A un mese dalle elezioni presidenziali, il centrosinistra appare fuori dai giochi. Il declino del Ps, da storico protagonista della vita politica francese alla irrilevanza di oggi
Di mestiere, Mathieu Sapin è un fumettista, ma il lavoro di cui si occupa in “La disparition”, film-documentario uscito in Francia a febbraio, è ben diverso. Nel lavoro girato da Jean-Pierre Pozzi, Sapin prova infatti a condurre un’inchiesta sulla “discesa agli inferi” del Partito socialista francese, partendo dalla vittoria di François Mitterrand nel 1981 per raccontare il lento distacco tra il corpo della società francese e l’élite del Ps a partire dal suo insediamento al potere.
Il documentario si inserisce perfettamente in un contesto che vede il Parti socialiste apprestarsi a ottenere quello che è di gran lunga il suo peggior risultato di sempre, vicino alla sparizione raccontata da Sapin e Pozzi: nonostante la candidatura di un personaggio noto come la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, il Ps è accreditato circa del 2% dei consensi. E il mese che resta di campagna elettorale non sembra essere in grado di smuovere le acque in favore del centrosinistra.
Se forse risalire alla presidenza Mitterrand per ritrovare il “peccato originale” socialista è uno sforzo di eccessiva autocritica, più realistica è la riflessione che pone Serge Raffy sulle colonne de L’Obs. Raffy conosce da vicino le dinamiche del Ps e dei suoi personaggi: ha curato biografie degli ex Presidenti Lionel Jospin e François Hollande, oltre ad aver pubblicato lo scorso anno un libro sulla stessa Hidalgo.
E proprio sull’eredità di Jospin e Hollande si sofferma nel rimproverare al Parti socialiste la mancata rivendicazione dei risultati ottenuti nei propri anni al potere. “Per costruire il futuro, è necessario far pace con la propria storia” è la tesi di fondo di Raffy, che prosegue: “In questo contesto di rifiuto, perché un elettore o elettrice dovrebbe accordare il proprio voto a un gruppo che detesta sé stesso?”
Certo, riflettere sulla propria storia non può voler dire dimenticare il passato più recente: quello che afferma, ad esempio, che François Hollande – quali che siano le sue colpe – ha lasciato l’Eliseo da Presidente più impopolare della Quinta Repubblica, con un gradimento fermo al 22%.
Ma la riflessione di cui deve farsi carico la famiglia socialista non può essere legata solo alle sorti di un personaggio come Hollande, che non spiegherebbero le scarsissime fortune del tentativo di separarsi da quell’eredità politica portato avanti da Benoît Hamon nel 2017. E né giustificano l’ondata di negatività e scoramento che ha investito persino un personaggio come Hidalgo in questa campagna.
“Tu nous fais honte” è il tweet che Patrik Mennucci, allora Deputato dell’Assemblea nazionale della Francia per il Parti socialiste, aveva rivolto al compagno di partito Manuel Valls, ex Primo Ministro francese accanto ad Hollande nel 2014, all’indomani della dichiarazione con cui annunciava il sostegno a Emmanuel Macron al primo turno delle elezioni presidenziali del 2017.
La crisi dei socialisti non comincia ovviamente cinque anni fa, e la sconfitta storica delle ultime elezioni si inscrive in una tendenza profonda e sistemica: una crisi della socialdemocrazia europea che continua a occupare posti di potere, in maniera sempre più residuale, senza riuscire più a farsi interprete e portavoce del conflitto. Ma di certo la candidatura e la vittoria di Macron hanno accelerato il processo e aperto concretamente la strada al dégagisme dell’elettorato storico e alla lacerazione dell’apparato di partito di cui il voltafaccia di Valls può essere solo un caso sineddotico.
Nel giugno 2012, il potere dei socialisti in Francia era ancora enorme: oltre ad avere in mano l’Eliseo con François Hollande, il Ps aveva la maggioranza assoluta all’Assemblea e al Senato, la vittoria in tutte le regioni metropolitane, tranne l’Alsazia, in sei dipartimenti su dieci, la conquista di sette città con più di 100.000 abitanti su dieci. L’incapacità di François Hollande di candidarsi per un nuovo mandato nel 2017 e la disfatta storica con il 6,36% di Benoît Hamon sono segni inquietanti di una crisi profonda al termine di cui il Ps, dopo aver perso tutte le elezioni intermedie, ha mantenuto soltanto 29 deputati al Governo.
Oggi lo svuotamento del partito, del suo elettorato e della sua vocazione politica prosegue senza soluzione di continuità. La scelta di candidare la sindaca di Parigi, al momento al suo secondo mandato, si è rivelata un fallimento. C’è da dire che, benché eletta per la seconda volta nel 2020, Anne Hidalgo non ha mai incontrato il favore delle classi popolari di Parigi; il SUPAP-FSU (sindacato unitario del personale amministrativo parigino) ha accusato a più riprese la sindaca socialista di essere “più radicale del Presidente dei ricchi”, epiteto ormai da tempo attribuito a Emmanuel Macron, nella distruzione dei diritti sociali. Ma anche le politiche sulla viabilità, con cui Hidalgo ha tentato di liberare la capitale dall’uso dei mezzi privati, nella pratica ha inasprito una segregazione spaziale e sociale già complessa per chi vive oltre la périphérique della città.
Nel programma ufficiale della candidata, alla terza pagina, c’è una lettera ai francesi dove Hidalgo esprime la sua volontà di costruire una “Francia riconciliata”, guarita dai conflitti sociali, economici, di classe, climatici. Un Paese pacificato e senza conflitto. E forse questo è parte della debolezza di un programma di un partito che nel mettere al centro le politiche del lavoro ed ecologiche paga lo scotto di una eccessiva semplificazione della realtà senza riuscire a farsi carico della complessità e dello scandalo di una società che continua a produrre esclusione ed emarginazione. Al di là delle colpe di Anne Hidalgo, il problema del Ps è certamente sistemico e identitario. I socialisti hanno visto le proprie battaglie e le proprie strutture smantellate, i suoi temi presentati da altri in chiave più convincente, che sia quella della sinistra radicale di Mélenchon o del liberalismo macroniano, ma soprattutto l’incapacità di produrre nuove pratiche convincenti.
Il documentario si inserisce perfettamente in un contesto che vede il Parti socialiste apprestarsi a ottenere quello che è di gran lunga il suo peggior risultato di sempre, vicino alla sparizione raccontata da Sapin e Pozzi: nonostante la candidatura di un personaggio noto come la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, il Ps è accreditato circa del 2% dei consensi. E il mese che resta di campagna elettorale non sembra essere in grado di smuovere le acque in favore del centrosinistra.