Il presidente uscente Tebboune, riconfermato dalle urne, ha dovuto riconoscere la presenza di irregolarità, ammettendo implicitamente che le elezioni non si sono svolte in maniera corretta. In evidenza il dato dell’affluenza, bassissima.
Sabato 7 settembre si sono tenute le elezioni presidenziali in Algeria. E i risultati sono stati esattamente quelli che si aspettavano tutti: il presidente uscente Abdelmadjid Tebboune ha vinto nettamente, con il 94,7% dei voti, e si è assicurato un secondo mandato quinquennale.
Alle sue spalle, gli altri due candidati hanno ricevuto soltanto poche decine di migliaia di voti. Abdelali Hassani Cherif, leader del partito islamista moderato MSP, si è fermato al 3,2%. Il candidato socialista Youcef Aouchiche è arrivato appena al 2,2%.
I risultati rispecchiano perfettamente le aspettative della vigilia. Tra gli osservatori internazionali non c’erano dubbi nel dare per scontata la riconferma di Tebboune e nel prevedere che il voto non sarebbe stato altro che un tentativo di dare legittimità al Presidente. Anche i cittadini del Paese nordafricano erano certi di un esito favorevole a Tebboune. D’altronde, nulla lasciava pensare che alle elezioni ci sarebbe stata una competizione libera, anzi: prima del voto, l’autorità elettorale aveva impedito a numerosi oppositori di candidarsi, dando il via libera soltanto a Cherif e Aouchiche, due politici non particolarmente popolari né carismatici.
Considerato che il successo di Tebboune non era in discussione, in molti avevano sottolineato che l’unico dato da guardare con attenzione fosse quello dell’affluenza. E proprio la percentuale di votanti ha causato le maggiori polemiche e ha spinto le opposizioni a denunciare l’esistenza di brogli.
Subito dopo la chiusura delle urne, l’Autorità nazionale indipendente delle elezioni ha annunciato che aveva votato il 48% dei cittadini aventi diritto. Per il potere, si trattava di un risultato ottimo. Per uscire rafforzato dal voto, Tebboune aveva infatti bisogno di far registrare una partecipazione maggiore rispetto alle presidenziali del 2019, quando si era fermata al 39%, e soprattutto rispetto al referendum del 2020 e alle elezioni legislative dell’anno successivo, quando aveva votato meno di un algerino su quattro.
Quando però sono stati annunciati i numeri dei voti ricevuti da ogni candidato, la mattina di domenica, è risultato evidente che i conti non tornassero. Gli elettori erano stati poco più di 5 milioni e mezzo, equivalenti ad appena il 23% di chi ne aveva diritto, e non al 48% che era stato annunciato.
La discrepanza tra i due risultati è stata immediatamente denunciata dall’opposizione. Ed è risultata talmente evidente che anche lo stesso Tebboune è stato di fatto costretto ad ammettere che erano state commesse delle irregolarità. Alla fine, tutti e tre i candidati hanno pubblicato un comunicato congiunto in cui hanno denunciato “contraddizioni nei risultati annunciati”, evidenziando anche l’esistenza di “errori nell’attribuzione delle percentuali a ciascun candidato”.
Alla fine, quella che doveva essere una mossa utile a rafforzare Tebboune e a garantirgli una qualche legittimazione democratica si è trasformata in un boomerang. Riconoscendo la presenza di irregolarità, il leader algerino ha di fatto ammesso che le elezioni non si siano svolte in maniera corretta. E ha finito per porre ancora di più l’accento sul dato dell’affluenza, bassissima.
Oltre ad indebolire Tebboune, il voto e i dati sulla partecipazione hanno mostrato in maniera inequivocabile la distanza tra il potere e la popolazione. E, soprattutto, mostra come gli algerini siano ormai disillusi, consapevoli di non poter cambiare le cose e di non poterlo fare di certo attraverso il voto.
Dal 2019 sono passati appena 5 anni, ma sembra essere trascorsa un’era. Allora, le proteste dell’Hirak avevano portato alla caduta del regime di Bouteflika. Oggi sono ormai spariti gli spazi di dissenso, la repressione è aumentata e – dopo un periodo iniziale, in cui si sono impegnati nel combattere la corruzione – Tebboune e i suoi collaboratori si sono distanziati dalla popolazione e dalle sue richieste. “Il pouvoir è tornato a essere quello che è sempre stato: ombroso, insondabile e ormai anche gerontocratico” ha scritto l’esperta di Nord Africa Caterina Roggero su Ispi.
Sabato 7 settembre si sono tenute le elezioni presidenziali in Algeria. E i risultati sono stati esattamente quelli che si aspettavano tutti: il presidente uscente Abdelmadjid Tebboune ha vinto nettamente, con il 94,7% dei voti, e si è assicurato un secondo mandato quinquennale.
Alle sue spalle, gli altri due candidati hanno ricevuto soltanto poche decine di migliaia di voti. Abdelali Hassani Cherif, leader del partito islamista moderato MSP, si è fermato al 3,2%. Il candidato socialista Youcef Aouchiche è arrivato appena al 2,2%.