Il summit in Cornovaglia e il vertice di Bruxelles chiariscono che l'ordine internazionale a guida Usa sta rivedendo la sua strategia. Ma Pechino la vede diversamente
Il summit in Cornovaglia e il vertice di Bruxelles chiariscono che l’ordine internazionale a guida Usa sta rivedendo la sua strategia. Ma Pechino la vede diversamente
“Through this we can still rule the world”. Attraverso questo possiamo ancora dominare il mondo. È la scritta che campeggia sopra l’illustrazione utilizzata dal Global Times, il tabloid cinese di Stato in lingua inglese, per ritrarre la riunione del G7 in Cornovaglia come una “ultima cena”.
Al centro, ovviamente, l’aquila statunitense che punta il dito contro la Cina. Alla sua destra c’è un lupo grigio che fa segno di no con le mani. Rappresenta l’Italia, riluttante a seguire Washington nella sua campagna anti cinese. Vengono raffigurati poi un cane (Giappone) che offre da bere agli altri astanti, un canguro (Australia), un falco (Germania) e un gallo (Francia) che ascoltano in silenzio. E ancora un leone (Regno Unito) e una nutria (Canada), mentre da sotto il tavolo una rana (Taiwan) cerca di saltare abbastanza in alto per farsi vedere.
Ma, attenzione: il disegno, pubblicato dall’utente Bantonglaoatang su Weibo, non è solo un divertissement. Rappresenta visivamente e testualmente il pensiero della Cina sull’attuale ordine internazionale a guida statunitense, di cui il G7 è uno dei pilastri. Ebbene, la concezione cinese è chiara: per Pechino il G7 è una struttura basata su un ordine unipolare, un vecchio circolo di presunti amici non al passo con i tempi e con il nuovo ordine multipolare. E dunque il vertice anti cinese sarebbe un artificio attraverso il quale gli Stati Uniti e i suoi (più o meno) alleati si convincono di poter ancora controllare un mondo che invece gli è sfuggito di mano. Through this we can still rule the world, appunto.
Non c’è dubbio che sia al summit del G7 in Cornovaglia che al successivo vertice Nato di Bruxelles si sia parlato molto di Cina. Nonostante le rassicurazioni arrivate dal segretario generale Nato Jens Stoltenberg (“non vogliamo una guerra fredda”) a cui hanno fatto eco quelle di Emmanuel Macron e Boris Johnson, Pechino interpreta sempre di più questi eventi multilaterali a cui non è invitata come azioni e organizzazioni ostili nei suoi confronti.
Il summit G7
Partiamo dal G7, da dove sono arrivate sfide alla Cina su più direttrici. La prima è quella economica. È stato annunciato l’avvio della cosiddetta Build Back Better World(B3W) Partnership, voluta da Joe Biden. Si tratta di un piano infrastrutturale congiunto che mira a diventare un’alternativa alla Belt and Road cinese, proponendo investimenti da miliardi di dollari da realizzare soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, proprio laddove il programma cinese fa solitamente più gola.
Ovviamente, l’economia si intreccia con la diplomazia, come dimostra il fatto che l’iniziativa propone anche la distribuzione di miliardi di dosi di vaccini anti Covid-19 nei Paesi coinvolti dai progetti infrastrutturali. C’è poi la direttrice geopolitica. Al termine del G7 sono stati citati non solo i diritti umani con riferimento a Xinjiang e Hong Kong, ma anche “l’importanza della pace e della stabilità sullo Stretto di Taiwan” e le dispute territoriali marittime nel Mar Cinese meridionale e nel Mar Cinese orientale. Coinvolto anche l’aspetto narrativo, come dimostra la richiesta congiunta di un nuovo studio trasparente e approfondito sull’origine del coronavirus in Cina. Appello ascoltato dall’Organizzazione mondiale della sanità, che ha subito chiesto cooperazione a Pechino.
I media cinesi hanno accolto l’esito del G7 come un “esempio vivente di mentalità da guerra fredda” e hanno liquidato i “valori comuni” citati nel comunicato finale come “pregiudizio ideologico e arroganza”. In realtà, in seno al G7 le posizioni sono un po’ sfumate. C’è chi, soprattutto Germania e Francia, insistono sul mantenere separate la dimensione politica e quella economica nei rapporti con la Cina. E in effetti il summit si è concluso senza un accordo sul divieto alla partecipazione occidentale a progetti che beneficiano in qualche modo dal lavoro forzato.
Il vertice Nato
Segnali potenzialmente ancora più interessanti sono arrivati dalla Nato. Al termine del vertice di Bruxelles, per la prima volta l’Alleanza Atlantica parla della Cina come di una “sfida sistemica“, ma non ancora di una “minaccia”. Segnala comunque l’inizio di un cambio nel pensiero strategico, che segue quello compiuto dal Pentagono nei giorni scorsi, che ha significativamente posto la Cina in cima alle sue priorità. Una svolta potenzialmente epocale, se seguita anche dalla Nato che ha lanciato la revisione del proprio concetto strategico (datato 2010), in via di definizione nei prossimi mesi. Il comunicato finale indica Pechino come un rischio per la sicurezza dell’Alleanza. Vengono citati non solo gli aspetti strategici militari, ma anche quelli legati al mondo cyber.
Non a caso il piano Nato 2030 prevede ingenti investimenti per rispondere alle minacce ibride e a quelle digitali. Ancora una volta, però, né Angela Merkel né Emmanuel Macron hanno citato direttamente la Cina nei loro interventi, dimostrando che non esiste ancora una chiara unità di intenti sull’approccio da adottare. La narrativa di una nuova contrapposizione tra blocchi non restituisce l’esatta immagine di un mondo nel quale le sfere di influenza (laddove esistono) sono mobili e compenetrabili. Guardare la presa di distanza della Corea del Sud (invitata in Cornovaglia) dalla lettura anti cinese del G7 per credere.
Il summit in Cornovaglia e il vertice di Bruxelles chiariscono che l’ordine internazionale a guida Usa sta rivedendo la sua strategia. Ma Pechino la vede diversamente
“Through this we can still rule the world”. Attraverso questo possiamo ancora dominare il mondo. È la scritta che campeggia sopra l’illustrazione utilizzata dal Global Times, il tabloid cinese di Stato in lingua inglese, per ritrarre la riunione del G7 in Cornovaglia come una “ultima cena”.
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