Dopo le elezioni del 2 ottobre si va al ballottaggio. Con la sinistra in netto vantaggio, il Presidente Bolsonaro sventola lo spauracchio dei brogli. Si teme una riedizione locale dei fatti di Capitol Hill
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
Lo spettro del golpe cala nuovamente sul Brasile in vista delle elezioni del prossimo 2 ottobre, e a sbandierarlo è lo stesso Governo in carica. Dopo le critiche ricevute all’estero e in patria per la gestione della pandemia di Covid-19, che ha provocato più di 682mila morti in Brasile, il Presidente Jair Bolsonaro ha inizialmente impostato la sua strategia di campagna per la rielezione sulla denuncia di possibili brogli. Già nel 2021 la Corte Suprema ha aperto un’indagine contro l’ex capitano dell’esercito brasiliano per la diffusione di notizie false intorno al sistema elettorale.
A luglio la presidenza ha addirittura riunito una cinquantina di diplomatici stranieri per illustrare le presunte debolezze del meccanismo elettronico con cui il Paese vota dal 1996. Un incontro che ha acceso campanelli d’allarme non solo a Brasilia: il Presidente statunitense Joe Biden ha subito istruito il suo segretario per la Difesa, Lloyd Austin, affinché rivolgesse un chiaro discorso a favore della democrazia ai generali dell’esercito brasiliano durante la XV Conferenza dei Ministri della Difesa delle Americhe svoltasi proprio in Brasile. Una strigliata insomma, che si aggiunge agli appelli lanciati in patria anche da settori che in passato hanno permesso l’arrivo al potere dell’estrema destra. All’inizio di agosto, ad esempio, ha fatto scalpore una lettera aperta in difesa della democrazia e tra le firme vi sono anche quelle dei CEO di circa 4.000 aziende che producono un terzo del Pil del Brasile, oltre ai rappresentanti di potentissime corporazioni industriali come la Federazione dell’Impresa dello Stato di San Paolo (Fiesp) o la Camera Americana di Commercio (Amcham). Un gesto che ha segnato una chiara frattura tra il presidente e un settore molto influente dell’establisment, proprio mentre Bolsonaro affronta una campagna elettorale in salita: secondo tutti i sondaggi pubblicati sinora, l’ex Presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha un vantaggio del 10% circa su Bolsonaro, che avrebbe inoltre poche possibilità di vittoria in vista di un quasi certo secondo turno.
I risultati ottenuti nel comparto dell’economia durante i quattro anni di Governo Bolsonaro non aiutano certo la campagna dell’attuale Presidente. Il Pil brasiliano si è contratto fino allo 0,8% di crescita annua stimata per quest’anno dal Fondo monetario internazionale, un vero e proprio record negativo per il gigante sudamericano. Durante i governi di Fernando Henrique Cardoso (1995-2003) e lo stesso Lula da Silva (2003-2011), la crescita si è mantenuta in media tra il 3% e il 5,5%, ora il Brasile occupa il posto 180 su 193 paesi del World Economic Outlook del Fmi con risultati ben al di sotto della media latinoamericana (2,5%). Anche nella lotta alla disoccupazione il Governo Bolsonaro ha mostrato serie difficoltà. La riforma del lavoro voluta dall’ex Presidente Michel Temer, e che Bolsonaro difende nel suo programma elettorale, non ha ridotto il tasso di disoccupati nel paese che, invece, si attesta al 13,4% di media negli ultimi quattro anni. Ma il dato più preoccupante è sicuramente quello degli investimenti. Il Brasile è stato infatti storicamente la piattaforma d’ingresso per i capitali internazionali che aumentavano poi la propria presenza nel resto della regione. Ma nell’ultimo decennio questo fenomeno ha subito una battuta d’arresto. Gli investimenti internazionali sono piombati al 16,3% del Pil durante la gestione Bolsonaro, ben al di sotto della media mondiale durante lo stesso periodo (26,8%) e anche di quella regionale (19,3%).
Buona parte di questi risultati sono frutto delle decisioni prese dal Ministero dell’Economia negli ultimi anni, come l’innalzamento dei tassi d’interesse, le restrizioni all’accesso al credito e le liberalizzazioni attuate nel mercato del lavoro. Tutte misure che Lula promette di contrastare con un forte intervento statale nei principali comparti della produzione e il potenziamento del welfare. Il programma della “Coalizione Brasile della Speranza”, che sostiene l’ex Presidente e leader della sinistra brasiliana, non è altro che un aggiornamento di quello sostenuto durante i tre governi del Partito dei Lavoratori (PT) tra il 2003 e il 2016, a cui però ha scelto di dare un taglio più moderato per assicurarsi i voti del centro. Il PT ha infatti siglato un accordo con Geraldo Alckmin, ex governatore conservatore di San Paolo che sarà candidato a vicepresidente di Lula. L’unione, assolutamente innaturale e impensabile fino a qualche mese fa, punta a destare nei votanti di centro una maggior adesione al fronte anti-Bolsonaro di cui Lula è ormai l’insegna, a rassicurare i grandi settori industriali riluttanti a una possibile svolta a sinistra del paese, e a ridurre l’effetto dell’antilulismo, che tra il 2014 e il 2018 ha alimentato la crescita dell’estrema destra brasiliana. La moderazione di Lula poi, non è certo una novità. Già nel 2003, quando vinse la sua prima elezione presidenziale, il leader sindacale barbuto aveva lasciato spazio allo statista, che preannunciava grandi cambiamenti sociali senza intaccare la struttura economica brasiliana. E così fu. Con una politica di conciliazione tra capitale e lavoro, riforme sociali, rafforzamento del welfare e apertura al mercato internazionale il PT si assicurò un secondo mandato per Lula e la vittoria di Dilma Rousseff nel 2010.
A sancire la fine del progetto della sinistra fu l’ondata di scandali di corruzione rivelati a partire dal 2014, che investirono tutte le forze politiche brasiliane e favorirono la crescita di Bolsonaro, autodefinitosi un outsider nonostante avesse quasi trent’anni di esperienza come deputato, e fosse sostenuto dalle potentissime chiese pentecostali, le forze armate e gli imprenditori legati all’agrobusiness. Oggi quel fronte sembra essersi sgretolato. Un recente sondaggio di Folha de São Paulo rivela che tra gli evangelisti la corsa tra Lula e l’attuale Presidente è quasi pari. E sebbene l’esercito, che dal 2018 occupa posti rilevanti nell’amministrazione Bolsonaro, si mantenga fedele al leader dell’estrema destra, i comandi hanno preso le distanze dalle critiche al sistema elettorale del presidente e difficilmente si imbarcherebbero in una nuova avventura golpista. I militari sono stati spesso posti a capo della gestione degli enti e istituti specializzati che rispondono al Governo federale, indebolendone l’azione nei comparti più ostili all’esecutivo di Bolsonaro, come la politica indigena, il contrasto agli incendi e la deforestazione nell’Amazzonia o le miniere abusive. Una prassi che ha però gettato un certo discredito sulle forze armate di fronte all’opinione pubblica.
A livello internazionale l’attenzione sulle elezioni brasiliane si mantiene alta. Bolsonaro si è dimostrato un vero e proprio ostacolo per gli interessi degli Usa nella regione, specialmente nell’ambito della gestione dell’Amazzonia e la cooperazione durante la pandemia. Anche i Paesi europei, e in special modo la Francia, che condivide 730 chilometri di frontiera col Brasile nella Guyana Francese, attendono con interesse i risultati del 2 ottobre, in vista soprattutto di una rinegoziazione dei termini del Trattato di Libero Scambio tra Ue e il Mercosur. Ma è in America Latina dove le attese sono più vivide. Un nuovo Governo Lula potrebbe favorire la coordinazione tra le diverse sinistre latinoamericane giunte al potere negli ultimi mesi, e che non sembrano avere alcuna piattaforma comune. Il PT ha già saputo far coincidere il Venezuela di Chavez col Cile di Bachelet su certe tematiche comuni a livello sudamericano, ha favorito la nascita dell’Unasur e la svolta a sinistra nella segreteria dell’Organizzazione degli Stati Americani. Una nuova stagione progressista nel regionalismo latinoamericano potrebbe dare maggior impulso ai governi di sinistra della regione che affrontano seri problemi di stabilità interna. E un Brasile governato da Lula potrebbe essere il primo passo in quella direzione.
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