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Australia, elezioni in un mondo instabile


Il liberale Morrison punta sul clima d’emergenza per la riconferma. Lo sfidante laburista Albanese parla al cittadino medio di economia e carovita. L’ambiente resta marginale per entrambi nonostante le recenti catastrofi naturali

“Abbiamo avuto siccità, alluvioni, incendi e pandemia. Ora dobbiamo vedercela con la Guerra”. Con queste parole, usate come per evocare le piaghe bibliche, il Primo Ministro uscente australiano Scott Morrison ha aperto la campagna elettorale lo scorso aprile dopo aver indetto le elezioni federali per il 21 maggio. Devoto della chiesa pentecostale Horizon Church – quella che teorizza la teologia della prosperità individuale − Morrison, in corsa per la riconferma,  ha fatto capire da subito quale sia la strategia dei Liberals per sconfiggere i Labor e ottenere un quarto mandato consecutivo: persuadere gli australiani che la coalizione dei conservatori sia la sola forza politica in grado di gestire con mano ferma gli interessi geopolitici e l’economia del Paese in una situazione di emergenza sanitaria e di estrema instabilità, regionale e globale. I sondaggi, per ora, gli stanno dando ragione. Il significativo vantaggio di cui, per quasi un anno, ha goduto il partito laburista nelle rilevazioni sulle intenzioni di voto si sta gradualmente assottigliando. Secondo i media australiani Morrison sarebbe addirittura in vantaggio sullo sfidante Anthony Albanese. L’inasprimento del conflitto in Ucraina, il controllo del Pacifico e il progressivo deterioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Cina, con cui ormai, anche il Governo australiano è ai ferri corti, hanno avuto un ruolo fondamentale in questo spostamento di preferenze. Economia interna, diversificazione dei mercati per l’export e riposizionamento strategico-militare nel sud-est asiatico sono diventati così i temi elettorali sui quali si scontreranno Morrison e Albanese, con la questione ambientale ancora una volta relegata a un ruolo marginale.

Il Covid ha avuto un impatto molto pesante sull’economia australiana. Se dal punto di vista sanitario la scelta del Governo Morrison di adottare restrizioni che hanno a lungo paralizzato le aziende ha portato effetti positivi − in pratica l’Australia azzerò i contagi già verso la fine del 2020 − da quello economico è stata una mezza catastrofe. Il Pil ha fatto registrare un calo del 7% dopo le chiusure di inizio pandemia, con 2.7 milioni di persone, su una popolazione di 25 milioni, rimaste senza lavoro o con un numero di ore lavorative drasticamente ridotto. A seguito della rimozione delle misure di contenimento della pandemia, l’economia australiana, trainata dall’esportazione di materie prime e da stanziamenti governativi per il rilancio di quasi 300 miliardi di dollari australiani, si è scrollata di dosso in breve tempo la recessione e ha ricominciato a dare segnali positivi, con il tasso di disoccupazione che in pochi mesi è sceso di due punti percentuali (dal 6% al 4%). In questa fase si è registrato lo strappo definitivo con Pechino, con cui Canberra è legata a doppio filo da decenni. Nell’aprile del 2020 Morrison ha invocato una commissione internazionale che indagasse sulle origini del Covid nel Paese del Dragone, il più grande partner commerciale dell’Australia, destinazione del 35% dell’export del Paese (ferro, carbone, gas, lana) per un valore di oltre 100 miliardi di dollari nel 2019. Inoltre, sempre nei mesi della prima ondata di Covid in Australia, una commissione parlamentare ha stabilito che i rischi economici associati alla dipendenza da un unico mercato, quello cinese, fossero troppo alti e che occorresse diversificare le esportazioni. Così nel giro di due anni Canberra ha intrapreso la strada del decoupling siglando accordi di libero scambio con una decina di Paesi dell’Asia orientale e del Pacifico e, soprattutto, con l’India (l’AI-ECTA, dazi commerciali praticamente azzerati, secondo gli esperti gli scambi tra i due Paesi passeranno dagli attuali 27 miliardi di dollari a oltre 45 miliardi nei prossimi cinque anni) e il Regno Unito (l’A-UKFTA, l’accordo elimina le tariffe dal 99% delle esportazioni australiane, favorendo le vendite di vino, carne bovina e zucchero australiani, merci recentemente boicottate dalla Cina).

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