Sui colloqui Iran-Usa, l’incognita delle elezioni a Teheran
Il 18 giungo si svolgeranno le elezioni presidenziali in Iran, guardate con molto interesse dagli Stati Uniti, che vogliono riaprire i canali con Teheran senza chiuderli con Riad e Tel Aviv
Il 18 giungo si svolgeranno le elezioni presidenziali in Iran, guardate con molto interesse dagli Stati Uniti, che vogliono riaprire i canali con Teheran senza chiuderli con Riad e Tel Aviv
Il prossimo 18 giugno gli iraniani saranno chiamati a eleggere il nuovo Presidente. Come al solito e per grandi linee lo scontro sarà tra conservatori e riformisti. I riformisti non sono messi bene: lo scherzo di Trump di uscire dall’accordo nucleare e gli omicidi mirati israeliani forniscono argomenti all’ala più dura, l’inflazione è alle stelle e l’economia, nonostante sia in leggera crescita, è stata in recessione per i due anni precedenti. Come sempre prima del voto iraniano la situazione per chi non conosce a fondo le dinamiche della politica e della società iraniane è confusa, moltissimi candidati, attesa per altri e per sapere se e quanti verranno bloccati dal Consiglio dei guardiani.
Per queste e molte altre ragioni gli Stati Uniti e i partner europei hanno dato un’accelerata ai colloqui con Teheran sul nucleare. O meglio sul rientro al Joint Comprehensive Plan of Action (JCPoA) da parte americana e un rispetto delle regole imposte da quel piano da parte iraniana. Da settimane in un albergo di Vienna diplomatici europei fanno la spola tra una delegazione di Teheran e una di Washington, che dialogano ma solo per interposta persona. Per americani ed europei c’è fretta di mettere molti particolari al sicuro prima del voto di giugno, in maniera da evitare di dover cominciare a trattare sul serio con un Presidente potenzialmente ostile a qualsiasi accordo. Washington era restia a colloqui fino a quando gli iraniani non avessero fatto passi in avanti, ma dopo le pressioni dell’Europa, con la quale gli Usa sono in debito in materia di Iran, avendo loro fatto saltare gli accordi, e l’accelerazione del programma nucleare di Teheran, la scelta è caduta sul dialogo immediato. Tra l’altro, l’ayatollah Khamenei, la Guida Suprema, pur essendo un alleato dell’ala intransigente, è favorevole al proseguimento dei negoziati.
Le posizioni di partenza sul tavolo sono relativamente inconciliabili, gli americani vorrebbero un accordo quadro che, oltre a impedire all’Iran di dotarsi di una bomba atomica, affronti il tema dei missili balistici di precisione che Teheran ha sviluppato e quello del sostegno a gruppi terroristici e milizie straniere. Dal canto loro, gli iraniani chiedono la fine di tutte le sanzioniin cambio del ritorno all’accordo del 2015. Al momento, la cosa più probabile è uno scambio tra una riduzione drastica delle sanzioni e il ritorno di Teheran a sottostare alle ispezione della Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Iaea).
Questa almeno è la versione delle cose data dal Presidente Rouhani ai media del suo Paese. “Restano da concordare i dettagli – ha detto il Presidente iraniano, non corroborato da dichiarazioni simili europee o americane -: quasi tutte le sanzioni principali sono state eliminate (nel testo in preparazione, ndr) e i colloqui continuano su alcuni dettagli”.
Le intenzioni degli Stati Uniti
Il Presidente Biden, cui è stato chiesto se l’Iran avesse intenzioni serie ha risposto: “Sì, ma quanto e cosa sono disposti a fare è una storia diversa. Ci stiamo ancora confrontando”. La verità è che Teheran vuole accelerare e tende a dare l’accordo per fatto, mentre a Washington vorrebbero almeno che quanto si decide adesso fosse il primo passo verso qualcosa di più ampio. L’unico dato certo, confermato da europei e russi è che le parti stanno negoziando in maniera collaborativa: “I colloqui sono iniziati i primi di aprile”, ha twittato il rappresentante russo Mikhail Ulyanov; “Le delegazioni sembrano essere pronte a rimanere a Vienna tutto il tempo necessario per raggiungere l’obiettivo”. Sembra di capire che in un gesto di buona volontà, Biden sarebbe pronto a scongelare un miliardo di dollari come “aiuto umanitario”, che significherebbe trasferire risorse senza bisogno di togliere le sanzioni. Ma prima, sottolineano a Washington, vogliamo dei passi concreti della controparte.
Gli Stati Uniti vogliono da tempo fare passi indietro in Medio Oriente e proprio per questo stanno mettendo all’opera un’offensiva diplomatica ad ampio raggio nella regione. I contatti tra sauditi e iraniani sono anche frutto del nuovo atteggiamento americano nei confronti di Mohammed bin Salman e della volontà di riaprire i canali con Teheran. Riportare relazioni normali tra le due potenze regionali, che oltre al petrolio hanno un peso religioso per le comunità sunnita e sciita, sarebbe un colpo. Certo, difficile a realizzarsi in un contesto nel quale giocano anche la Turchia, Israele e altri attori.
A proposito di Israele, per rassicurare un po’ gli alleati più stretti nella regione, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e il suo omologo israeliano Meir Ben-Shabbat hanno concordato di istituire un gruppo di lavoro per concentrarsi sulla minaccia dei missili di precisione iraniani in mano a Hezbollah e altri gruppi. Israele ha lanciato molti attacchi contro i carichi di armi iraniane spedite nella regione e nei giorni scorsi gli Stati Uniti hanno bloccato una nave con un carico diretto in Yemen. Gli americani sembrano lavorare su tutti i tavoli con un messaggio tutto sommato coerente: spingere alle soluzioni diplomatiche, abbassare la tensione, riaprire i canali con Teheran senza per questo voltare le spalle a Riad e Tel Aviv. Un domino difficile da costruire alla perfezione, ma almeno un piano ambizioso.
Il 18 giungo si svolgeranno le elezioni presidenziali in Iran, guardate con molto interesse dagli Stati Uniti, che vogliono riaprire i canali con Teheran senza chiuderli con Riad e Tel Aviv
Il prossimo 18 giugno gli iraniani saranno chiamati a eleggere il nuovo Presidente. Come al solito e per grandi linee lo scontro sarà tra conservatori e riformisti. I riformisti non sono messi bene: lo scherzo di Trump di uscire dall’accordo nucleare e gli omicidi mirati israeliani forniscono argomenti all’ala più dura, l’inflazione è alle stelle e l’economia, nonostante sia in leggera crescita, è stata in recessione per i due anni precedenti. Come sempre prima del voto iraniano la situazione per chi non conosce a fondo le dinamiche della politica e della società iraniane è confusa, moltissimi candidati, attesa per altri e per sapere se e quanti verranno bloccati dal Consiglio dei guardiani.
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