Dalla guerra in Ucraina alle tensioni per Taiwan, Berlino in equilibrio tra ragion di Stato e posizionamento internazionale
Una missione estremamente delicata quella della Ministra degli Esteri della Germania Annalena Baerbock in Cina, che arriva nella Repubblica Popolare pochi giorni dopo la visita del Presidente francese Emmanuel Macron, esprimendosi diversamente dal capo dell’Eliseo ma senza dimenticare l’importanza economica che Pechino rappresenta per Berlino. Infatti, la Cina è il più grande trading partner della Germania, con accordi economici che permettono ad entrambe le nazioni di beneficiare dalla relazione instaurata, ma che non impedisce all’esponente del Governo di Olaf Scholz di assestare delle critiche aperte verso la Presidenza di Xi Jinping, relativamente alle tensioni nello Stretto di Taiwan e per la gestione dei diritti umani nello Xinjiang.
“Un’escalation militare nello Stretto di Taiwan sarebbe uno scenario da horror per tutto il mondo”, ha detto Baerbock. “Voglio sottolineare la comune convinzione europea che un cambiamento unilaterale allo status quo, specialmente se militare, sarebbe considerato inaccettabile”. La Ministra degli Esteri, dunque, si distanzia dalla posizione di Macron, che su Formosa si è espresso in termini diversi. Il Presidente francese ha parlato di “crisi non europea” e della necessità di non allinearsi con l’agenda degli Stati Uniti, che impedirebbe a Bruxelles la costruzione dell’autonomia strategica. Un pensiero mal digerito dai leader Ue, che si sono sentiti evidentemente scavalcati dalla proposta di Parigi, in tal senso rimasta isolata nel quadro dei ragionamenti sul futuro del Vecchio Continente.
Diversamente, a parole, la Germania è stata netta sulla questione Taiwan e diritti umani. Una nettezza che, d’altro canto, si scontra con i legami economici di cui Berlino ha estremo bisogno e va ad impattare con le critiche di facciata rivolte a Pechino. Tra i due Paesi l’interscambio commerciale ammonta a 298 miliardi di euro, in crescita del 21% rispetto al 2021. Nel 2022, la Germania ha importato dalla Cina un terzo in più di prodotti dell’anno precedente, assestandosi a 191 miliardi di euro. L’export verso il Paese asiatico è cresciuto del 3.1% per un totale di 107 miliardi di euro, con un deficit a carico di Berlino pari a 84 miliardi di euro.
Non a caso, in Germania si discute della troppa dipendenza della nazione verso la Cina, con rischi non dissimili a quelli evidenziati con la Russia dal momento in cui sono state imposte le sanzioni a Mosca. Tra le nazioni del blocco transatlantico, la Bundesrepublik ha pagato il prezzo più alto delle conseguenze dell’invasione della Federazione in Ucraina: Berlino si è trovata a dover gestire una situazione economica e infrastrutturale complicata, alla ricerca di fonti energetiche alternative nel contesto dello stop alle forniture che arrivavano dal Nord Stream 1, e di quelle che sarebbero giunte con Nord Stream 2. Il tutto, nel mezzo della perdita di centralità nelle politiche decisionali europee successivamente alla fine dell’era merkeliana, con l’ex Cancelliera prima tra i leader europei ad aver valorizzato l’accordo economico congelato con la Cina, il Comprehensive Agreement on Investment.
“Partner, competitor, rivale sistemico: questa è la bussola della politica europea nei confronti della Cina. La direzione in cui si sposterà il quadrante in futuro dipende anche dal percorso che la Cina intraprenderà. Terremo conto — ha detto Baerbock prima della partenza — del mutato ruolo della Repubblica Popolare nel mondo attraverso una nuova strategia. Per il nostro Paese, molto dipende dal raggiungimento del giusto equilibrio nelle future relazioni con la Cina, in quanto nostro principale partner commerciale ma anche attore globale che vuole sempre più modellare l’ordine mondiale secondo le proprie idee. La Cina — ha ricordato la Ministra — è cambiata, e dopo la fine delle restrizioni del COVID-19, voglio avere un’impressione di prima mano della direzione in cui si sta dirigendo la nuova leadership, anche per quanto riguarda l’equilibrio tra controllo politico e apertura economica”.