Elezioni andine: come è andato il voto in Ecuador e in Perù
Le elezioni presidenziali in Ecuador e Perù hanno rinnovato lo scenario politico dei due Paesi andini, fortemente colpiti dalla pandemia e dalla crisi economica
Le elezioni presidenziali in Ecuador e Perù hanno rinnovato lo scenario politico dei due Paesi andini, fortemente colpiti dalla pandemia e dalla crisi economica
Domenica scorsa si sono svolte le elezioni presidenziali in Ecuador e Perù. Nei due Paesi andini, fortemente colpiti dalla pandemia di Covid-19 e dalla crisi economica, le urne hanno rinnovato lo scenario politico. L’Ecuador sceglie un banchiere e pone fine al ciclo della sinistra sviluppista; ballottaggio inatteso in Perù, tra un maestro di sinistra e la figlia del dittatore degli anni ’90.
L’Ecuador sceglie un banchiere
Il nuovo Presidente dell’Ecuador è Guillermo Lasso. Il candidato conservatore e con un’agenda economica neoliberale, sostenuto dal movimento CREO e dal Partito sociale cristiano, ha vinto il ballottaggio presidenziale con il 52,5% dei voti contro il 47,5% del candidato del centrosinistra Andrés Arauz. Lasso centra la vittoria al terzo tentativo di candidatura. Banchiere, principale azionista del Banco Guayaquil, una delle maggiori banche del Paese, imprenditore, è stato poderoso Ministro dell’Economia nel 1999, durante la crisi finanziaria conclusasi con un colpo di stato e la dollarizzazione dell’economia ecuadoriana. Durante la campagna elettorale, i principali punti di dibattito sono stati la crisi sanitaria, la situazione economica e il debito estero. Lasso ha promesso di vaccinare la metà della popolazione nei primi cento giorni di Governo (oggi solo il 2.6% dei cittadini ha ricevuto almeno una dose, uno dei dati peggiori dell’America Latina). Il nuovo Presidente ha poi dichiarato di voler negoziare nuove tariffe doganali per promuovere le esportazioni dei prodotti agroalimentari e onorare gli impegni con i creditori internazionali. Il Paese ha un debito estero pari al 45% del Pil e Lasso si è impegnato ad appianarlo, tramite un piano di tagli di spesa pubblica e una riforma fiscale. Lasso non avrà la maggioranza nell’Assemblea Nazionale, dove potrà contare solo su 30 deputati su 137.
Il partito di maggioranza relativa nell’emiciclo è Unes (Unión por l’Esperanza), con 49 deputati, blocco a supporto dello sconfitto Arauz, candidato benedetto da Rafael Correa, Presidente dell’Ecuador tra il 2007 e il 2017. Correa, benché assente dal Paese, dal 2018 si trova in Belgio, è stato presente nella campagna elettorale e nello scenario politico del Paese. La sua agenda, definita socialismo del XXI secolo, è stata un intreccio di politiche di welfare e investimenti per modificare il sistema produttivo e liberare il Paese dai vincoli con il Fondo monetario internazionale (fu sotto il suo Governo che il Paese dichiarò default nel 2008).
Lo scenario politico ecuadoriano si definisce sull’asse correismo vs. anti-correismo. Correa ha vinto tutte le elezioni negli ultimi quindici anni, la sconfitta di domenica potrebbe essere il suo tramonto politico.
Il terzo gruppo in parlamento è il Movimento de Unidad Plurinacioal Pachakutik, con 27 legislatori. Il partito indigenista, con il suo candidato Yaku Perez, è stata la sorpresa del primo turno, con il miglior risultato di sempre, frutto della capitalizzazione politica delle proteste di ottobre 2019, quando le piazze del Paese si riempirono contro i piani di austerità del Governo per fare fronte al debito contratto con il Fmi. Al ballottaggio di domenica scorsa, tra il banchiere Lasso e il correista Arauz, l’indigenismo – che non divide la politica su un asse destra-sinistra – si è schierato per il voto nullo. In Ecuador il voto è obbligatorio (pena una multa pari al 10% del salario minimo) e la consegna è valsa 1.7 milioni di schede nulle, circa il 18%. Lasso ha beneficiato di questa scelta e degli accordi con altri candidati esclusi dal secondo turno. E adesso, dovrà trovare la chiave di volta in un Parlamento in cui Pachakutik può essere la soluzione al problema della governabilità.
Ballottaggio tra due estremi in Perù
In Perù, i risultati del primo turno delle elezioni presidenziali sono stati una vera sorpresa. Smentendo tutti i sondaggi, il primo classificato, con il 19%, è Pedro Castillo (sinistra), che accede al ballottaggio insieme a Keiko Fujimori (destra), con il 13.3%. La scelta al secondo turno, previsto per il prossimo 6 giugno, sarà fra due estremi dell’arco politico peruviano.
Il quadro politico del Paese inca è estremamente frammentato: tra i diciotto candidati al primo turno, quattro si sono giocati il secondo posto, in una forchetta di meno di quattro punti percentuali. La frammentazione elettorale è il riflesso dell’instabilità politica, che ha prodotto quattro Presidenti negli ultimi quattro anni. La grande volatilità politica non ha mai messo in discussione il modello economico adottato a inizio anni ’90 e che ha garantito una crescita ininterrotta. Si basa su uno Stato debole, poche regole per i grandi investitori, un mercato del lavoro che ha raggiunto il 68% di lavoratori informali nel 2020. Tale sistema è parte del lascito dell’autocrate Alberto Fujimori (Presidente dal 1990 al 2000), che lo impose insieme alla Costituzione del 1993, tutt’ora vigente.
Chi punta a cambiare la Costituzione del 1993 e il modello economico è proprio Castillo, che promette “non più poveri in un Paese ricco”. Maestro di scuola, portavoce di coloro storicamente dimenticati dal potere, leader sindacale, esponente di Perù Libre, della sinistra ortodossa con posizioni retrograde riguardo ai diritti delle donne. Si è fatto conoscere come leader nazionale di un lunghissimo sciopero dei maestri del 2017 che ottenne diverse concessioni dal Governo. L’attuale candidato a Presidente era a capo di una delle correnti più agguerrite della Federazione Nazionale degli Educatori del Perù, che rifiutarono le condizioni imposte dal Governo di Lima per i negoziati. Sottostimato da tutti i sondaggi, dove non aveva mai superato il 6% delle intenzioni di voto, sembra sorpreso lui stesso dal risultato, tanto da dichiarare “abbiamo partecipato alle elezioni, non ad un sorteggio”.
Al ballottaggio sfiderà la figlia dell’ex dittatore Fujimori, espressione del partito di destra Fuerza Popular. Keiko Fujimori è espressione delle classi agiate, di coloro che hanno maggiormente beneficiato dell’attuale modello di sviluppo e supportato le pratiche totalitarie di Fujimori padre. Keiko, proiettata sulla scena politica nazionale dal padre che la scelse come première dame, è stata candidata Presidente già due volte prima delle elezioni dello scorso 11 aprile. Nel 2016, Fuerza Popular ottenne la maggioranza assoluta, lei andò al ballottaggio ma perse, ostacolata dal forte sentimento antifujimorista nel Paese. Ma oggi la partita è un’altra. Difatti, Fujimori ha già fatto un appello di unità agli altri candidati conservatori per bloccare il passo all’estrema sinistra di Castillo. Il suo appello è rivolto a Hernando de Soto, economista liberista e già consulente di Fujimori, e a Rafael López Aliaga, imprenditore, si definisce il Bolsonaro del Perù, membro dell’Opus Dei, ha dichiarato di praticare la castità e utilizzare abitualmente il cilicio. Entrambi hanno registrato l’11.6% dei consensi al primo turno. Castillo dovrebbe poter contare sull’appoggio di Verónika Mendoza, psicologa francoperuana, ha ottenuto il 7.8% al primo turno. Chiunque vinca, non potrà contare sulla maggioranza in Parlamento, dove il partito di Castillo è maggioranza relativa, con appena 32 parlamentari su 130. Il Paese è profondamente diviso, ci vorrà molta creatività politica per inventare un progetto stabile per il Perù per il futuro.
Le elezioni presidenziali in Ecuador e Perù hanno rinnovato lo scenario politico dei due Paesi andini, fortemente colpiti dalla pandemia e dalla crisi economica
Domenica scorsa si sono svolte le elezioni presidenziali in Ecuador e Perù. Nei due Paesi andini, fortemente colpiti dalla pandemia di Covid-19 e dalla crisi economica, le urne hanno rinnovato lo scenario politico. L’Ecuador sceglie un banchiere e pone fine al ciclo della sinistra sviluppista; ballottaggio inatteso in Perù, tra un maestro di sinistra e la figlia del dittatore degli anni ’90.
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