Australia e Cina ai ferri corti da mesi: ecco perché
Il Governo federale dell'Australia vuole dotarsi del potere di veto sugli accordi con i Paesi stranieri per poterli bloccare. La mossa aggrava le tensioni diplomatiche e commerciali con la Cina
Il Governo federale dell’Australia vuole dotarsi del potere di veto sugli accordi con i Paesi stranieri per poterli bloccare. La mossa aggrava le tensioni diplomatiche e commerciali con la Cina
Ieri il Parlamento dell’Australia ha approvato una legge che conferisce al Governo federale il potere di veto sugli accordi raggiunti con gli altri Paesi, permettendogli di bloccarli qualora “influenzino negativamente le relazioni esterne” di Canberra oppure siano “incoerenti” con la sua politica estera.
Benché non sia stata menzionata esplicitamente – ed è un particolare rilevante, come vedremo –, è la Cina l’ispiratrice e il bersaglio di questa norma, che probabilmente andrà ad aggravare le tensioni diplomatiche e commerciali tra le due nazioni.
Cosa succede tra Australia e Cina
I rapporti tra Australia e Cina sono ai minimi ormai da mesi. Specialmente da quando, lo scorso aprile, Canberra ha richiesto l’apertura di un’indagine internazionale sull’origine del coronavirus, diffusosi dalla città cinese di Wuhan, e sulle eventuali responsabilità di Pechino. A indispettire ulteriormente la Cina hanno contribuito altre decisioni del Governo australiano: ad esempio quella di sospendere il trattato di estradizione con Hong Kongdopo la nuova legge sulla sicurezza, oppure il rigetto formale delle pretese territoriali di Pechino nel Mar cinese meridionale.
Come forma di ritorsione, a maggio la Cina ha imposto dei dazi anti-dumping sulle importazioni di orzo dall’Australia, ha sospeso parte delle importazioni di carne di manzo e condotto ispezioni su quelle di grano; da ottobre ha bloccato – seppur in maniera non ufficiale – le forniture di carbone. La settimana scorsa ha invece annunciato altri dazi anti-dumping, stavolta sul vino, dal 107 al 212%.
Le tariffe cinesi o le restrizioni alle importazioni non hanno reali motivazioni commerciali: sono, come accennato, strumenti di ritorsione politica – un approccio peraltro adottato anche dall’amministrazione Trump – che permettono a Pechino di far valere la sua rilevanza economica per Canberra. La Cina assorbe infatti da sola il 39% delle esportazioni australiane di vino e circa la metà di quelle di orzo, ed è la principale acquirente di carbone termico e coke. Più in generale, quello cinese è di gran lunga il maggiore mercato per l’export dell’Australia, pari al 30% del totale.
Se è vero che l’economia australiana dipende fortemente dal commercio con la Cina, è altrettanto vero che Canberra – importante alleato strategico degli Stati Uniti – è preoccupata per le interferenze politiche cinesi sul suo territorio e per l’ascesa di Pechino nella regione dell’Asia-Pacifico.
La (delicata) situazione impone pertanto al Governo australiano la necessità di bilanciarsi tra il mantenimento dei rapporti economici e il contenimento dell’assertività cinese, senza tuttavia arrivare alla rottura o allo scontro. È proprio per questo motivo – per evitare di inasprire ancora la crisi – se il Primo Ministro australiano Scott Morrison ha precisato che la legge sul veto non è rivolta a nessun Paese in particolare, anche se nei fatti non è così.
Il memorandum con la Cina
Il riferimento alla politica estera nella legge approvata ieri fa immaginare che uno dei primi accordi a venire esaminati – e probabilmente bloccati – da Canberra sarà quello tra lo stato australiano del Victoria e la Cina sulla partecipazione al progetto della Belt and Road Initiative (Bri), noto come Nuova via della seta. Firmare un memorandum d’intesa sulla Bri – come ha fatto l’Italia l’anno scorso – significa stringere non un accordo commerciale ma uno politico; e l’Australia è un tassello fondamentale della visione statunitense per “l’Indo-Pacifico libero e aperto”, che può essere vista come una risposta alla Via della seta. Morrison non ha comunque rilasciato dichiarazioni in merito a un veto.
I missili ipersonici con gli Usa
A proposito di alleanza con gli Stati Uniti, martedì 1° dicembre la Ministra della Difesa australiana, Linda Reynolds, ha annunciato che Canberra collaborerà con Washington allo sviluppo di missili ipersonici. Si tratta di armi innovative, in grado di viaggiare a una velocità almeno cinque volte superiore a quella del suono e capaci di colpire a grandi distanze, garantendo un’elevata manovrabilità; anche la Cina vi sta puntando.
Lo scorso luglio l’Australia aveva fatto sapere che avrebbe aumentato la spesa per la difesa del 40% in dieci anni per acquisire capacità missilistiche a lunga gittata. Morrison aveva definito l’Indo-Pacifico “l’epicentro della competizione strategica”. Ieri Pechino, attraverso la portavoce del Ministero degli Esteri cinesi, ha detto di sperare che Canberra faccia di più per la stabilità della regione.
Ieri il Parlamento dell’Australia ha approvato una legge che conferisce al Governo federale il potere di veto sugli accordi raggiunti con gli altri Paesi, permettendogli di bloccarli qualora “influenzino negativamente le relazioni esterne” di Canberra oppure siano “incoerenti” con la sua politica estera.
Benché non sia stata menzionata esplicitamente – ed è un particolare rilevante, come vedremo –, è la Cina l’ispiratrice e il bersaglio di questa norma, che probabilmente andrà ad aggravare le tensioni diplomatiche e commerciali tra le due nazioni.
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