Quando “delitti visivi” contro la fede scatenano altri delitti contro l’arte.
Chi avrebbe mai potuto pensare che dei graffiti rupestri, con circa ottomila anni sulle spalle, potessero essere trattati da “infedeli” e additati come colpevoli per offesa alla religione tanto da dover essere cancellati? È successo nell’autunno 2012, sulla catena dell’Atlante in Marocco, quando un gruppo di musulmani salafiti ha distrutto alcuni disegni preistorici presenti presso un sito archeologico.
Scoperti nella pianura Yakout, vicino Marrakech e a venti chilometri dall’alta cima di Toubkal, le immagini erano sopravvissute a millenni di intemperie e scorribande. Le incisioni su pietra, anteriori alla presenza dei Fenici in Marocco, rappresentavano il Sole. Sono state rimosse perché esempi di idolatria.
Per la potenza dell’atto simbolico, quello salafita contro i graffiti va di pari passo con la distruzione delle statue dei Buddha di Bamiyan, uno shock culturale che il mondo intero visse in diretta nel 2001 quando i talebani le fecero saltare senza ascoltare gli appelli internazionali: il Metropolitan di New York, l’India e il Pakistan si erano fatti avanti per salvare i colossi di pietra, vittime dell’odio religioso perché “idoli preislamici”. Le statue erano alte l’una 38 metri, l’altra 53 e avevano un’età di 1.500 anni.
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Quando “delitti visivi” contro la fede scatenano altri delitti contro l’arte.
Chi avrebbe mai potuto pensare che dei graffiti rupestri, con circa ottomila anni sulle spalle, potessero essere trattati da “infedeli” e additati come colpevoli per offesa alla religione tanto da dover essere cancellati? È successo nell’autunno 2012, sulla catena dell’Atlante in Marocco, quando un gruppo di musulmani salafiti ha distrutto alcuni disegni preistorici presenti presso un sito archeologico.