedendo la posizione diplomatica tedesca sulla critica questione del Sahara Occidentale e allineandola a quella degli Stati Uniti. In tanta incertezza, non va dimenticato un punto fermo: il radicato atlantismo dei grandi partiti e degli ambienti militari della Germania. Nel groviglio geopolitico che il nuovo governo rosso-verde-giallo si trova ad affrontare, e che si aprirà con la presidenza tedesca del G7, il pendolo si sta muovendo verso la sicurezza offerta dai tradizionali accordi con gli Stati Uniti piuttosto che verso le ambizioni propugnate dall’Eliseo.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
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Partiamo dalla carta più debole: è vero, il partito ecologista dirige il Ministero dell’Economia, ma non è da lì, non inganni il nome, che in Germania si controllano le politiche di spesa. Lo si fa piuttosto dal Ministero delle Finanze, dominio incontrastato del principe dell’austerità Wolfgang Schäuble dal 2009 al 2017; il suo erede, proprio Olaf Scholz (2018-21), nel confermare nonostante il cambio di colore le politiche del suo predecessore dichiarò significativamente, scatenando le reazioni della Francia: “Cosa vi aspettavate? Un Ministro delle Finanze tedesco è un Ministro delle Finanze tedesco”.