La Cina è pronta a facilitare il dialogo tra Israele e Palestina. Intervento diretto del Ministro degli Esteri Qin dopo le settimane di scontri tra l’esercito israeliano e la popolazione palestinese. Si parla ancora di soluzione a due Stati
Il protagonismo cinese sul piano diplomatico internazionale prende sempre più forma, specie nell’area mediorientale, dove Pechino si erge a broker per la pace e mediatore tra realtà statuali da tempo in difficoltà. Il caso dell’accordo sottoscritto a Pechino tra Iran e Arabia Saudita, che ha posto fine a un pericoloso silenzio che durava dal 2016, potrebbe non essere un caso isolato, anche se ora la posta in gioco diventa massima, entrando nei meandri di storici conflitti, latenti da oltre 70 anni.
Sono, infatti, Israele e Palestina le due nuove realtà d’interesse per la nomenclatura cinese che, tramite il Ministro degli Esteri Qin Gang, si vorrebbero far sedere al tavolo delle discussioni per la ripresa dei colloqui di pace. L’esponente del Partito Comunista ha chiamato i colleghi israeliano e palestinese, Eli Cohen e Riyad Al-Maliki, chiedendo loro di parlare della soluzione a due Stati, per la quale la Cina è pronta a giocare un ruolo attivo. Dove per decenni ha miseramente fallito la comunità internazionale — Stati Uniti su tutti — può la Repubblica Popolare trovare una nuova strada per scardinare le tensioni esistenti sulla sponda Tel Aviv-Ramallah?
Al Ministro israeliano, Qin ha suggerito che la priorità imminente è quella di riportare la situazione sotto controllo e prevenire un’escalation del conflitto; al collega palestinese, il Ministro degli Esteri cinese ha ricordato che il suo Paese condanna il mancato rispetto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ad entrambi, viene ribadita l’assenza di interessi secondari della Cina nella questione israelo-palestinese, con Pechino che “spera solamente possano coesistere pacificamente per la salvaguardia della stabilità regionale”.
Un’aspirazione non di poco conto che, paradossalmente, mette in luce i diretti interessi cinesi, che in quell’area matura sempre più una presenza economica e, appunto, diplomatica di rilievo. Partendo dalle recenti evoluzioni tra Riad e Teheran. “L’Arabia Saudita e l’Iran — ha detto il Ministro degli Esteri cinese — hanno recentemente ripristinato le relazioni diplomatiche attraverso il dialogo, la rappresentazione di un esempio positivo per superare le differenze”. È anche grazie alla mediazione cinese che i due Paesi del Golfo riapriranno le rispettive ambasciate, riesumando inoltre l’accordo sulla cooperazione in ambito sicurezza firmato nell’aprile del 2001 e il general agreement del 1998 sul rafforzamento dell’interscambio economico, commerciale, sugli investimenti, in ambito tecnico, scientifico e culturale.
“Israele — si legge in un pezzo pubblicato dall’agenzia Xinhua, che cita il Ministro israeliano Cohen — attribuisce grande importanza all’influenza della Cina e pone attenzione sulla questione del nucleare iraniano, aspettandosi che Pechino possa svolgere un ruolo positivo”. Tel Aviv continua a respingere ogni possibilità rispetto a una rivitalizzazione dell’accordo sul nucleare iraniano, ma i cinesi sembrano pensarla diversamente. “Si spera — ha detto Qin — che tutte le parti promuovano dialogo e riconciliazione, implementino il Joint Comprehensive Plan of Action sulla questione del nucleare iraniano e salvaguardino la tranquillità del Medio Oriente”.
Se rispetto alla guerra in Ucraina la Cina fa fatica ad ergersi da mediatore, vista l’iniqua vicinanza tra Pechino e Mosca paragonata a quella con Kiev e a causa dell’ostracismo occidentale verso la nazione guidata da Xi Jinping, la Repubblica Popolare sembra trovare maggiori riscontri nell’area mediorientale. Dopo il patto tra Iran e Arabia Saudita, il sogno di una pace tra Israele e Palestina, che andrebbe — diversamente da quanto affermato da Qin — ad avvantaggiare direttamente la Cina, offuscando ulteriormente la già precaria immagine statunitense.
Il protagonismo cinese sul piano diplomatico internazionale prende sempre più forma, specie nell’area mediorientale, dove Pechino si erge a broker per la pace e mediatore tra realtà statuali da tempo in difficoltà. Il caso dell’accordo sottoscritto a Pechino tra Iran e Arabia Saudita, che ha posto fine a un pericoloso silenzio che durava dal 2016, potrebbe non essere un caso isolato, anche se ora la posta in gioco diventa massima, entrando nei meandri di storici conflitti, latenti da oltre 70 anni.