Le prossime sfide politiche non saranno legate solo alla gestione del mutato scenario interno, ma anche a un equilibrio regionale in accelerata metamorfosi
Lo scorso 7 luglio Stefan Löfven, leader dei Socialdemokraterna (Socialdemocratici) svedesi, è riuscito a farsi nuovamente confermare premier con un margine di soli 3 voti nel Riksdag, il Parlamento unicamerale del Regno di Svezia. Löfven è così subito tornato al potere dopo che, due settimane prima, il Vänsterpartiet (Partito della Sinistra, sostenitore esterno del governo) aveva fatto scattare un voto di sfiducia per contrastare le politiche abitative dell’esecutivo. Il 22 agosto, però, il premier svedese ha annunciato ugualmente che da novembre si dimetterà dalla guida dei Socialdemocratici e, anche, dalla carica di Primo Ministro. Per l’11 settembre 2022 sono previste le nuove elezioni parlamentari svedesi e Löfven ha certamente ceduto a pressioni interne per tentare un nuovo corso socialdemocratico in vista delle consultazioni.
Si è così dimostrata decisiva la debolezza fisiologica degli ultimi Governi di Stoccolma, frutto fin dal 2014 di coalizioni di minoranza tra Socialdemokraterna e Miljöpartiet (Partito Verde). Löfven avrebbe dovuto affrontare nuovamente acque proibitive a dicembre, con l’approvazione del budget per il 2022. A inizio novembre il suo compito dovrebbe passare invece a un nuovo leader del partito che, se non ci sarà un’opposizione della maggioranza del Parlamento svedese, dovrebbe diventare anche il nuovo Primo Ministro. Tra i potenziali successori di Löfven si segnalano la Ministra delle Finanze Magdalena Andersson e la Ministra della Salute Lena Hallengren (ma anche il Ministro dell’Energia Anders Ygeman, il Ministro della Giustizia Morgan Johansson e il Ministro per l’Impresa Ibrahim Baylan).
Il primo esecutivo di Löfven
L’esecutivo rosso-verde di Löfven è stato fin dall’inizio il frutto di una costellazione politica frammentata e spogliata dei suoi assetti tradizionali. Storica espressione del cosiddetto “modello svedese”, alle ultime elezioni del 2018 i Socialdemocratici si sono affermati come maggior partito del Paese, ma hanno raccolto solo il 28,3% dei voti, cioè il loro peggior risultato fin dall’anno 1911. Complessivamente, un’ipotetica alleanza di centro-sinistra con il Partito Verde e con il Partito della Sinistra ha così raggiunto solo il 40,7% dei consensi. Sul fronte del centro-destra, i Moderaterna (i Moderati, liberal-conservatori e seconda forza del Paese) si sono invece presentati all’interno della loro tradizionale Alliansen (l’Alleanza) con il Centerpartiet (Partito di Centro liberal-agrario), i Kristdemokraterna (cristiano-democratici) e i Liberalerna (Partito dei Liberali), raccogliendo in tutto il 40,3% dei voti. Percentuali che mostrano perfettamente uno stallo da bipolarismo bloccato o, meglio, superato.
Cruciale per questo scenario è infatti divenuto un terzo attore politico: gli Sverigedemokraterna (Democratici Svedesi), partito della destra nazionalista, capace di veicolare l’opposizione a immigrazione e multiculturalismo di specifici segmenti della società svedese. Una formazione con cui, almeno fino alle elezioni del 2018, nessuno ha mai voluto collaborare. Con il loro miglior risultato elettorale di sempre, tre anni fa i Sverigedemokraterna sono diventati il terzo partito svedese, raggiungendo il 17,6% dei voti.
Nei mesi successivi alle elezioni del settembre 2018 sono state tentate molteplici opzioni per formare un Governo. Passaggio decisivo è stata d’un tratto la spregiudicata mossa di Ulf Kristersson, leader dei Moderati, che ha provato a formare un governo contando sul consenso esterno proprio dei Sverigedemokraterna, sfondando così il muro simbolico verso destra. L’operazione di Kristersson è stata però fallimentare e ha soltanto condotto alla rottura della coalizione di centro-destra Alliansen, a causa del rifiuto del Partito di Centro e dei Liberali di collaborare coi nazionalisti. Proprio il Partito di Centro e i Liberali hanno invece scelto nelle settimane successive un accordo con Löfven, affiancandosi al Partito della Sinistra in una posizione di non opposizione rispetto a un nuovo esecutivo di minoranza di Socialdemocratici e Partito Verde.
Il secondo esecutivo di Löfven
Nel gennaio 2019 è così nato il secondo esecutivo di Stefan Löfven. Per costruire la geometria necessaria a governare, il premier svedese ha tuttavia dovuto promettere molto al Partito di Centro e ai Liberali, con diverse concessioni sulle politiche di lavoro e, ad esempio, sulle regolamentazioni degli affitti. Concessioni che hanno reso fin da subito molto fragile il supporto esterno al Governo del Partito della Sinistra. La sfiducia del giugno 2021 non è stata quindi un evento inaspettato: come aveva promesso da tempo, la sinistra ha infatti reagito quando l’esecutivo ha infine cercato di modificare l’attuale sistema svedese di regolamentazione-contrattazione dei prezzi degli affitti delle abitazioni. Il tema abitativo, così come le tematiche sociali, le politiche del lavoro e quelle previdenziali, sono destinate a rendere complesse future formule di centro-sinistra.
Altre contraddizioni nel corpo politico svedese potranno emergere sulla questione ecologica, ad esempio in merito alla gestione delle foreste. La Svezia è ricoperta per il 67% da boschi e l’industria del legname resta un settore di primo piano (alla base della produzione di combustibili, prodotti cartacei, mobili, materiali da costruzione). La gestione delle aree forestali è però sempre più oggetto di dibattito politico. Il Partito Verde ha ad esempio accolto con favore la nuova strategia forestale dell’Ue (la EU forest strategy for 2030, volta a favorire la biodiversità, ridurre l’uso di legname, proteggere di più le aree boschive). Di diverso tenore è stata però la reazione del Partito di Centro, che è una forza politica da sempre legata all’agrarianismo e alle rivendicazioni delle aziende agricole-forestali. Il partito centrista-agrario si è così opposto apertamente alle nuove politiche forestali dell’Ue. Anche il tema delle foreste sarà quindi rilevante per le elezioni del 2022. Questo accadrà nonostante il Partito Verde non sia (e non sia mai stato) particolarmente forte in Svezia. I temi ecologici sono infatti da tempo trasversali nella costellazione politica del Paese.
Gli attuali sondaggi politici in Svezia sembrano di fatto confermare i risultati del 2018, con i Socialdemocratici seguiti dai Moderati e dai Sverigedemokraterna. L’interrogativo sarà se i Socialdemocratici, i Moderati o altri potranno trovare nuove formule di coalizione per governare il paese. La potenziale mutazione del mondo politico svedese è ancora più significativa se letta attraverso la lente geopolitica.
Dossier geopolitici
Paese europeo ma mai davvero europeista, esterno all’eurozona ma formalmente destinato a farne parte, la Svezia dovrà nei prossimi anni confrontarsi con dossier molto complessi. Territorialmente da sempre preoccupata per il potenziale straripare del colosso russo, Stoccolma ha iniziato ad analizzare con crescente attenzione gli sviluppi internazionali, soprattutto dopo la guerra in Ucraina. Il lungo e tortuoso iter dell’infrastruttura russo-tedesca Nord Stream è stato un altro snodo emblematico per gli interrogativi svedesi sul proprio ruolo transnazionale. Anche l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea ha creato per l’hard power politico-economico svedese una potenziale lacerazione di fronte a quelli che rimangono i due partner politico-commerciali decisivi: Londra e Berlino.
La Svezia osserva intanto con molta più attenzione di altri l’evoluzione russa nell’Artico e assorbe inevitabilmente le aspre conflittualità tra i tre Paesi baltici e Mosca. Pur non essendo membro della Nato, Stoccolma getta così sempre più spesso lo sguardo verso Washington, proponendosi e percependosi come player cruciale nel contenimento della Russia. Gli interrogativi per il prossimo Governo svedese non saranno quindi legati solo alla gestione di un mutato scenario politico interno, ma anche intrecciati a un equilibrio geopolitico in accelerata metamorfosi.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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Le prossime sfide politiche non saranno legate solo alla gestione del mutato scenario interno, ma anche a un equilibrio regionale in accelerata metamorfosi