Nasce l’Alleanza Internazionale per la Resilienza contro la Siccità, lanciata da Spagna e Senegal, con l’appoggio della Convenzione delle Nazioni Unite per Combattere la Desertificazione
Alla fine dello scorso agosto, la Commissione europea analizzava gli effetti di un’estate particolarmente calda nel vecchio continente, affermando che l’Europa stava soffrendo la peggiore siccità degli ultimi 500 anni. Già nel 2021, l’Onu denunciava il rischio che la siccità si sarebbe convertita nella prossima pandemia. La Cop 27, in Egitto a novembre 2022, ha aperto la seconda settimana di lavori mettendo al centro del dibattito il tema della scarsità dell’acqua.
La Cop 27: risultati e impegni
La Cop, Conference of Parties, è la riunione annua dei paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro dell’Onu sui Cambiamenti Climatici, firmata a Rio de Janeiro nel 1992, che punta alla riduzione dei gas serra, identificati come la causa del riscaldamento globale del pianeta. Il primo protocollo che propone limiti obbligatori all’emissione di CO2 nell’atmosfera è quello sottoscritto a Kyoto nel 1997. Nel 2015, a Parigi, viene firmato il primo patto globale contro il riscaldamento del pianeta, fissandone l’aumento massimo, a fine secolo, al di sotto di 1,5° C, obiettivo che richiede il raggiungimento della neutralità climatica, ossia emissioni zero, entro il 2050. Ci si aspettava che la Cop 27 facesse menzione esplicita, nelle sue conclusioni, della graduale riduzione di tutte le fonti fossili, entro il 2025. E invece, ci si è limitati a ribadire l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale a 1,5°, deludendo così Ue e Onu.
“L’umanità deve prendere una decisione: cooperare o perire. Si tratta o di un patto di solidarietà climatica o di un patto di suicidio collettivo”, è stato l’ammonimento di Antonio Guterres, Segretario generale Onu, in apertura dei lavori della Cop 27, cui hanno partecipato oltre 35.000 persone, tra governanti, osservatori e rappresentanti della società civile, e 197 paesi più l’Ue. Monito non sufficiente a vincere le resistenze delle oltre 600 lobby del gas e del petrolio e dei petro-Stati vicini dell’Egitto. Importante, invece, il risultato raggiunto per i paesi in via di sviluppo. Su impulso dell’Egitto, infatti, che ha voluto fare di questa assise una Cop “africana”, la dichiarazione finale annuncia la creazione di un fondo di compensazione per perdite e danni, Loss and damage, rivendicato da decenni dai paesi che più patiscono gli effetti del cambio climatico e che sono arrivati più tardi degli altri a inquinare il pianeta.
Una soluzione salutata da Guterres come “un segnale politico assolutamente necessario per ricostruire la fiducia infranta”. A cui i paesi ricchi, da sempre responsabili delle emissioni di gas serra, si erano fin qui opposti. Ma il tema è stato proposto al primo punto dell’agenda della Conferenza e il G77+Cina (gruppo che rappresenta 134 paesi in via di sviluppo) si è mostrato compatto in trattativa. L’accordo si è reso possibile, quando nel testo ci si è riferiti ai paesi “più vulnerabili” e all’allargamento della base dei paesi donanti. Perché Usa, Europa, Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda non vogliono essere i soli a pagare e vogliono che venga inclusa anche la Cina tra i donatori. Quali saranno i paesi vulnerabili e quali quelli donatori verrà deciso nella prossima Cop di Dubai.
Il ritorno del Sudamerica alla lotta contro il cambio climatico
La Cop 27 ha segnato anche il ritorno del Sudamerica alla lotta contro il cambio climatico. Nel 2019, la Cop 25 si sarebbe dovuta tenere in Brasile, ma l’allora presidente Bolsonaro non volle accoglierla. Si propose allora il Cile, ma le mobilitazioni di piazza di quell’anno suggerirono al governo cileno di rinunciarvi. Alla fine, la Cop 25 si celebrò a Madrid. Tre anni dopo, molti governi sono cambiati in Sudamerica e alla Cop 27 erano presenti i nuovi presidenti del Brasile e della Colombia.
Il presidente colombiano ha proposto un decalogo di iniziative, assicurando che la crisi climatica planetaria “si risolve se il mondo lascia indietro il petrolio e il carbone”. “Il Brasile è tornato”, ha detto Lula, proponendo all’Onu che la Cop 30, del 2025, si celebri in Brasile, in una delle regioni dell’Amazzonia.
La siccità nel mondo. Le donne leader della lotta per l’acqua
Il 40% della popolazione mondiale è colpita dalla scarsità di acqua. La sicurezza dell’acqua è sempre più condizionata dai disastri ambientali prodotti dal cambio climatico, con conseguenze severe per 3,6 miliardi di persone che vivono nelle zone dove il suo impatto è maggiore. Si è osservato che il 74% dei disastri naturali, tra il 2001 e il 2018, era in relazione all’acqua (dati Onu). La siccità ha contribuito alla morte di circa 650.000 persone nello stesso periodo, specialmente in Africa. Gravi anche le conseguenze economiche, con una riduzione di Pil mondiale prevista nel 2050 dello 0,5%. L’area del Mediterraneo è tra le più interessate al fenomeno: sono circa 180 milioni le persone afflitte dalla penuria di acqua.
La gran parte delle acque dolci del pianeta risiede nel continente sudamericano, concorrendo a quel 2,5% di acqua nel mondo disponibile per il consumo. Secondo Greenpeace, il Cile è il paese dell’emisfero occidentale che soffre la maggior crisi idrica, col 76% del territorio povero di acqua. Colpa della scarsità di piogge, ma anche del regime di proprietà delle acque, in mano per l’80% alle imprese agricole (con la coltivazione di avocado), minerarie e dell’energia. In Bolivia, il 51% del territorio è affetto da desertificazione per l’urbanizzazione, il cambio climatico e l’attività mineraria illegale. Critica anche la situazione nel Corredor Seco, l’area che va dal Nord del Centroamerica all’Ovest di Panamá, dove risiede il 90% della popolazione centroamericana, soggetta alla violenza delle catastrofi naturali.
La Ong Actionaid insiste nel denunciare come i gravi danni causati dall’impatto climatico abbiano conseguenze devastanti per donne e bambine, anche sul piano della violenza sessuale. E le donne che vivono nelle aree del mondo più compromesse dal cambio climatico, come Sudamerica, Africa e Asia, si organizzano per far fronte al problema. In Cile, nella provincia di Petorca, flagellata dalla siccità, nel 2017 è nata l’organizzazione Mujeres Modatima (Movimiento de Defensa del Agua, la Tierra y la Protecciòn del Medio Ambiente), che denuncia gli effetti perversi sulla vita delle donne della mancanza d’acqua. Nel 2014, l’attuale vicepresidente colombiana Francia Márquez guidò una marcia di donne nere verso Bogotà contro l’estrazione illegale, quando le acque del fiume risultarono avvelenate da residui di mercurio. In Ciad, l’Associazione delle donne Peul e dei popoli autoctoni si batte per difendere i diritti dei popoli nomadi e proteggere l’ambiente, mobilitandosi contro chi sfrutta la terra fino a esaurirne le risorse.
L’Alleanza internazionale per resistere alla siccità
Nel corso della Cop 27, il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez e il presidente del Senegal Macky Sall hanno presentato la nascita dell’Alleanza Internazionale per la Resilienza contro la siccità, iniziativa sostenuta dalla Convenzione dell’Onu per Combattere la Desertificazione, cui hanno aderito oltre 25 paesi, tra cui Usa, Cina, UAE e Ue e 20 organizzazioni. Un’alleanza globale già annunciata a settembre durante l’assemblea Onu, per costruire una piattaforma politica e di collaborazione che riduca la vulnerabilità dei paesi più esposti alle siccità estreme, ridurre l’insicurezza alimentare e idrica, evitare la perdita di vite e di biodiversità e fenomeni di migrazione coatta. Perciò, andranno consolidate iniziative regionali contro la siccità e ci si dovrà avvalere di innovazione e trasferimento di tecnologia. Il progetto conta con un fondo di risorse iniziale di 5 milioni di euro.
Si stima che, nel 2030, in Africa, 118 milioni di persone si troveranno in rischio di povertà estrema per la crescita del livello del mare, le inondazioni e le siccità. Secondo Oxfam International, oltre 44 milioni di persone residenti in Africa Centrale, Orientale e del Corno d’Africa necessitano di aiuti umanitari per effetto di crisi climatiche sempre più estreme che hanno ridotto la disponibilità di alimenti e acqua, distruggendo coltivazioni e decimando il bestiame. Oltre 13 milioni di persone sono state costrette a spostarsi per cercare nuove condizioni di vivibilità. Nella fascia del Sahel, la desertificazione si è molto approfondita negli ultimi decenni, per il ridursi delle piogge e l’aumento della popolazione. Si prevede anche che, se non si agisce per tempo, il 75% della penisola Iberica sia destinato al rischio estremo di desertificazione. Dopo un’estate molto calda e asciutta, la situazione idrica in Spagna continua a essere critica. Le piogge autunnali sono diminuite del 27%, lasciando i bacini del Guadalquivir e del Guadiana molto al di sotto delle loro capacità. La Catalogna ha dichiarato lo stato di allerta per siccità. Interessati sono 550 municipi tra cui Barcellona, ove risiede quasi il 90% della popolazione catalana. Le restrizioni non riguardano l’acqua da bere, ma le attività agricole, industriali e l’irrigazione di parchi e giardini. Il governo spagnolo ha deciso di investire 350 mln di euro per recuperare il Parque Nacional de Doñana, in Andalusia, una delle zone umide più importanti d’Europa, invertendo la situazione di degrado ambientale in cui attualmente versa questa importante area naturale.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/marzo di eastwest
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Alla fine dello scorso agosto, la Commissione europea analizzava gli effetti di un’estate particolarmente calda nel vecchio continente, affermando che l’Europa stava soffrendo la peggiore siccità degli ultimi 500 anni. Già nel 2021, l’Onu denunciava il rischio che la siccità si sarebbe convertita nella prossima pandemia. La Cop 27, in Egitto a novembre 2022, ha aperto la seconda settimana di lavori mettendo al centro del dibattito il tema della scarsità dell’acqua.