Il presidente colombiano ha annunciato il taglio delle esportazioni di carbone verso Israele “fino a quando non si fermi il genocidio a Gaza”. Quel che in passato fu il principale alleato di Israele nella regione è oggi il primo paese latinoamericano a prendere una posizione ostile.
Gustavo Petro ha scelto di fare un altro passo avanti nella condanna nei confronti del governo di Israele dopo l’escalation diplomatica già cominciata ad ottobre dopo l’avvio delle operazioni militari israeliane su Gaza. Questa settimana Petro ha annunciato il taglio definitivo all’invio di carbone a Tel Aviv, principale asset delle esportazioni colombiane verso Israele. “Fino a quando non si fermi il genocidio”, ha annunciato il presidente, sollevando però forti proteste da parte dell’Associazione Colombiana delle Miniere: per i produttori di carbone infatti Israele rappresenta quasi il 6% delle proprie esportazioni e la sospensione significherà perdite milionarie oltre a “colpire la credibilità internazionale del paese”, assicurano gli imprenditori in un comunicato.
Si tratta dell’ennesima presa di posizione decisa da Petro contro Israele, da mesi ormai portavoce latinoamericano della condanna contro le azioni intraprese dal governo di Netanyahu dopo gli attacchi del 7 ottobre scorso. L’intesa tra Colombia e Israele però è stata in passato molto intensa. Tutti i governi colombiani, storicamente legati ad una matrice conservatrice e subordinata alle posizioni degli Stati Uniti nell’ambito delle relazioni internazionali, si sono sempre mantenuti neutrali di fronte al conflitto palestinese sin dai primi anni Cinquanta. Il silenzio di Bogotà – e la sua vicinanza a Washington in molti altri aspetti – è stato spesso interpretato come un assenso da parte di Israele, che a partire dagli anni ’80 ha stabilito una forte cooperazione con la Colombia, specialmente nel settore militare. Il paese sudamericano strinse accordi per l’acquisto di aerei da combattimento Kfir, fucili d’assalto Galil – che dal 1994 vengono fabbricati direttamente in Colombia -, e si cominciarono anche a mettere le basi per la creazione di programmi di formazione e addestramento delle forze armate colombiane in tecniche antiterrorismo da parte dei servizi segreti israeliani.
Un caso che trascese a livello internazionale e obbligò entrambi i paesi a raffreddare le relazioni negli anni ’90 fu quello di Yair Klein, ex colonnello dell’esercito israeliano condannato in Colombia nel 2002 per aver partecipato alla formazione e addestramento di gruppi paramilitari assieme ad altri ex agenti del Mossad. Il legame in questo ambito tra i due paesi visse però un nuovo impulso nei primi anni 2000, dopo l’istituzione del Plan Colombia, l’accordo di cooperazione siglato tra Usa e il governo di Álvaro Uribe Vélez per la lotta contro i cartelli narcos e le guerriglie di sinistra nel paese. Israele vedeva in quel piano una doppia opportunità: rafforzare la propria presenza in America Latina, dove poteva contare sul sostegno dell’Argentina e dove sembravano sempre più attivi gruppi legati a Hezbollah; e ottenere una via privilegiata per l’approvvigionamento di materie prime, specialmente il carbone colombiano, sotto la protezione del proprio alleato principale, gli Stati Uniti.
Il 95% delle esportazioni colombiane verso Israele sono proprio di carbone, per un valore di circa 1,1 miliardi di dollari nel 2022. Un volume commerciale non indifferente per un paese di reddito medio e con una forte dipendenza dalle esportazioni di idrocarburi. Le relazioni bilaterali hanno poi raggiunto il loro apice nel 2014, quando i due governi hanno firmato un Accordo di Libero Scambio, entrato in vigore nel 2020, che ha trasformato la Colombia nel secondo partner commerciale di Israele in America Latina, dopo il Brasile.
Il conflitto tra Gustavo Petro – che da ex guerrigliero del M-19 negli anni ’80 conosce in prima persona l’azione dell’esercito israeliano e del Mossad nel suo paese – e il governo di Netanyahu, è iniziato già ad ottobre del 2023, quando Bogotà prese subito le distanze dalle operazioni militari nella Striscia di Gaza, e l’ambasciatore israeliano mantenne una diatriba sui social con lo stesso presidente colombiano e il ministro degli Esteri.
Il governo israeliano accusò Petro di antisemitismo, e la risposta fu immediata: “Se dobbiamo sospendere le relazioni esterne con Israele, le sospendiamo. Non sosteniamo genocidi”. Fu proprio in quei giorni che Israele sospese a tempo indeterminato la cooperazione militare con la Colombia, inclusi la consulenza e l’invio di aggiornamenti di sistemi di cybersicurezza e vigilanza aerea.
Lo scorso 1 maggio il governo colombiano ha annunciato la rottura diplomatica definitiva con Israele: “La Colombia non può essere né complice né mantenersi in silenzio, intrattenendo relazioni diplomatiche con un governo che si comporta in questo modo e affronta così gravi accuse di genocidio, crimini di guerra e violazioni del diritto internazionale umanitario”, ha giustificato il ministero degli Esteri colombiano.
A Bogotà è arrivato poi il Consigliere presidenziale per gli affari internazionali della Palestina, Riad Malki, che oltre a consegnare l’Ordine al Merito a Gustavo Petro, ha siglato un’alleanza che riconosce a livello globale il giro a 360 gradi realizzato dalla Colombia: da principale alleato dei governi israeliani in America Latina, a portavoce della causa palestinese nella regione. A fine maggio il presidente colombiano ha dato istruzioni al ministero degli Esteri di istituire un’ambasciata colombiana a Ramallah. In quegli stessi giorni aveva cercato di far esporre una bandiera palestinese gigante in occasione dell’incontro valido per la qualificazione alla Coppa Libertadores tra i colombiani del Millonarios e la squadra cilena Palestino, fondata dalla diaspora palestinese a Santiago. A negare la possibilità fu la stessa federazione calcistica sudamericana, la Conmebol, che ritenne la proposta “discriminatoria”.
L’impatto di tale svolta diplomatica può essere duro. Specialmente per i 5000 colombiani che risiedono oggi in Israele, ma anche dal punto di vista economico le ricadute potrebbero farsi sentire. Il volume del commercio bilaterale e degli investimenti israeliani in Colombia (particolarmente nei settori fintech, insurtech, blockchain e tecnologia per l’industria) si è triplicato dal 2020. E sebbene alcuni paesi latinoamericani abbiano preso le distanze da Israele negli ultimi mesi, nessuno sembra, come vorrebbe lo stesso Petro, voler seguire le orme della diplomazia colombiana: un ritorno della destra al potere a Washington potrebbe condannare i governi disallineati dell’America Latina all’isolamento che già pesa su Venezuela, Cuba, Nicaragua e – in parte – la Bolivia.
Gustavo Petro ha scelto di fare un altro passo avanti nella condanna nei confronti del governo di Israele dopo l’escalation diplomatica già cominciata ad ottobre dopo l’avvio delle operazioni militari israeliane su Gaza. Questa settimana Petro ha annunciato il taglio definitivo all’invio di carbone a Tel Aviv, principale asset delle esportazioni colombiane verso Israele. “Fino a quando non si fermi il genocidio”, ha annunciato il presidente, sollevando però forti proteste da parte dell’Associazione Colombiana delle Miniere: per i produttori di carbone infatti Israele rappresenta quasi il 6% delle proprie esportazioni e la sospensione significherà perdite milionarie oltre a “colpire la credibilità internazionale del paese”, assicurano gli imprenditori in un comunicato.
Si tratta dell’ennesima presa di posizione decisa da Petro contro Israele, da mesi ormai portavoce latinoamericano della condanna contro le azioni intraprese dal governo di Netanyahu dopo gli attacchi del 7 ottobre scorso. L’intesa tra Colombia e Israele però è stata in passato molto intensa. Tutti i governi colombiani, storicamente legati ad una matrice conservatrice e subordinata alle posizioni degli Stati Uniti nell’ambito delle relazioni internazionali, si sono sempre mantenuti neutrali di fronte al conflitto palestinese sin dai primi anni Cinquanta. Il silenzio di Bogotà – e la sua vicinanza a Washington in molti altri aspetti – è stato spesso interpretato come un assenso da parte di Israele, che a partire dagli anni ’80 ha stabilito una forte cooperazione con la Colombia, specialmente nel settore militare. Il paese sudamericano strinse accordi per l’acquisto di aerei da combattimento Kfir, fucili d’assalto Galil – che dal 1994 vengono fabbricati direttamente in Colombia -, e si cominciarono anche a mettere le basi per la creazione di programmi di formazione e addestramento delle forze armate colombiane in tecniche antiterrorismo da parte dei servizi segreti israeliani.