Scegliendo Yaya Sinwar, Hamas ha tolto definitivamente la sua maschera di partito politico interessato al dialogo e moderazione, mostrando invece la scelta definitiva verso la lotta armata. Cosa che potrebbe fargli avere più credito in Cisgiordania, soprattutto tra le nuove generazioni deluse dall’Anp.
Il macellaio di Khan Younis è il nuovo capo politico di Hamas. Yaya Sinwar, l’architetto del massacro del 7 ottobre, il primo della lista tra i ricercati di Israele, è stato scelto dal Consiglio della Shura come leader globale del movimento che, da anni, già guidava a Gaza.
Sarà così il sessantaduenne che guida il gruppo dai tunnel sotto la Striscia, a rimpiazzare Ismail Haniyeh, l’ex capo politico ucciso in un raid a Teheran il 31 luglio. Omicidio per il quale l’Iran accusa Israele, ma che il paese ebraico non ammette.
La scelta di Sinwar assume un importante valore politico e strategico per una serie di ragioni. Innanzitutto manda un chiaro segnale a Israele, visto che il nuovo capo politico è il rappresentante dell’ala più intransigente di Hamas. E’ anche l’uomo che conosce meglio Israele, per tutti gli anni trascorsi nelle carceri del paese ebraico, uscito solo grazie allo scambio di prigionieri per la liberazione del militare Shalit nel 2011. Sinwar inoltre trasferisce al centro di Gaza il potere di Hamas che, negli ultimi decenni, era a Doha, dove risiedeva l’ufficio politico. A dimostrazione di due cose: innanzitutto la centralità della Striscia per Hamas; in secondo luogo, la perdita di influenza del Qatar.
La cosa a Doha potrebbe pure far piacere, visto che la presenza di Hamas è stata più volte fonte di imbarazzo con gli Usa, tanto che si era parlato della possibilità che il gruppo lasciasse l’emirato. Erdogan si era anche proposto di ospitarli in Turchia. Con Sinwar, l’Egitto diventa più centrale, anche nei negoziati. Con Hamas l’Iran riprende il ruolo più pragmatico e meno subordinato. Certo, per Israele resta da capire che significa la nomina di Sinwar. Da un lato, infatti, visto che il pallino anche politico è tornato a Gaza e che l’Egitto prende più potere negoziale, potrebbe essere una buona idea. Anche perché ”il macellaio” potrebbe condizionare l’accordo alla rinuncia al ”martirio”. Dall’altro però, è chiaro che il suo approccio pragmatico, spesso intransigente, avuto fino ad ora, potrebbe aumentare, rendendo più difficili i colloqui.
Una cosa è certa: scegliendo Sinwar, Hamas ha tolto definitivamente la sua maschera di partito politico interessato al dialogo e moderazione, mostrando invece la scelta definitiva verso la lotta armata. Cosa che potrebbe sicuramente fargli avere più credito in Cisgiordania, soprattutto tra le nuove generazioni deluse dall’Anp.
Martedì in giornata si erano diffuse informazioni della nomina di Darwish, il capo del consiglio della Shura, l’organo che avrebbe dovuto scegliere il leader, come sostituto di Haniyeh ucciso a Teheran. L’idea era di traghettare il movimento a nuove elezioni. Invece la scelta è caduta su Sinwar, che aveva bloccato, con la sua influenza, il ritorno dell’ex capo politico Meshaal. Sarà ora lui a decidere le sorti dell’accordo su tregua e liberazione ostaggi, dopo aver rappresentato la parte più intransigente su questo e orchestrato l’azione che ha portato all’uccisione e al rapimento degli israeliani dieci mesi fa.
Intanto gli americani, tramite il Segretario di Stato Blinken, fanno sapere di aver informato sia Iran che Israele della necessità di non far piombare l’area in una guerra globale. Invito rivolto da diversi paesi. Dal Libano, Nasrallah, leader di Hezbollah, minaccia risposte dure, mentre da Gaza, come dal paese dei cedri, sono partiti razzi alla volta di Israele.
Yahya Sinwar, nei giorni successivi all’uccisione di Haniyeh, aveva sostenuto la nomina di Khalil al-Hayya come sostituto del leader a capo dell’ufficio politico di Hamas, in quanto più vicino a Teheran. Oppure, Zahar Jabarin, che ora dirige le operazioni di Hamas in Cisgiordania. Al-Hayya in questo periodo è stato molto impegnato nei colloqui per il raggiungimento di un accordo su tregua e liberazione ostaggi per Gaza. Al contrario, il gruppo dirigente all’estero, Qatar, Turchia e la Fratellanza Musulmana stavano sostenendo Khaled Mashaal, ex capo del Politburo di Hamas prima di Haniyeh.
Khaled Meshaal, anch’egli in Qatar, il cui tentativo di assassinio nel 1997 in Giordania, stava costando la rottura dei rapporti tra il regno Hashemita e Israele, anche se poi lo stesso monarca dopo un paio di anni cacciò Meshaal dal paese, ha guidato il gruppo fino al 2017, ha esperienza politica e diplomatica, ma i suoi rapporti con Iran, Siria e Hezbollah si sono inaspriti per il suo sostegno alle proteste della Primavera araba nel 2011. Nel 2021 in Libano i leader di Hezbollah si sarebbero rifiutati di incontrarlo. Mashaal ha buoni rapporti con la Turchia e il Qatar ed è considerato una figura meno estrema di altri. Sotto la sua leadership, c’erano rapporti freddi con i gruppi dell'”asse della resistenza” per il suo sostegno all’opposizione contro il presidente Bashar Assad nella guerra civile in Siria. Ma negli ultimi anni Hamas ha iniziato a ricucire i suoi rapporti con l’Iran e si è riconciliata con Assad.
La famiglia Sinwar ha lanciato una vera e propria OPA su Hamas, puntando a prenderne completamente il controllo. Se Yaya, infatti, prima ha bloccato la nomina di Meshaal e poi è stato eletto leader politico, suo fratello minore Mohammed, il quarantanovenne comandante delle brigate sud, sarebbe il naturale sostituto di Mohammed Deif, l’ex capo delle brigate Izz ad-Din Al Qassam, il braccio armato di Hamas, ucciso da un attacco israeliano il 13 luglio ad al Mawasi vicino Khan Younis.
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Il macellaio di Khan Younis è il nuovo capo politico di Hamas. Yaya Sinwar, l’architetto del massacro del 7 ottobre, il primo della lista tra i ricercati di Israele, è stato scelto dal Consiglio della Shura come leader globale del movimento che, da anni, già guidava a Gaza.
Sarà così il sessantaduenne che guida il gruppo dai tunnel sotto la Striscia, a rimpiazzare Ismail Haniyeh, l’ex capo politico ucciso in un raid a Teheran il 31 luglio. Omicidio per il quale l’Iran accusa Israele, ma che il paese ebraico non ammette.