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Turchia: elezioni storiche e ruolo nella Nato


Il declino in patria di Erdogan si affianca alla crisi con la Nato, irritata dal braccio di ferro su Svezia e Finlandia, mentre la strategia di Putin sembra approfittare delle incomprensioni per allargare la spaccatura fra Ankara e gli alleati

La Turchia può e vuole ancora stare a pieno titolo nella Nato? Di primo acchito, a una domanda del genere gli analisti dell’Alleanza risponderebbero “sì, senza dubbio”. L’avanguardia militare atlantica in posizione vicina al “ventre molle” della Russia dovrebbe essere talmente preziosa per gli equilibri strategici dell’Occidente da spazzare via ogni critica sulla cultura democratica applicata da Ankara. Ma negli ultimi anni qualcosa è cambiato, e non in modo insignificante. E l’“operazione speciale” lanciata dalla Russia contro l’Ucraina ha messo in rilievo questi cambiamenti in maniera brutale. A fare il punto in questo senso è intervenuto con energia James Stavridis III, ammiraglio a 4 stelle in pensione ma soprattutto ex comandante militare supremo delle forze Nato. Stavridis ha alzato la voce per bacchettare la leadership turca: secondo l’ammiraglio nessuno dovrebbe essere costretto a decidere se avere come alleati Svezia e Finlandia da una parte o Turchia dall’altra. Ma toccherà a Recep Tayyip Erdogan fare in modo che non ci sia bisogno di scegliere.

In un commento scritto per l’agenzia Bloomberg e pubblicato anche dal Washington Post, l’ammiraglio esamina come la Turchia stia assumendo la posizione “controproducente” di ostacolare l’adesione delle nazioni nordiche all’alleanza, vincolando il via libera di Ankara a quello che la leadership turca vede come un “sostegno a gruppi terroristici” della minoranza curda. In particolare, Erdogan vorrebbe strappare a Svezia e Finlandia un accordo per estradare in Turchia almeno 130 curdi ricercati che considera terroristi.

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