Nel novembre del 2015 in Birmania si svolgeranno le elezioni parlamentari. Il voto rinnoverà per intero le Camere, chiamate poi ad eleggere il nuovo capo di Stato al posto dell’attuale presidente Thein Sein – ex generale ai tempi della sanguinosa giunta militare birmana -.
Molto probabilmente, però, Aung San Suu Kyi – Premio Nobel per la pace nel 1991 – non riuscirà nemmeno a candidarsi. Secondo l’articolo 59 comma F, infatti, nel Paese asiatico è vietata la candidatura alla presidenza a chiunque abbia sposato stranieri o abbia avuto figli da quest’ultimi. E Aung San Suu Kyi è vedova di un britannico con il quale ha avuto due figli, entrambi cittadini del Regno Unito.
Un articolo della Costituzione da molto potere ai militari della vecchia giunta.
Per modificare l’articolo che permetterebbe alla Suu Kyi di candidarsi alla presidenza del Paese, servirebbe prima cambiare l’articolo 436 della Costituzione, il quale prevede che ogni variazione della carta Costituzionale deve essere approvata da più di tre quarti dei seggi tra i membri del Parlamento. Di fatto l’articolo in questione da moltissimo potere all’esercito e ogni potenziale modifica alla carta Costituzionale, senza il loro veto, è praticamente impossibile.
Basta fare due conti. Il Parlamento birmano conta 664 seggi: 166 sono assegnati a membri dell’esercito della vecchia giunta – che si aggiudicano la poltrona senza dover ricorrere al passaggio elettorale -, e il partito al governo, l’Unione per la solidarietà e lo sviluppo (Usdp) – che è una diretta emanazione dei militari e di fatto risponde agli ordini dei super potenti ambienti dell’esercito – ne ha altri 336.
Cinque milioni di firme per modificare l’articolo 436.
L’opposizione birmana si è messa subito al lavoro per cercare una soluzione e ha depositato una petizione con ben cinque milioni di firme – per chiedere la modifica dell’articolo 436 della Costituzione. “Il documento è stato firmato da cinque milioni di persone”, ha sottolineato Nyan Win, portavoce della Lega nazionale per la democrazia (Nld). “Tutte queste persone chiedono la modifica dell’articolo per permettere ad Aung San Suu Kyi di candidarsi alla presidenza”.
Ma, nonostante le firme, non sarà certo facile arrivare ad una soluzione che permetta ad Aung San Suu Kyi di correre per la presidenza del Paese. Infatti i militari difficilmente aboliranno un articolo che loro stessi hanno introdotto nella Costituzione nel 2008 proprio per ostacolare la candidatura del Premio Nobel.
Così facendo le elezioni saranno tutt’altro che libere. E la strada verso la democrazia della “nuova Birmania” – sostenuta da molti governi occidentali prevalentemente per una questione di interessi economici – sembra essere ancora molto lunga e tutta in salita.
Nel novembre del 2015 in Birmania si svolgeranno le elezioni parlamentari. Il voto rinnoverà per intero le Camere, chiamate poi ad eleggere il nuovo capo di Stato al posto dell’attuale presidente Thein Sein – ex generale ai tempi della sanguinosa giunta militare birmana -.