Salvare l’Ue dalla crisi dell’Euro e salvarla dalla pandemia di Covid possono sembrare due imprese molto diverse tra loro, ma non è così…
Salvare l’Europa dalla crisi dell’Euro e salvarla dalla pandemia possono sembrare due imprese impossibili molto diverse tra loro. Ma il modello di governance che Mario Draghi ha applicato nella prima sfida potrebbe funzionare con successo anche per la seconda. Così come la crisi dell’Eurozona stava facendo naufragare il sogno europeo, oggi le nuove priorità dettate dalla pandemia più che dal debito rischiano di far finire in frantumi l’Unione. Tutta colpa di una campagna vaccinale a rilento che procede a singhiozzo per colpa delle Big Pharma, ma ci sono anche responsabilità delle istituzioni europee che non incalzano a sufficienza le imprese e non segnalano subito le inadempienze nelle consegne dei vaccini.
Gettare la croce solo su Ursula von der Leyen e i suoi uffici sarebbe eccessivo ma resta il fatto che l’Italia – anche per la responsabilità che ha come Presidente di turno del G20 e organizzatore della Global Health Summit del 21 maggio a Roma – ha chiesto un radicale cambio di passo. Non siamo ai cosiddetti “pugni sul tavolo” di Renzi né tantomeno all’antieuropeismo del Conte 1 ma a una strategia di pressing dei capi di Stato e di Governo dei 27 sulla Commissione per aumentare il numero dei vaccinati anche solo con la prima dose per intercettare quanto prima crescita economica e ripresa.
Al Consiglio europeo Draghi ha parlato con franchezza dei ritardi nel piano vaccinale, sostenuto in questo dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel e dal Presidente francese Emmanuel Macron, con i quali nelle ore precedenti aveva concordato una linea d’azione comune. In realtà, era da settimane che aumentavano i dubbi sulla reale efficacia del piano europeo. I Primi Ministri di alcuni Paesi come Spagna, Polonia, Danimarca, Lituania e Belgio avevano già chiesto alla Commissione di assicurare per il futuro una produzione sicura ed efficiente dei vaccini. Del resto, molti Paesi stanno coltivando l’idea di muoversi da soli e lo stesso Ministro italiano della Salute Roberto Speranza avrebbe confermato la volontà di investire per sviluppare un sistema industriale della farmaceutica quale asset strategico ricordando che il vaccino Reithera sarà prodotto in Italia.
Draghi conosce troppo bene le regole delle istituzioni europee per non sapere che il suo intervento molto franco al vertice Ue di giovedì segnerà un cambio di linguaggio rispetto ai suoi predecessori, che si rifletterà sulle dinamiche interne tra Stati membri. Con Draghi l’Italia ritorna nel vagone di testa dell’Unione, in quella stanza dei bottoni dove periodicamente siamo ammessi ma dalla quale altrettanto periodicamente veniamo estromessi per nostre incapacità. In un’Europa che ha rintuzzato le spinte sovraniste alle ultime elezioni molto cambierà con l’uscita di scena della Cancelliera Merkel e con le elezioni francesi del 2022. In quel vuoto un uomo come Draghi potrebbe fare la differenza. Tanto più se le sue pressioni sui vaccini riusciranno a produrre gli effetti sperati. La linea dura dei 27 contro le Big Pharma mondiali che producono il vaccino negli stabilimenti europei, ma lesinano le dosi ai cittadini europei, è in gran parte opera sua.
L’obiettivo è di fare trasparenza sui contratti per rivederne alcuni punti condividendo le licenze, superando il segreto industriale e ampliando il numero dei siti di produzione. Draghi è stato molto fermo nel chiedere che non vengano più tollerati comportamenti inaccettabili da parte delle aziende inadempienti nei confronti degli accordi di acquisto anticipato siglati con la Commissione europea. Se la situazione non cambierà non si esclude il ricorso a strumenti molto forti come il blocco delle esportazioni di vaccini fuori dall’Europa applicando l’articolo 122 del Trattato che consente il blocco all’export in casi di carenza di beni essenziali per gli Stati membri. Ma nel frattempo sulle regole europee in materia sanitaria (esclusa dai trattati) occorrerà trovare forme di armonizzazione come un approccio comune sui tamponi e il passaporto vaccinale per migliorare gli spostamenti interni ai Paesi.
Salvare l’Europa dalla crisi dell’Euro e salvarla dalla pandemia possono sembrare due imprese impossibili molto diverse tra loro. Ma il modello di governance che Mario Draghi ha applicato nella prima sfida potrebbe funzionare con successo anche per la seconda. Così come la crisi dell’Eurozona stava facendo naufragare il sogno europeo, oggi le nuove priorità dettate dalla pandemia più che dal debito rischiano di far finire in frantumi l’Unione. Tutta colpa di una campagna vaccinale a rilento che procede a singhiozzo per colpa delle Big Pharma, ma ci sono anche responsabilità delle istituzioni europee che non incalzano a sufficienza le imprese e non segnalano subito le inadempienze nelle consegne dei vaccini.
Gettare la croce solo su Ursula von der Leyen e i suoi uffici sarebbe eccessivo ma resta il fatto che l’Italia – anche per la responsabilità che ha come Presidente di turno del G20 e organizzatore della Global Health Summit del 21 maggio a Roma – ha chiesto un radicale cambio di passo. Non siamo ai cosiddetti “pugni sul tavolo” di Renzi né tantomeno all’antieuropeismo del Conte 1 ma a una strategia di pressing dei capi di Stato e di Governo dei 27 sulla Commissione per aumentare il numero dei vaccinati anche solo con la prima dose per intercettare quanto prima crescita economica e ripresa.
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