Khalid Aedh al-Otaibi era nella sede diplomatica a Istanbul al momento dell’assassinio del giornalista ma non è il colpevole. Il procuratore di Parigi ha concluso che si è trattato di un caso di errore di identità
Le autorità francesi hanno fermato e rilasciato un signore di nome Khalid Aedh al-Otaibi, ovvero un omonimo di una delle persone processate in contumacia dalla Turchia per l’omicidio brutale del dissidente saudita Jamal Khashoggi ucciso nel consolato di Riad a Istanbul nel 2018.
Secondo quanto ricostruito da Agnès Callamard, attuale segretaria generale di Amnesty International ed ex Relatrice speciale sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, Al-Otaibi è una ex guardia della Guardia Reale, l’unità d’élite delle forze armate dell’Arabia Saudita ed era nella sede diplomatica al momento dell’assassinio.
Ma la persona fermata a Parigi non era lui, il procuratore di Parigi ha concluso che si è trattato di un caso di errore di identità: “Controlli approfonditi sull’identità di questa persona ci hanno permesso di stabilire che il mandato di cattura internazionale non si riferiva a lui”, si legge in una dichiarazione del procuratore generale parigino.
Le autorità saudite avevano reagito all’arresto chiedendo l’immediato rilascio di al-Otaibi, spiegando che si tratta di un errore di persona e che, inoltre, gli assassini di Khashoggi sono già stati condannati. In effetti, i sauditi hanno processato e condannato otto persone per quella morte, sostenendo che si è trattato di un incarico finito male: le Guardie reali avrebbero dovuto convincere il giornalista dissidente a tornare in Arabia Saudita con le buone o con le cattive e le cose sono sfuggite di mano. Piccolo particolare: il processo si è svolto a porte chiuse e l’identità dei condannati è sconosciuta. A settembre dello scorso anno un giudice ha commutato la pena dei condannati invisibili dalla morte a 20 anni.
Le autorità francesi avevano immediatamente risposto ai dubbi spiegando che avrebbero fugato i dubbi. La procedura in questi casi prevede cuna detenzione giudiziaria che può durare fino a 48 ore. Le autorità francesi ci hanno messo molto meno a fare gli approfondimenti necessari per verificare l’identità della persona fermata.
Se si fosse trattato di al-Otaibi le cose sarebbero state diverse e una pagina nuova si sarebbe aperta nella vicenda dell’omicidio Khashoggi. Nel suo rapporto Callamard includeva al-Otaibi tra gli arrestati in Arabia Saudita ma aggiungeva che prima del processo questi era stato prosciolto. Nello stesso rapporto si segnala la presenza della Guardia reale a Istanbul il 2 ottobre 2018, aggiungendo che questi si trovava nella residenza del console e non nel consolato al momento dell’omicidio.
Callamard ha però spesso insistito sul fatto che l’omicidio non è il frutto di un’operazione finita male ma di un mandato e che per fare giustizia occorre indicare “la mente”. In un tweet la segretaria di Amnesty scriveva: “Questo potrebbe essere un importante passo avanti nella ricerca di giustizia per Jamal Khashoggi, ma sono necessarie ulteriori conferme. Se è davvero la stessa persona, allora era nella residenza del consolato”. Il senso è insomma che al-Otaibi potrebbe essere parte dell’operazione, anche se non uno tra coloro che hanno ucciso, fatto a pezzi e trasportato in una valigia il corpo di Khashoggi. Ma dovremo ancora aspettare per avere notizie, il fermo francese è stato un buco nell’acqua.
La azione della polizia francese ha comunque assunto un significato particolare perché nei giorni scorsi il Presidente Macron è volato a Gedda per incontrare il principe della corona Mohamed bin Salman (che in Italia conosciamo bene) per rinsaldare i rapporti con il regno saudita. Macron è stato molto criticato per il viaggio nonostante abbia sostenuto che nei colloqui si sia parlato anche di diritti umani. Il Presidente francese è tra i primi capi di Stato occidentali a incontrare bin Salman dopo la morte di Khashoggi. In un’intervista a Le Monde, Callamard ha detto tra le altre cose: “Questo viaggio fa parte di una politica di riabilitazione del principe ereditario saudita, che questo sia voluto o meno. Mi rattrista che Emmanuel Macron presti la sua aura di capo di Stato a una tale impresa. Mi addolora che sia la Francia, il Paese dei diritti umani, lo strumento di questa politica. Negli ultimi mesi, bin Salman ha cercato di ripulire la sua immagine attraverso molteplici iniziative, come l’acquisto della squadra di calcio del Newcastle. Ma questa è la prima volta che una grande potenza è stata così direttamente coinvolta nella sua riabilitazione”.
La verità è che questi sono tempi difficili per i diritti umani: i Paesi della penisola araba svolgono un ruolo internazionale crescente per molte ragioni, investono soldi nelle capitali d’Occidente, avviano iniziative diplomatiche e i palazzi del potere occidentali giocano l’improbabile gioco dei paladini del diritto da un lato e dei soci in affari dall’altro. Si chiama realpolitik e c’è sempre stata, ma nell’era di Internet, di notizie che circolano e dopo un ventennio di retorica sulla centralità della democrazia, è molto scomoda da praticare.