La situazione nel Paese è grave e il Governo rischia il collasso; le forze armate, da sole, non sembrano essere in grado di contrastare i guerriglieri. E gli Stati Uniti non sono gli unici a preoccuparsi del rischio terrorismo
Ieri una delegazione dei Talebani in visita a Mosca ha dichiarato che il gruppo è arrivato a controllare più dell’85% del territorio dell’Afghanistan. Se anche non si volesse dare credito all’annuncio dei guerriglieri islamisti – effettivamente difficile da verificare –, sempre ieri le autorità afghane hanno fatto sapere di non avere più il controllo sul valico frontaliero di Islam Qala, al confine con l’Iran, nel nord-ovest del Paese. È una perdita enorme: Islam Qala è uno dei principali corridoi commerciali tra l’Afghanistan e l’Iran e garantisce al debole Governo di Kabul ricavi mensili per circa 20 milioni di dollari.
L’offensiva dei talebani nel nord dell’Afghanistan
La situazione in Afghanistan è pessima e il Governo centrale rischia seriamente il collasso. I Talebani stanno conducendo un’offensiva nel nord del Paese – la loro roccaforte è dalla parte opposta, nel sud – per sottomettere le milizie che si oppongono al loro dominio, come quelle che tra il 1996 e il 2001, negli anni dell’Emirato islamico, si riunirono nella cosiddetta “Alleanza del nord”. In aggiunta a questo, i Talebani hanno conquistato gran parte del confine con il Tagikistan e i relativi punti logistici, per sottrarre le entrate delle tariffe di transito a Kabul e utilizzarle per finanziare la loro avanzata.
I timori di un collasso
Le forze armate afghane, da sole, non sembrano essere particolarmente in grado di contrastare i guerriglieri. E nonostante qualche notizia positiva – come la ricattura della città di Qala-i-Naw, nel nord-ovest – e le rassicurazioni del Presidente Ashraf Ghani, il quadro generale rimane negativo. Questa settimana più di mille membri delle forze di sicurezza sono scappate in Tagikistan per sfuggire ai Talebani, per esempio. Gli Stati Uniti, che stanno per concludere il ritiro delle loro truppe e hanno già abbandonato l’importante base di Bagram, stimano poi che Kabul non riuscirà a resistere più di sei mesi prima di venire rovesciata. Due anni, invece, è il tempo che potrebbe bastare a un’organizzazione terroristica come al-Qaeda per rafforzarsi in Afghanistan e architettare attentati sul suolo americano, approfittando del contesto creato da un eventuale regime talebano.
Il rischio terrorismo
L’America non è l’unica a preoccuparsi del rischio terrorismo. Il viaggio della delegazione talebana a Mosca serviva appunto a rassicurare la Russia del fatto che i guerriglieri non rappresentano una minaccia alla stabilità della regione – il Cremlino è particolarmente sensibile alle infiltrazioni islamiste in Asia centrale, regione storicamente sotto la sua influenza – e che non permetteranno ai gruppi come lo Stato islamico di utilizzare l’Afghanistan come una piattaforma per condurre attacchi in paesi terzi. Al di là della parola, non hanno altro da offrire.
Perché gli Stati Uniti anticipano il ritiro
Giovedì il Presidente americano Joe Biden ha tenuto un discorso alla Casa Bianca per difendere la sua decisione di ritirare i soldati americani dall’Afghanistan, nonostante i rischi. Il discorso è servito a rendere più esplicite le motivazioni di Biden, ma non ha contenuto grossi elementi di novità.
Il punto forse più rilevante è stato l’anticipo della data del ritiro dall’11 settembre 2021 al 31 agosto: una scelta dettata non tanto da motivazioni logistiche – il 90% dei militari americani ha già lasciato il Paese – ma simboliche. L’11 settembre è infatti il giorno in cui si commemorano le vittime degli attentati del 2001 alle Torri gemelle e al Pentagono, gli stessi che hanno spinto gli Stati Uniti a iniziare la guerra in Afghanistan. Ritirarsi dall’impegno militare proprio vent’anni dopo avrebbe significato, per Washington, consegnare una facile vittoria propagandistica ai talebani, che non sono stati sconfitti.
Per il resto, Biden ha ripetuto le argomentazioni già esposte in varie occasioni per giustificare la necessità del ritiro. E cioè che gli obiettivi – sconfiggere al-Qaeda e ucciderne il capo, Osama bin Laden – sono stati raggiunti; che la guerra non puntava al nation building, cioè alla “costruzione della nazione” afghana e delle sue istituzioni; che non ha senso continuare a inviare “un’altra generazione di americani” a combattere probabilmente per nulla; che gli Stati Uniti devono “affrontare le minacce dove sono oggi”. E la minaccia più grande, ricordata anche nel discorso, è l’ascesa della Cina e la “competizione strategica” intrapresa contro di lei.
La situazione nel Paese è grave e il Governo rischia il collasso; le forze armate, da sole, non sembrano essere in grado di contrastare i guerriglieri. E gli Stati Uniti non sono gli unici a preoccuparsi del rischio terrorismo