Equilibri mondiali, problemi di bilancio e personalità del direttore generale: il limite dell’Oms è anche che non può imporre linee di azione, ma solo fare raccomandazioni. La prima parte della nuova inchiesta sull’Organizzazione mondiale della sanità
Nato ad Asmara in Eritrea nel 1965 e laureato in Biologia nel 1986 all’Università di Asmara, Tedros Adhanom Ghebreyesus rimane però cittadino etiopico anche dopo l’indipendenza eritrea. Dopo aver iniziato a lavorare per il Ministero della Salute nel 1986, ottiene nel 1992 una laurea specialistica in Immunologia delle Malattie Infettive della Scuola di Igiene e delle Malattie Tropicali dell’Università di Londra, seguita nel 2000 da un dottorato di ricerca all’Università di Nottingham. La tesi − una ricerca sull’effetto delle dighe sulla trasmissione della malaria nella regione del Tigrè − ha una certa eco. È Ministro della Salute tra il 2005 e il 2012, quando la mortalità infantile in Etiopia si riduce da 123 morti ogni 1000 nati del 2006 a 88 del 2011, grazie a una serie di misure come l’assunzione e formazione di circa 40.000 donne nel campo della sanità e l’aumento di assunzioni di ostetriche e di lavoratori altamente qualificati. Tra il 2009 e il 2011 è anche Presidente del Fondo globale per la lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria. La ribalta internazionale favorisce a sua volta un’ulteriore promozione interna a Ministro degli Esteri, tra il 2012 e il 2016. Il 23 maggio del 2017 è eletto Direttore Generale dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Agenzia delle Nazioni Unite nata nel 1948, con sede a Ginevra, la Oms ha l’obiettivo istituzionale di garantire i più alti livelli possibili di salute alla popolazione mondiale. Attualmente ne fanno parte 194 Stati, per assistere i quali ha al suo servizio 150 uffici sparsi nel mondo con 7000 collaboratori. La sua attività non è solo scientifica, ma anche diplomatica. In piena Guerra fredda, ad esempio, nel 1959, la Oms riesce a combinare l’accordo tra il Center for Disease Control (Cdc) Usa e il suo allora omologo sovietico, grazie al quale con 450 milioni di dosi di vaccino prodotte nell’Urss e il finanziamento statunitense, si lancia la campagna che porterà entro il 1977 a sradicare il vaiolo dal pianeta. La lotta all’Aids riporterà invece insuccessi che alimentano gravi polemiche nei 10 anni in cui è direttore generale il medico giapponese Hiroshi Nakajima, tra il 1988 e il 1998. Per la vaghezza del suo mandato, gran parte della gestione della Oms dipende dal modo in cui il direttore generale interpreta il suo ruolo, così, per superare l’impasse, a Nakajima succede non un altro tecnico, ma un politico di grande spessore: la norvegese Gro Harlem Brundtland, primo ministro nel 1981, poi nel 1986-89 e ancora nel 1990-96. Nel 1983 è stata anche designata dall’Onu presidente della Commissione che nel 1987, col rapporto Our Common Future, ha lanciato il concetto di “sviluppo sostenibile”. La Bruntland insiste su un rapporto capillare tra direzione centrale e presidi sanitari locali. Così, quando nel febbraio del 2003 in Cina emerge il contagio della Sars e il governo di Pechino sembra esitare a riconoscere l’allarme, la Oms interviene subito per convincere il governo cinese ad agire. L’efficacia è tale che le vittime saranno meno di un migliaio, nonostante il contagio arrivi in 26 Paesi.
Dopo la Brundtland, nel 2004 torna un tecnico: il medico sud-coreano Lee Jong-wook. Nel 2005 vengono aggiornate le International Health Regulations: documento legale con cui i Paesi membri aderiscono all’impegno di attrezzarsi per individuare e segnalare eventi di interesse sanitario, seguendo gli standard fissati e consentendo alla Oms di intervenire e dichiarare l’emergenza internazionale. Ma nel 2006 Lee muore all’improvviso, di trombosi. Dopo la breve direzione ad interim dello svedese Anders Nordström, arriva al vertice Margaret Chan, già responsabile del Dipartimento alla Salute di Hong Kong. Il suo non è propriamente un curriculum senza macchia, viste le durissime accuse di inefficienza giunte dal Consiglio Legislativo di Hong Kong per la sua gestione della Sars: 299 vittime nel Territorio, quasi un terzo del bilancio mondiale delle perdite. Ma dopo gli attacchi alle Torri Gemelle l’ossessione degli Stati Uniti per far schierare con forza la Oms sul fronte del terrorismo biologico, anche al costo di trascurare altre emergenze, ha portato a un clima di crescente scontro tra Washington e l’asse Bric (Brasile-Russia-India-Cina). Cinese ma del territorio occidentalizzato di Hong Kong, per quanto contestata, la Chan è un compromesso. Nel suo discorso di insediamento ricorda l’Africa e le donne come emergenze principali del suo mandato.
Purtroppo, le stesse accuse di inefficienza che le erano state mosse a Hong Kong trovano riscontri nelle polemiche sulla sua gestione della Oms, anche se viene confermata per due mandati consecutivi. Nel 2010 è accusata di aver originato un allarme eccessivo sulla pandemia di influenza suina H1N1 dell’anno prima. Sempre nel 2010, durante una visita in Corea del Nord dichiara come il sistema sanitario locale sia “invidiabile” e loda che nel Paese non ci siano problemi di obesità: cosa che, anche alla luce della precedente carestia e delle denunce della Brundtland del 2001, suona di umorismo nero. Nel 2014 e 2015 le si imputa una risposta tardiva all’epidemia di Ebola in Africa Occidentale. I dubbi sulla sua figura sembrano confermati da come nel 2021 elogia le elezioni truffa di Hong Kong. Ma è pur vero che, al di là dei limiti della Chan, nel 2011, per via della crisi economica, il bilancio Oms deve essere tagliato di un miliardo di dollari, e ben 300 posti dello staff sono soppressi. Mancanza di risorse e di leadership contribuiscono a far decadere l’immagine della Oms da strumento di governo a mero organo consultivo e camera di compensazione, tant’è che a un certo punto la gestione dell’emergenza Ebola deve essere assunta direttamente dall’Onu.
Tecnico stimato e al contempo politico, proveniente da un Paese africano in rapida crescita, con stretti contatti con la Cina, e primo Direttore Generale della Oms proveniente dall’Africa, Tedros Adhanom Ghebreyesus nel voto a scrutinio segreto prevale con 133 voti su 185, su cinque candidati, tra cui l’inglese David Nabarro (appoggiato da Usa, Regno Unito e Canada) e la pakistana Sania Nishtar. È il chiaro risultato di una confluenza anti-occidentale in cui la Cina fa un passo indietro dopo la pessima prova della Chan − compensandolo peraltro due anni dopo con l’arrivo a capo della Fao di un suo ex-vice Ministro dell’Agricoltura. E mette appunto un suo cliente che al contempo ha immagine di efficienza e dà agli africani il protagonismo cui credono di avere diritto. Al lancio della candidatura hanno partecipato il Presidente della Commissione dell’Unione africana, Nkosazana Dlamini-Zuma, i Ministri degli Affari Esteri del Ruanda e del Kenya e il Ministro della Salute dell’Algeria. Lo slogan della sua campagna è: “Insieme per un mondo più sano”.
Cinque anni dopo, il 25 gennaio 2022 Tedros Adhanom Ghebreyesus è stato nominato dal comitato esecutivo per la rielezione a maggio senza opposizione, ma lo scenario è tutt’altro che trionfale. Tra i 28 Stati che si sono detti favorevoli a proseguire il suo mandato, per lo più africani, non c’è infatti l’Etiopia. C’è però la Germania, la prima a fare il suo nome il 22 settembre. E tra i 160 che non hanno nominato nessuno ci sono anche la Cina e gli Stati Uniti. La sensazione generale è che con la pandemia di Covid ancora in corso non si sia voluto fare un cambio al vertice tale da compromettere la necessaria continuità di azione. Nel contempo, però, sono emersi vari problemi. Il più clamoroso è quello tra il direttore generale e il suo Governo, perché Tedros Adhanom Ghebreyesus è esponente di quel Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (Fplt) che dopo aver gestito il Paese in seguito alla cacciata di Menghistu, con potere quasi assoluto, ha tentato un segnale di apertura portando a eleggere Primo Ministro Abiy Ahmed Ali, di etnia oromo. Dopo che era stato insignito del Nobel per la Pace, però, Ahmed si è scontrato duramente col Governo locale del Tigrè, ancora espressione del Fplt, e il risultato è stato addirittura una guerra civile nella quale l’ex Ministro della Sanità e degli Esteri, ora direttore generale della Oms, appare come schierato con i ribelli. Il capo di Stato maggiore etiopico lo ha perfino accusato di aver cercato di procurare loro armi, e il 14 gennaio del 2022 il Governo di Addis Abeba ha chiesto formalmente di metterlo sotto indagine.
Tra le molte scelte contestate al suo primo mandato, una delle più imbarazzanti è quella di nominare lo screditatissimo Presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ambasciatore di buona volontà della Oms: letta come ringraziamento all’appoggio alla sua candidatura ricevuto dallo stesso Mugabe come presidente dell’Unione africana, una indicazione peraltro dubbiamente revocata di fronte alla valanga di proteste. Ma, soprattutto, a Ghebreyesus è contestata la mancanza di polso verso Pechino sul Covid, a differenza di quanto aveva fatto la Bruntland sulla Sars. Il 14 gennaio 2020 l’Oms accredita la tesi cinese che non ci siano prove della diffusione tra umani. Ancora il 23 gennaio dichiara che non ci sia ancora un livello di emergenza internazionale.
Il 30 gennaio, dopo un incontro a Pechino con Xi Jinping, Tedros spiega che “la Cina sta effettivamente definendo nuovi standard per la lotta alle epidemie”, elogiando la gestione del virus, e raccomandandone il modello. Il 31 gennaio la Oms dichiara che è un’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale, ma Tedros puntualizza che non c’è da limitare il commercio o i viaggi con la Cina e insiste: “lasciatemi essere chiaro, questa dichiarazione non è un voto di sfiducia nei confronti della Cina”. Mentre i comunicati della Oms elogiano “la dedizione delle autorità e la trasparenza dimostrata” dalla Cina, gli Usa sono accusati di alimentare “paura e stigma” per aver bloccato i voli dalla Cina. Anche l’Italia prende critiche del genere. Nella prima settimana di febbraio 2020 Tedros ribadisce che non bisogna “interferire inutilmente con i viaggi e il commercio internazionale”. Ma solo l’8 febbraio la Cina ammette gli osservatori della Oms nel Paese. Questi peraltro dopo il sopralluogo elogiano Pechino per aver “dispiegato il più ambizioso, agile e aggressivo sforzo di contenimento della storia”. Infine, bisogna aspettare l’11 marzo perché il Covid-19 sia dichiarato pandemia.
I leader africani continuano a sostenere Tedros, anche perché il loro è il continente meno colpito. Ma il 7 aprile Trump attacca la Oms in un tweet, e una settimana dopo decide di sospenderle i finanziamenti per un periodo che va dai 60 ai 90 giorni. “La Cina ha il controllo totale sulla Oms nonostante paghino 40mln di dollari l’anno mentre gli Usa ne pagano circa 450mln. Poiché hanno fallito nel fare le riforme necessarie e richieste, oggi terminiamo le nostre relazioni con la Oms dirigendo quei fondi verso altre organizzazioni”, conferma il presidente Usa il 29 maggio. Gli Usa sono il primo finanziatore della Oms con il 15% del bilancio, davanti al 10% della Bill and Melinda Gates Foundation e l’8% del Regno Unito. L’uscita degli Usa dalla Oms, annunciata il 7 luglio del 2020 per il 6 luglio 2021, verrà poi bloccata da Biden non appena si insedia, ma in realtà l’analisi di Trump è largamente condivisa negli Usa, e il dissenso è essenzialmente verso questo gesto unilaterale, un modo anche per distrarre dalle proprie responsabilità.
Fellow for Global Health & Cybersecurity al Council for Foreign Relations e consigliere della Oms, David Fidler dice al Guardian che l’attacco di Trump alla Oms non ha precedenti, e che mai la Oms è stata trattata così male dai suoi membri. Secondo il direttore di The Lancet Richard Horton, le capacità della Oms di leadership e di coordinare una risposta sanitaria mondiale sono ormai inesistenti. Non mancano tuttavia apprezzamenti per il modo in cui Tedros è riuscito a far distribuire i vaccini. A ogni occasione ha reiterato il suo appello per l’abolizione dei brevetti e la condivisione con tutti i Paesi più bisognosi, ritardando i booster finché almeno tutti gli operatori sanitari del mondo avessero ricevuto una dose.
Equilibri mondiali, problemi di bilancio e personalità del direttore generale a parte, la Oms ha comunque il problema che non può imporre linee di azione in modo coattivo, ma solo fare raccomandazioni.
Un dato che ha però suscitato interesse è che poco prima di candidare Tedros per la riconferma, il primo settembre 2021 la Germania lo aveva invitato a Berlino, perché inaugurasse il nuovo WHO Hub for Pandemic and Epidemic Intelligence. Una cerimonia dove a tagliare il nastro con lui era presente anche la Cancelliera Angela Merkel a fine mandato, ma quasi con l’intenzione di lasciare questa istituzione come sua eredità. Il tutto è stato letto da vari osservatori come una Opa su una Oms che per rilanciarsi avrebbe bisogno appunto di uscire dai giochi di influenza che ne hanno travagliato gli ultimi anni, offrendo in cambio nuovi finanziamenti, l’immagine teutonica di efficienza e anche il potenziale economico e scientifico tedesco. La Germania durante la pausa dei finanziamenti Usa sarebbe divenuta la prima fornitrice di fondi, e questa struttura è comunque sostenuta anche dal governo federale, che ha stanziato circa 30 milioni di euro.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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Nato ad Asmara in Eritrea nel 1965 e laureato in Biologia nel 1986 all’Università di Asmara, Tedros Adhanom Ghebreyesus rimane però cittadino etiopico anche dopo l’indipendenza eritrea. Dopo aver iniziato a lavorare per il Ministero della Salute nel 1986, ottiene nel 1992 una laurea specialistica in Immunologia delle Malattie Infettive della Scuola di Igiene e delle Malattie Tropicali dell’Università di Londra, seguita nel 2000 da un dottorato di ricerca all’Università di Nottingham. La tesi − una ricerca sull’effetto delle dighe sulla trasmissione della malaria nella regione del Tigrè − ha una certa eco. È Ministro della Salute tra il 2005 e il 2012, quando la mortalità infantile in Etiopia si riduce da 123 morti ogni 1000 nati del 2006 a 88 del 2011, grazie a una serie di misure come l’assunzione e formazione di circa 40.000 donne nel campo della sanità e l’aumento di assunzioni di ostetriche e di lavoratori altamente qualificati. Tra il 2009 e il 2011 è anche Presidente del Fondo globale per la lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria. La ribalta internazionale favorisce a sua volta un’ulteriore promozione interna a Ministro degli Esteri, tra il 2012 e il 2016. Il 23 maggio del 2017 è eletto Direttore Generale dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Agenzia delle Nazioni Unite nata nel 1948, con sede a Ginevra, la Oms ha l’obiettivo istituzionale di garantire i più alti livelli possibili di salute alla popolazione mondiale. Attualmente ne fanno parte 194 Stati, per assistere i quali ha al suo servizio 150 uffici sparsi nel mondo con 7000 collaboratori. La sua attività non è solo scientifica, ma anche diplomatica. In piena Guerra fredda, ad esempio, nel 1959, la Oms riesce a combinare l’accordo tra il Center for Disease Control (Cdc) Usa e il suo allora omologo sovietico, grazie al quale con 450 milioni di dosi di vaccino prodotte nell’Urss e il finanziamento statunitense, si lancia la campagna che porterà entro il 1977 a sradicare il vaiolo dal pianeta. La lotta all’Aids riporterà invece insuccessi che alimentano gravi polemiche nei 10 anni in cui è direttore generale il medico giapponese Hiroshi Nakajima, tra il 1988 e il 1998. Per la vaghezza del suo mandato, gran parte della gestione della Oms dipende dal modo in cui il direttore generale interpreta il suo ruolo, così, per superare l’impasse, a Nakajima succede non un altro tecnico, ma un politico di grande spessore: la norvegese Gro Harlem Brundtland, primo ministro nel 1981, poi nel 1986-89 e ancora nel 1990-96. Nel 1983 è stata anche designata dall’Onu presidente della Commissione che nel 1987, col rapporto Our Common Future, ha lanciato il concetto di “sviluppo sostenibile”. La Bruntland insiste su un rapporto capillare tra direzione centrale e presidi sanitari locali. Così, quando nel febbraio del 2003 in Cina emerge il contagio della Sars e il governo di Pechino sembra esitare a riconoscere l’allarme, la Oms interviene subito per convincere il governo cinese ad agire. L’efficacia è tale che le vittime saranno meno di un migliaio, nonostante il contagio arrivi in 26 Paesi.