La misura, ampiamente sfruttata dai governanti del Paese, permette alle autorità arresti e perquisizioni in casa senza mandato
Dall’assassinio di Anwar Sadat e fino al crollo del regime autoritario di Hosni Mubarak nel 2011, in Egitto lo stato d’emergenza ha rappresentato per il Governo il pretesto perfetto per procedere ad arresti e perquisizioni in casa senza il bisogno del mandato di un giudice. Nel periodo post rivoluzionario, nella breve parentesi dell’esecutivo di Mohamed Morsi dei Fratelli Musulmani, la norma fu cancellata, ma con la salita al potere di Abdel Fattah al-Sisi e in seguito agli attentati nelle chiese di Alessandria e Tanta nel 2017, reintrodotta e utilizzata indiscriminatamente contro la società civile e i dissidenti.
Ora, a distanza di quattro anni dall’ultima dichiarazione di stato d’emergenza, il Presidente al-Sisi annuncia la sua fine. Il motivo è spiegato con queste parole: “L’Egitto è divenuto, grazie al suo grande popolo e ai suoi fedeli uomini, un’oasi di sicurezza e stabilità nella regione. Ecco perché ho deciso di cancellare il rinnovo dello stato d’emergenza in tutta la nazione”. La notizia non è stata appresa con grande fiducia dalle organizzazioni per i diritti umani, secondo le quali il Governo proseguirà indisturbato nella sua azione di repressione.
Per Amy Hawthorne del Project on Middle East Democracy è una mera operazione di facciata: “Sisi ha già tutti i poteri repressivi di cui ha bisogno a prescindere dalla legge sullo stato d’emergenza. L’unico segnale sarebbe rilasciare i prigionieri politici e mettere fine alle torture”. Sulla stessa linea Hossam Bahgat, direttore esecutivo dell’Egyptian Initiative for Personal Rights. Per lui, la fine dello stato d’emergenza è una buona notizia perché significa la fine delle corti di emergenza smetteranno di funzionare, “tranne che per i casi d’alto profilo come quelli di Patrick Zaki, Mohamed Al Baqer, Alla Abdelfattah, Ezzat Ghoneim e altri”.
La mossa di al-Sisi potrebbe essere intesa come una risposta alla minaccia statunitense, che ha avvertito: senza un miglioramento dei diritti umani, non saranno versati i 130 milioni di dollari in aiuti militari. Eppure, numerosi Paesi, Francia in primis, continuano a fare affari con Il Cairo nonostante le gravi violazioni dei diritti umani nel Paese: recentemente Parigi ha sottoscritto nuovi accordi per la fornire 30 Rafale fighters jet, un accordo da 4.5 miliardi di dollari, e altri sistemi tecnologici.
La misura, ampiamente sfruttata dai governanti del Paese, permette alle autorità arresti e perquisizioni in casa senza mandato