Nel giugno 2020 sono iniziati gli scontri al confine, nel territorio del Ladakh. Da allora le relazioni bilaterali non si sono ancora normalizzate. La visita del Ministro degli Esteri cinese Wang Yi può distendere finalmente i rapporti?
Quella, ieri, del Ministro degli Esteri Wang Yi è stata la prima visita in India di un funzionario cinese di alto livello da circa due anni: ossia da quando, nel giugno 2020, sono iniziati gli scontri nel territorio del Ladakh, sul montuoso confine tra i due Stati. Dopo almeno venti soldati morti da parte indiana e quattro da quella cinese, e dopo quindici riunioni tra i rispettivi comandanti militari, le tensioni non si sono ancora risolte.
Cosa pensa l’India
A seguito dell’incontro con Wang, il Ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar ha detto ai giornalisti che sono stati fatti dei progressi per la de-escalation, ma la situazione alla frontiera non è comunque tornata alla normalità. Di conseguenza, ha precisato, nemmeno le relazioni bilaterali tra India e Cina si sono normalizzate: “mi chiedete se la nostra relazione oggi è normale? La mia risposta è no, non lo è, e non può essere normale se la situazione nelle aree di confine è anormale”.
Lo stallo nella valle di Galwan, dove restano schierate migliaia di truppe indiane, non è l’unico elemento di frizione tra Nuova Delhi e Pechino. L’India innanzitutto non gradisce il sostegno della Cina al Pakistan, suo vicino e avversario anche per il controllo del Kashmir. E guarda con preoccupazione ai tentativi di espansione cinese nel proprio vicinato – in Nepal e Sri Lanka – e nella porzione occidentale dell’Oceano Indiano.
Se per l’India la pacificazione del confine è il presupposto per la ripartenza dei contatti, la Cina ha invece detto più volte che la crisi sull’Himalaya non è rappresentativa dell’interezza dei rapporti bilaterali. Oltre che dalla geografia, le due potenze asiatiche sono legate ad esempio da un voluminoso interscambio economico (95 miliardi di dollari nel periodo 2021-2022) che fa di Pechino il maggiore socio commerciale di Nuova Delhi, nonostante il forte sbilanciamento dal piatto del Dragone.
Il motivo della visita
Nel corso della visita, Wang Yi si è riunito anche con il consigliere per la sicurezza nazionale Ajit Doval, al quale ha parlato della volontà cinese di istituire una maggiore cooperazione con l’India in Asia meridionale.
Le sue dichiarazioni, unite al tempismo del viaggio, sembrano indicare una cosa: che la Cina vorrebbe aprire all’India per bilanciare le pressioni dell’Occidente sulla crisi ucraina. Pechino cerca una sponda in Nuova Delhi perché le due potenze stanno tenendo un approccio molto simile nei confronti della Russia, rifiutandosi di condannarla e di sanzionarla per l’invasione.
Delle differenze di fondo ci sono, in realtà: la Cina ha bisogno dell’appoggio della Russia per promuovere la sua visione di ordine mondiale opposta a quella statunitense; all’India, invece, la Russia serve per il bilanciamento regionale proprio della Cina. E nonostante Nuova Delhi stia mettendo a punto un meccanismo rupie-rubli per garantire la prosecuzione del commercio con Mosca, aggirando di fatto le sanzioni, né l’America né l’Europa la stanno forzando a rinunciare. Non lo stanno facendo per l’importanza rivestita dal Paese nella competizione economico-geopolitica con la Cina.
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