Nome ironico che richiama la Grande Muraglia, indica la combinazione di azioni legislative e tecnologie applicate dal Governo per regolamentare Internet e i social network. La genialità dei giovani cinesi nello scavalcarlo
Quando negli anni ‘80 la Cina ha iniziato ad aprirsi al mondo con le riforme di Deng Xiaoping, molti pensavano (o speravano) che abbracciare la globalizzazione e l’integrazione economica avrebbe portato nel Paese anche la democrazia. Così non è stato. Oggi, quasi mezzo secolo dopo, la Cina è un ingranaggio imprescindibile delle catene del valore globale e, per certi versi, il simbolo di come la globalizzazione possa trasformare una società, un’economia, una nazione. Ma della democrazia non c’è traccia. Alla guida non c’è più l’ideologia, come durante gli anni di Mao, ma un partito pragmatico che ha cambiato una società senza però mai perdere il suo controllo. Anzi, man mano che la tecnologia avanza, il controllo non fa altro che diventare più capillare.
Così come ha abbracciato la globalizzazione senza i valori occidentali, la Cina ha sviluppato i social senza lasciar spazio alla libertà che contraddistingue generalmente questo strumento. Per vedere questo paradosso basta far caso a TikTok: è il social media più popolare del momento in tutto il mondo, è di proprietà di un’azienda cinese, ma i giovani cinesi usano una versione fatta appositamente per loro. Questa versione è censurata e controllata. La Cina si è aperta ai social media, ma per evitare che questi portassero con sé la libertà di espressione, e dunque la possibilità di destabilizzazioni, ha creato i suoi.
Le app social più di successo nel paese sono WeChat (simile a whatsapp), Sina Weibo (simile a twitter) e l’app per i video brevi Douyin (il TikTok cinese). Tutte sono soggette ad una rigida censura e al controllo da parte del PCC. Ciò avviene tramite il così detto Grande Firewall, un nome ironico che richiama la Grande Muraglia e che indica la combinazione di azioni legislative e tecnologie applicate dalla RPC per regolamentare Internet nella nazione, e quindi anche i social network. In questo modo il partito è riuscito a mantenere un controllo serrato sulla rete, isolandosi dai contenuti esterni e controllando quelli interni. Il controllo, però, è più complicato di quello che si può pensare.
Ci sono temi di cui in Cina il partito non vuole che si parli; tra questi ci sono i fatti di piazza Tiananmen, le questioni riguardanti l’indipendenza di Taiwan, del Tibet, la questione degli Uiguri o, questa più divertente, la somiglianza tra Xi Jinping e Winnie the Pooh. Altri temi, invece, che non vanno a mettere in discussione le fondamenta ideologiche della RPC (o a prendersi gioco del suo leader), senza esagerare, possono essere discussi. Questo perché, nonostante la stretta censura, i social media in Cina sono anche uno strumento nelle mani del partito per valutare il suo consenso e la popolarità delle sue politiche. Vi è un altro fattore da considerare poi: si stima che oggi in Cina siano iscritti ai social media circa 1 miliardo di utenti; un controllo onnicomprensivo è quindi irrealistico, anche per chi ha fatto del controllo la sua priorità. Non importa quanto ben calibrato possa essere il Grande Firewall, ci saranno sempre dei buchi e la fantasia delle nuove generazioni troverà sempre un modo per scavalcare, anche se solo per poco, la censura imposta dal governo di Pechino. Infatti, per apprezzare appieno le conversazioni sulle piattaforme social cinesi, non basta conoscere il cinese.
Le nuove generazioni hanno creato un proprio vocabolario per discutere le “questioni sensibili”. Questo linguaggio evolve continuamente per stare al passo con il crescente numero di argomenti e termini inseriti dal partito nel libro nero. Un esempio comune è “zf”, l’abbreviazione della parola cinese “governo”, “jc” che sta per “polizia”, l’immagine di un panda per rappresentare l’ufficio di sicurezza interna o il famoso foglio bianco esibito durante le proteste contro le politiche ZeroCovid. Sono stati ideati termini anche per descrivere le VPN, software che danno la possibilità di accedere ai siti web esteri bloccati in Cina (come Facebook e Twitter): “Vietnamese Pho Noodles” è uno dei termini che venivano abitualmente utilizzati per riferirsi alle VPN. Lo stesso vale per ricordare momenti che il partito vuole siano dimenticati: il 4 giugno, il giorno della repressione di Piazza Tienanmen del 1989, si trasforma in “35 maggio”, “65 aprile” o “otto al quadrato” e così via. Spesso la creatività deve arrivare quasi all’assurdo. Un post che chiede “come lavare accuratamente le bottiglie a collo stretto” può sembrare strano, ma la pronuncia cinese di “bottiglia a collo stretto” è simile a quella del presidente Xi Jinping. Per questo, oggi questa frase è censurata.
Il sistema di censura cinese lascia perplessi. L’elenco delle parole “sensibili” cambia continuamente ed è sconosciuto al pubblico. Ci sono parole che alcuni utenti non possono scrivere, ma altri sì. Le persone, quindi, si auto censurano sempre nel tentativo di battere il sistema. In tutto questo lavoro per sfuggire alla censura, bisogna riconoscere ai cittadini cinesi una certa dose genialità.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di Luglio/Settembre di eastwest
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Quando negli anni ‘80 la Cina ha iniziato ad aprirsi al mondo con le riforme di Deng Xiaoping, molti pensavano (o speravano) che abbracciare la globalizzazione e l’integrazione economica avrebbe portato nel Paese anche la democrazia. Così non è stato. Oggi, quasi mezzo secolo dopo, la Cina è un ingranaggio imprescindibile delle catene del valore globale e, per certi versi, il simbolo di come la globalizzazione possa trasformare una società, un’economia, una nazione. Ma della democrazia non c’è traccia. Alla guida non c’è più l’ideologia, come durante gli anni di Mao, ma un partito pragmatico che ha cambiato una società senza però mai perdere il suo controllo. Anzi, man mano che la tecnologia avanza, il controllo non fa altro che diventare più capillare.
Così come ha abbracciato la globalizzazione senza i valori occidentali, la Cina ha sviluppato i social senza lasciar spazio alla libertà che contraddistingue generalmente questo strumento. Per vedere questo paradosso basta far caso a TikTok: è il social media più popolare del momento in tutto il mondo, è di proprietà di un’azienda cinese, ma i giovani cinesi usano una versione fatta appositamente per loro. Questa versione è censurata e controllata. La Cina si è aperta ai social media, ma per evitare che questi portassero con sé la libertà di espressione, e dunque la possibilità di destabilizzazioni, ha creato i suoi.