L’Ue ha approvato gli obiettivi del progetto “A Globally Connected Europe” non solo per proporsi come alternativa alla BRI, ma anche per ricercare un’autonomia strategica dagli Stati Uniti
Il 12 luglio il Consiglio dell’Unione europea ha approvato le conclusioni del progetto A Globally Connected Europe (“Un’Europa connessa a livello globale”), attraverso il quale Bruxelles costruirà infrastrutture di connettività nel mondo per aumentare la propria influenza e contenere l’espansione della Cina.
Anche se Pechino non viene mai menzionata esplicitamente nella documentazione, la sua Belt and Road Initiative (BRI) è comunque ben presente nella mente dei funzionari europei. La BRI (anche conosciuta come Nuova via della seta) non è infatti solo un enorme schema sulle infrastrutture, ma è soprattutto una piattaforma per l’espansione politica cinese: vi si sono legati più di cento Paesi – inclusi diversi membri dell’Unione europea come l’Italia – e contiene investimenti per 3700 miliardi di dollari.
Perché le parole della Germania sono importanti
Il Ministro degli Esteri della Germania, Heiko Maas, ha detto che la Cina usa “mezzi economici e finanziari per aumentare la sua influenza ovunque nel mondo. È inutile lamentarsi di questa cosa, dobbiamo offrire delle alternative”. Parlava di alternative europee, ma anche di uno stretto coordinamento con gli Stati Uniti. Infrastructure è del resto la parola chiave del Presidente americano Joe Biden, che ha dedicato loro un piano domestico (l’American Jobs Plan) e uno internazionale (il Build Back Better World, o B3W).
Che a sottolineare la necessità di un coordinamento con Washington sia stato proprio un funzionario del Governo tedesco è rilevante: Berlino resiste all’idea di contrapporsi nettamente a Pechino, non volendo pregiudicare gli importanti rapporti commerciali. La frase di Maas non è però un segnale di una svolta ideologica in Germania, quanto piuttosto un indizio della natura di A Globally Connected Europe: un’alternativa alla BRI, e non un progetto anti-cinese.
Autonomia dalla Cina, e anche dagli Stati Uniti
Gli Stati Uniti vogliono vincere la competizione economica con la Cina e limitarne l’ascesa geopolitica: per raggiungere questo scopo, la tattica di Biden prevede uno stretto coordinamento con gli alleati asiatici ed europei. Il B3W, presentato durante l’ultimo vertice del G7 ma rivolto a tutti i “partner affini” dell’America, dentro e fuori il gruppo, è cruciale.
Con A Globally Connected Europe, però, Bruxelles ha fatto capire di non volere soltanto proporsi in alternativa alla BRI cinese, ma di ricercare un’autonomia strategica anche dagli Stati Uniti. Piuttosto che aderire semplicemente al B3W di Biden, cioè, l’Europa vuole partecipare alla corsa alla connettività in prima persona e con un progetto proprio.
Per il momento, A Globally Connected Europe è una dichiarazione d’intenti: se ne conoscono cioè i princìpi ispiratori generali – la sostenibilità ambientale e finanziaria, il rispetto degli standard normativi –, ma non le infrastrutture concrete che verranno realizzate. Nel documento del Consiglio si legge che i progetti dovranno essere “ad alto impatto su scala mondiale” e che andranno individuati e attuati in fretta, “preferibilmente entro la fine del primo trimestre del 2022”.
Nella forma, A Globally Connected Europe sembra molto simile al B3W. E potrebbe quindi riscontrare i suoi stessi problemi: la definizione del tipo specifico di infrastrutture da costruire (strade? porti? cavi di Internet?) e la mobilitazione dei finanziamenti (che non potranno essere tutti pubblici).
Ma perché il progetto europeo possa avere successo, e quindi contribuire davvero all’affermazione internazionale di Bruxelles, la Commissione e gli altri organi dovranno lavorare sulla sua immagine, in modo da farne risaltare le caratteristiche che lo distinguono dal B3W. Per il momento – ma non si conoscono i dettagli di nessuno dei due piani – le somiglianze superano di gran lunga le differenze.
L’Ue ha approvato gli obiettivi del progetto “A Globally Connected Europe” non solo per proporsi come alternativa alla BRI, ma anche per ricercare un’autonomia strategica dagli Stati Uniti