Alle amministrative di domenica, la sinistra al governo perde terreno in quasi tutto il paese. Ma non si produce nemmeno la riscossa dell’estrema destra. A vincere sono i partiti più tradizionali e moderati.
Le elezioni amministrative di questa domenica in Brasile hanno rappresentato una battuta d’arresto significativa per il governo di Luiz Inácio Lula da Silva, proprio a metà del suo mandato. Complessivamente, 155 milioni di brasiliani sono stati chiamati a eleggere sindaci e amministratori locali in 5.570 comuni. E il Partito dei Lavoratori (PT) non è riuscito a conquistare al primo turno nessuno dei 26 capoluoghi coinvolti nelle votazioni, e solo in quattro di essi parteciperà al ballottaggio previsto per il 27 ottobre. L’unico segnale positivo per il PT è giunto da Rio de Janeiro, tradizionale roccaforte delle milizie bolsonariste, dove il sindaco in carica, Eduardo Paes, del Partito Socialdemocratico (PSDB), sostenuto esternamente dal PT, ha vinto con oltre il 60% dei voti.
Il PSDB, che in passato ha rappresentato un forte oppositore della sinistra lulista – basti pensare al suo ruolo nella destituzione dell’ex presidente Dilma Rousseff nel 2016 – è stato il vero vincitore di queste elezioni. Il partito passerà dal governare 224 comuni a ben 878, in attesa dei ballottaggi di fine ottobre che potrebbero ampliare ulteriormente questo risultato. Gli elettori hanno premiato, in generale, opzioni politiche più tradizionali e conservatrici. Il Movimento Democratico Brasiliano (MDB), partito centrista che ha sostenuto quasi tutti i governi dagli anni Novanta ad oggi, si è affermato come la seconda forza politica a livello territoriale, con il controllo di 844 municipi. Si tratta dei movimenti e partiti che hanno governato il Brasile tra la fine della dittatura militare, nel 1986, e il primo governo Lula, nel 2003, a cui si aggiunge una costellazione di partiti locali con piccole rappresentanze nel congresso nazionale che tessono alleanze pragmatiche, in cambio di concessioni da ostentare nei loro territori. E’ quel che nella politica brasiliana si chiama Centrão, debilitato negli ultimi anni di forte polarizzazione tra Lula e Bolsonaro, ma che esce rinvigorito dalle elezioni di domenica scorsa.
Il Partito Liberale (PL) di Jair Bolsonaro ha conquistato finora 510 comuni, un aumento di 165 rispetto al 2020, mentre il PT ne controllerà 247. Un dato rilevante è la crescita dell’estrema destra non bolsonarista, rappresentata da União Brasil, che ha eletto 578 sindaci, e da Republicanos, il braccio politico di una delle più influenti chiese pentecostali del paese, che governerà 430 città.
Il confronto più significativo si svolgerà però a San Paolo, la città più popolosa dell’America Latina. Il 27 ottobre si sfideranno l’attuale sindaco Ricardo Nunes, del Partito Liberale, che ha ottenuto il 29,5% dei voti, e il giovane deputato dell’estrema sinistra Guilherme Boulos, sostenuto dal governo Lula, che ha raggiunto il 29%. Il futuro politico di Boulos sembra legato all’esito di questa sfida, essendo uno dei nomi in lizza per rappresentare la sinistra alle prossime elezioni presidenziali, qualora Lula decidesse di spostare ulteriormente a sinistra il proprio progetto politico. Gli analisti sono ora concentrati però sul futuro dei voti di Pablo Marçal, un imprenditore e influencer di estrema destra che ha ottenuto il 28% alle elezioni pauliste, diventando il protagonista della campagna elettorale. I suoi spot e i suoi interventi sono stati spesso cancellati dalle autorità federali per il contenuto violento, omofobo e razzista, e poche ore prima dell’apertura dei seggi ha addirittura divulgato un certificato falso che indicava una possibile tossicodipendenza di uno dei suoi rivali. Durante il dibattito televisivo che ha preceduto i comizi di domenica, José Luiz Datena, veterano politico paulista, ha direttamente perso le staffe di fronte ai ripetuti insulti proferiti da Marçal e lo ha aggredito con una sedia in diretta TV. A forza di scandali la sua popolarità è cresciuta a dismisura, e la sua candidatura ha sollevato grandissimi timori: già condannato per truffa nel 2010, il suo partito è sospettato di avere forti connessioni con una delle organizzazioni criminali più grandi del mondo, il Primo Commando della Capitale. Al di lá del risultato di domenica, è particolarmente rilevante lo sbarco di questo tipo di settori nella politica brasiliana, più a destra di Bolsonaro, con legami più o meno evidenti col crimine organizzato, e con un sostegno elettorale esteso specialmente tra i settori più umili della popolazione. Proprio per questo non è scontato che i voti di Marçal vadano direttamente alla destra nel prossimo ballottaggio: il bisogno di un cambiamento a San Paolo potrebbe pesare ancor più della dicotomia Lula/Bolsonaro, che fino a domenica sembrava essere l’unica chiave di lettura della politica brasiliana.
Il governo Lula, che ha puntato con decisione al ritorno del Brasile tra le potenze mondiali, vede ora affievolirsi l’entusiasmo che aveva caratterizzato il suo ritorno al potere due anni fa. Secondo Datafolha, l’approvazione del suo operato si attesta attorno al 35%, in calo rispetto al 2023, quando il 41% valutava positivamente l’esecutivo. Nonostante una crescita economica stabile intorno al 3%, i miglioramenti concreti nella vita dei brasiliani si fanno attendere, e l’elettorato, che sperava in un’inversione di rotta, soprattutto in termini di redistribuzione della ricchezza, si sente deluso. Il PT è inoltre in minoranza nel Congresso e Lula deve affrontare la minaccia dell’impeachment, usata dalla destra e dal Centrão per moderare le iniziative più progressiste del governo.
In questo quadro, si era ipotizzato un ritorno con forza del bolsonarismo nelle amministrazioni locali. Bolsonaro ha sfruttato la polemica sulla sospensione di X (ex Twitter) e il conflitto tra Elon Musk e la Corte Suprema brasiliana, dipingendo le rivendicazioni di Musk come una lotta per la libertà contro la censura, orchestrata da Lula. Tuttavia, anche Musk ha dovuto cedere alle richieste della giustizia brasiliana, e il dibattito politico, almeno in questo contesto, sembra destinato a normalizzarsi.
I risultati delle amministrative condizioneranno fortemente l’azione del governo Lula nei due anni restanti del suo mandato. Da un lato, vi è la necessità di portare avanti le riforme promesse per ampliare il welfare e l’occupazione, dall’altro, il ridimensionamento politico costringerà il PT a stringere alleanze con settori moderati o di destra, o addirittura a sostenere candidati altrui senza poter competere direttamente. Bolsonaro, dal canto suo, vedrà il bilancio politico delle elezioni solo dopo i ballottaggi, con la possibilità di conquistare il governo di nove capoluoghi. Nonostante la sua interdizione a ricoprire incarichi pubblici fino al 2030, dovuta al tentato golpe del gennaio 2023, Bolsonaro sta cercando di consolidare una piattaforma politica nazionale, necessaria per il suo ritorno. Intanto, il Centrão, come da quarant’anni a questa parte, rimane l’arbitro della politica brasiliana. Lula avrà bisogno del suo sostegno per rafforzare il proprio progetto, mentre Bolsonaro dovrà sedurre i suoi leader per garantirsi un eventuale ritorno.
Le elezioni amministrative di questa domenica in Brasile hanno rappresentato una battuta d’arresto significativa per il governo di Luiz Inácio Lula da Silva, proprio a metà del suo mandato. Complessivamente, 155 milioni di brasiliani sono stati chiamati a eleggere sindaci e amministratori locali in 5.570 comuni. E il Partito dei Lavoratori (PT) non è riuscito a conquistare al primo turno nessuno dei 26 capoluoghi coinvolti nelle votazioni, e solo in quattro di essi parteciperà al ballottaggio previsto per il 27 ottobre. L’unico segnale positivo per il PT è giunto da Rio de Janeiro, tradizionale roccaforte delle milizie bolsonariste, dove il sindaco in carica, Eduardo Paes, del Partito Socialdemocratico (PSDB), sostenuto esternamente dal PT, ha vinto con oltre il 60% dei voti.
Il PSDB, che in passato ha rappresentato un forte oppositore della sinistra lulista – basti pensare al suo ruolo nella destituzione dell’ex presidente Dilma Rousseff nel 2016 – è stato il vero vincitore di queste elezioni. Il partito passerà dal governare 224 comuni a ben 878, in attesa dei ballottaggi di fine ottobre che potrebbero ampliare ulteriormente questo risultato. Gli elettori hanno premiato, in generale, opzioni politiche più tradizionali e conservatrici. Il Movimento Democratico Brasiliano (MDB), partito centrista che ha sostenuto quasi tutti i governi dagli anni Novanta ad oggi, si è affermato come la seconda forza politica a livello territoriale, con il controllo di 844 municipi. Si tratta dei movimenti e partiti che hanno governato il Brasile tra la fine della dittatura militare, nel 1986, e il primo governo Lula, nel 2003, a cui si aggiunge una costellazione di partiti locali con piccole rappresentanze nel congresso nazionale che tessono alleanze pragmatiche, in cambio di concessioni da ostentare nei loro territori. E’ quel che nella politica brasiliana si chiama Centrão, debilitato negli ultimi anni di forte polarizzazione tra Lula e Bolsonaro, ma che esce rinvigorito dalle elezioni di domenica scorsa.