Con Biden ci sono grandi aspettative in Sudamerica: sostegno per la difesa dell’Amazzonia, nuova politica migratoria, dialogo con Cuba e Venezuela. Pochi rimpiangono Trump
Con Biden ci sono grandi aspettative in Sudamerica: sostegno per la difesa dell’Amazzonia, nuova politica migratoria, dialogo con Cuba e Venezuela. Pochi rimpiangono Trump
Il neo Presidente Joe Biden ha designato il procuratore generale della California Xavier Becerra, di origini messicane, alla guida del Dipartimento della Sanità e Servizi Umani, da dove gestirà la lotta contro la pandemia. La nomina sarebbe arrivata per placare le critiche del gruppo dei congressisti democratici di origine ispanica sulla scarsità di rappresentanza latina nel futuro gabinetto del Presidente. Un’attenzione nei confronti di questa parte della popolazione statunitense che è risultata ancora insufficiente in quest’ultima campagna elettorale democratica, forse nella convinzione poco fondata che i latini avrebbero votato comunque per i democratici piuttosto che per i repubblicani. Mentre invece il voto latino si è polarizzato, come si è polarizzata l’America. E le prime reazioni dei Governi dei Paesi latino americani, all’indomani del voto, si sono mosse tra le congratulazioni e la prudenza.
L’America latina oggi
Il Sudamerica che eredita Biden assomiglia poco a quello di quattro anni fa quando fu eletto Presidente Donald Trump. La regione è in preda a una grave crisi economica, con una riduzione del Pil attesa per quest’anno superiore all’8% per effetto della pandemia che l’ha colpita con forza, specie in Brasile, Perù, Colombia, Messico e Argentina. Trump, troppo occupato nella politica domestica, ha gestito nell’area una strategia di basso profilo, centrata sulla riduzione dei flussi migratori dal Messico e la pressione politica su Cuba e Venezuela. Ma nel frattempo sono andati cambiando gli scenari politici interni ai Paesi. A cominciare dal piano elettorale, come è successo in Bolivia, dove la destituzione forzata di Evo Morales è stata rigettata dal voto di novembre con l’elezione di Luis Arce, suo ex Ministro; o in Argentina, dove il peronista Alberto Fernández ha vinto le elezioni contro il conservatore Mauricio Macri; o come in Messico, in cui le elezioni sono state vinte dal progressista Andrés Manuel López Obrador.
Soprattutto, in questi anni è cresciuta la mobilitazione sociale: è stato così in Argentina, dove la lotta delle donne ha fatto approvare in Parlamento la legge per l’interruzione volontaria della gravidanza che depenalizza l’aborto; in Cile, in cui le proteste dei giovani dell’ultimo anno e mezzo hanno favorito la bocciatura della Costituzione di Pinochet sottoposta a referendum; in Brasile, che ha visto il Presidente Jair Bolsonaro perdere le amministrative di novembre, mentre cresce una nuova sinistra guidata dal giovane Guilherme Boulos, già leader del movimento per la casa; o come avvenuto in Perù, Colombia ed Ecuador con i giovani tra i 18 e i 30 anni protagonisti della protesta. E a La Paz, in occasione della cerimonia d’insediamento del nuovo presidente della Bolivia, dove su impulso di quest’ultimo, del vice Presidente del Governo spagnolo Pablo Iglesias e del Presidente argentino, è nato il manifesto “In difesa della democrazia”, perché “la principale minaccia alla democrazia e alla pace sociale nel XXI è il golpismo dell’estrema destra”. I firmatari, tra i quali si noverano gli ex Presidenti José Luis Rodríguez Zapatero, Evo Morales, Dilma Rousseff, Rafael Correa e Alexis Tsipras, affermano “l’impegno storico a lavorare insieme per la difesa della democrazia, della pace, dei diritti umani e della giustizia sociale” e lo fanno proprio in Bolivia, paese convertitosi in un esempio nel mondo “della risposta popolare al golpismo”.
I voti dei latinos alle elezioni presidenziali
Negli Stati Uniti erano 32 milioni le persone di origine latina con diritto a votare alle ultime elezioni presidenziali, in rappresentanza di oltre il 13% dell’elettorato statunitense, per la prima volta la minoranza etnica più numerosa: il 59% di messicani o di origine messicana, il 14% di portoricani, il 5% di origine cubana e il 22% di altre origini ispaniche. Da qui al 2040, si stima che ogni anno un milione di latini s’incorporerà nel censo elettorale statunitense. In queste elezioni, la campagna elettorale di Biden ha destinato 20 milioni di dollari a pubblicità in radio e televisioni in lingua spagnola, contro i 9 milioni della campagna di Trump. Il Partito democratico ha pensato per molto tempo che il voto latino fosse garantito come il voto dei neri. Ma nelle elezioni di novembre, il voto latino non si è espresso come un blocco monolitico e ha sostenuto opzioni opposte da un lato all’altro dell’Unione. Florida a sud-est e Arizona a sud-ovest hanno rappresentato gli Stati simbolo di questa polarizzazione del voto latino. Nel 2016, Trump non vinse lo Stato di Florida per il voto di Miami; quest’anno, invece, la Florida si è colorata di rosso, sembra proprio per il voto urbano e latino, con una presenza importante di statunitensi di origine cubana, venezuelana e forse anche colombiana. Mentre lo Stato di Arizona, tra quelli determinanti nella vittoria di Biden, è diventato azzurro per l’alleanza tra aree metropolitane e popolazioni di origne latina, soprattutto del Messico.
Cosa ha significato l’elezione di Biden
Alle congratulazioni tempestive dell’argentino Fernández al tandem Biden-Harris, si è contrapposto il silenzio di Bolsonaro e la cautela di Obrador. Per il Presidente del Brasile l’elezione di Biden è un colpo duro da sopportare, tanto da mettere a rischio la sua ricandidatura nel 2022. Bolsonaro, considerato l’epigono di Trump in Sudamerica, il “Trump tropicale”, si è sempre dichiarato un ammiratore del Presidente repubblicano e ora si trova spiazzato dalla sua sconfitta che lo isola a livello internazionale. Biden, inoltre, ha intenzione di tornare agli Accordi di Parigi sulla lotta al riscaldamento globale e questo significa che la difesa dell’Amazzonia diventerà nuovamente centrale nell’agenda americana contro il cambio climatico. Anche per reggere la competizione con l’altro gigante sudamericano, l’Argentina, Bolsonaro è però obbligato a mantenere buone relazioni con gli Stati Uniti.
L’Argentina di Fernández non si è pronunciata in campagna elettorale, ma l’elezione di Biden rappresenta una buona notizia, dopo la tensione con Washington generata dall’imposizione da parte di Trump del suo candidato a dirigere il Banco Interamericano de Desarrollo, la prima volta di una direzione non sudamericana. Obrador ha preferito mantenersi prudente all’indomani delle elezioni; col tempo, infatti, il Presidente del Messico era riuscito a intessere buone relazioni con Trump, tanto da andare a trovarlo alla Casa Bianca, poco prima dell’appuntamento elettorale. Felicitazioni immediate per Biden da numerosi altri Paesi dell’area, tra cui Bolivia, Cuba, Ecuador, Venezuela. Ma anche dal Perù dell’ex Presidente Martín Vizcarra, diventato dal 2017 Paese con forte immigrazione venezolana; dalla Colombia di Ivan Duque, partner privilegiato di Trump nei confronti del Venezuela e attivo nella conquista di voti in Florida per il candidato repubblicano; dal Cile di Sebastián Piñera, per cui gli Stati Uniti rappresentano il secondo Paese per l’import-export.
Il piano di Biden per l’America latina
Ci si aspetta ora che la strategia di Biden nei confronti dei Paesi dell’America latina sia diversa da quella di Trump, anche perché Biden è un buon conoscitore della regione, avendo avuto responsabilità in politica estera come vice Presidente di Barak Obama. Oltre al ritorno della centralità dell’Amazzonia nella difesa dell’ambiente, è atteso un suo intervento sul “Remain in Mexico”, il provvedimento di Trump contro l’immigrazione messicana, eliminandolo e restaurando l’asilo per motivi fondati; così come è probabile che il nuovo Presidente ristabilisca relazioni con Cuba tornando sul solco tracciato da Obama. Anche dal Venezuela sperano che ci sia un cambio di attitudine di Washington nei loro confronti, considerando che le sanzioni economiche imposte da Trump al principio del 2019 hanno solo ampliato la crisi umanitaria del Paese caraibico. Infine, Biden potrebbe rilanciare, sotto altre spoglie, il piano “Alliance for Prosperity”, inventato nel 2014 da Obama, prevedendo risorse e investimenti per El Salvador, Honduras e Guatemala, così da diminuire le ragioni dell’immigrazione dall’America centrale. Anche se la sua efficacia sarebbe controversa, criticata sia nella capacità di rallentare il flusso migratorio, sia perché sarebbe condizionato alla liberalizzazione delle economie dei Paesi interessati.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
Con Biden ci sono grandi aspettative in Sudamerica: sostegno per la difesa dell’Amazzonia, nuova politica migratoria, dialogo con Cuba e Venezuela. Pochi rimpiangono Trump
Il neo Presidente Joe Biden ha designato il procuratore generale della California Xavier Becerra, di origini messicane, alla guida del Dipartimento della Sanità e Servizi Umani, da dove gestirà la lotta contro la pandemia. La nomina sarebbe arrivata per placare le critiche del gruppo dei congressisti democratici di origine ispanica sulla scarsità di rappresentanza latina nel futuro gabinetto del Presidente. Un’attenzione nei confronti di questa parte della popolazione statunitense che è risultata ancora insufficiente in quest’ultima campagna elettorale democratica, forse nella convinzione poco fondata che i latini avrebbero votato comunque per i democratici piuttosto che per i repubblicani. Mentre invece il voto latino si è polarizzato, come si è polarizzata l’America. E le prime reazioni dei Governi dei Paesi latino americani, all’indomani del voto, si sono mosse tra le congratulazioni e la prudenza.
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