La morte di un calciatore tedesco e lo strano rapporto tra lo sport e l’islam estremista.
Quando il 26enne Burak Karan trova la morte sotto le bombe che l’aviazione di Bashar al-Assad scarica sulla piccola città di Azaz, nel nord della Siria, a darne notizia è uno sconosciuto gruppo islamista che posta un video di sette minuti su YouTube. Lì Karan compare col turbante, il kalashnikov e il suo nome di battaglia, Abu Abdullah al-Turki.
Un testo dice che ha trovato gioia nel combattere gli infedeli come un leone. Le foto sono accompagnate da un canto, la poesia che Karan dedica alla madre chiedendole di non piangere la sua morte. Non c’è alcun riferimento alla sua vita precedente. Il link buono lo scova il tabloid tedesco Bild, un mese più tardi.
Karan, deceduto l’11 ottobre 2013, era un’ex promessa del calcio della nuova Germania multietnica. Figlio di emigranti turchi di Wuppertal, centrocampista cresciuto nelle accademie di Bayer Leverkusen e Hertha Berlino, aveva vestito sette volte la maglia delle nazionali giovanili tedesche. Si era ritirato improvvisamente nel 2008, a 20 anni, facendo perdere ogni traccia di sé.
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La morte di un calciatore tedesco e lo strano rapporto tra lo sport e l’islam estremista.
Quando il 26enne Burak Karan trova la morte sotto le bombe che l’aviazione di Bashar al-Assad scarica sulla piccola città di Azaz, nel nord della Siria, a darne notizia è uno sconosciuto gruppo islamista che posta un video di sette minuti su YouTube. Lì Karan compare col turbante, il kalashnikov e il suo nome di battaglia, Abu Abdullah al-Turki.