L’Artico costituisce un nodo cruciale per i rapporti tra Stati Uniti e Russia e potrebbe rappresentare una nuova frontiera di scontro o un possibile campo di cooperazione
Tra i vari temi discussi a Ginevra durante il vertice Usa–Russia dello scorso 16 giugno, ve n’è forse uno che, più degli altri, merita ancora ulteriore analisi: l’Artico. Infatti, quasi completamente oscurato dalle reciproche accuse di violazione dei diritti umani e dai grotteschi paragoni “putiniani” tra gli assalitori di Capitol Hill e il dissidente russo Alexei Navalny, il dossier sull’Artico non sembra aver ricevuto una copertura mediatica proporzionale alla sua effettiva rilevanza. Al contrario, però, la regione del Polo Nord costituisce un nodo cruciale per i rapporti tra Stati Uniti e Russia e potrebbe – a seconda dei futuri sviluppi – rappresentare alternativamente una nuova frontiera di scontro o un possibile campo di cooperazione tra questi due Stati.
Perché l’Artico è così importante?
Prima di indagare quale tra le due prospettive accennate sia più verosimile, occorre chiarire le ragioni della centralità strategica della zona geografica in questione. Innanzitutto, per “Artico” si intendono quei territori situati al di sopra del Circolo Polare Artico, ossia il parallelo posto a 66°33’39” di latitudine nord. Tale area comprende principalmente mari (Mar glaciale artico), ma include anche porzioni di Alaska (Usa), Canada, Finlandia, Groenlandia (Danimarca), Norvegia, Russia e Svezia. A rendere importante questa distesa oceanica è un connubio di fattori ambientali ed economici.
Infatti, oltre a racchiudere il 20% di tutta l’acqua dolce presente sull’intero globo terrestre, i ghiacciai dell’Artico celano anche il 13% dei giacimenti mondiali di petrolio e un terzo del gas naturale del pianeta. Inoltre, come ben illustrato nel report “Regaining Arctic dominance”, pubblicato in gennaio dall’Esercito statunitense, lo scioglimento dei ghiacci potrebbe agevolare la navigazione tra Cina ed Europa lungo la cosiddetta Rotta del Mare del Nord (NSR), offrendo così una scorciatoia artica al passaggio attraverso il canale di Suez. Infine, il valore di questa zona è anche dovuto alla presenza di banchise, cioè blocchi di acqua marina congelata, che fungono da regolatori del clima terrestre.
A fronte di tali fattori, sono diversi i Paesi determinati a far valere i propri interessi nella regione, ma ad oggi, i più attivi nella corsa all’Artico sono sicuramente Russia e Stati Uniti.
Una nuova Guerra fredda, anzi, glaciale
Da un lato, c’è Mosca, la quale sostiene fermamente che le dorsali oceaniche e il Polo Nord siano parte integrante del territorio russo ed è perciò decisa a perseguire i propri obiettivi nell’area: la regolamentazione del transito lungo la NSR, l’industrializzazione della regione e l’autodifesa da quello che percepisce come un accerchiamento da parte della Nato. Dall’altro lato, vi sono gli Stati Uniti, che concepiscono l’estremo Nord come uno spazio internazionale da salvaguardare dalle ambizioni militaristiche russe, e che non intendono lasciare che l’Artico diventi terreno d’incontro tra i due maggiori antagonisti di Washington: Cina e Russia. Infatti, di recente, anche Pechino ha fatto irruzione sulla scena artica, mossa principalmente da scopi commerciali e dal desiderio di accedere alle tanto agognate risorse nordiche.
Non potendo contare sulla geografia per legittimare le proprie rivendicazioni, la Cina si sta impegnando assiduamente nella ricerca scientifica, conscia che, come affermato dalla politologa svedese Lisbeth Lewander, qui più che altrove la scienza gioca un ruolo decisivo per l’elaborazione delle strategie sia militare che commerciali. Parallelamente, sul piano diplomatico, nel 2013 Pechino è riuscita a ottenere il titolo di osservatore permanente del Consiglio Artico. Alla luce di questo, è assolutamente comprensibile la preoccupazione di Washington, specialmente se considerato che, al momento, in termini di investimenti, gli Stati Uniti non si trovano certo in vantaggio rispetto ai propri sfidanti cinesi e russi.
Competizione sì, ma non conflitto
Ma se la competizione per l’Artide tra le tre grandi potenze è un fatto ormai assodato, non è affatto detto che sfocerà in un conflitto armato tra Russia e Cina da un lato e Stati Uniti dall’altro. Anzi, tale ipotesi sembra al momento alquanto improbabile per tre ragioni. Per prima cosa, un completo allineamento tra Repubblica popolare cinese e Federazione Russa appare piuttosto inverosimile, data l’importanza che Mosca attribuisce all’estremo Nord. A dimostrazione di ciò, Mosca ha siglato accordi anche con l’India e con il Giappone, storici contendenti di Pechino.
Secondariamente, le tratte navali nordiche non sono ancora pienamente agibili e necessitano di ulteriori investimenti per diventarlo. Da ultimo, anche ammettendo un’eventuale (improbabile) conquista dell’Artico da parte di uno di questi tre attori, ciò non garantirebbe automaticamente al nuovo dominus regionale l’egemonia globale; in fin dei conti, quello artico è solo un mare, o al limite – come è ora in voga definirlo – il più piccolo tra tutti gli oceani.
L’Artico costituisce un nodo cruciale per i rapporti tra Stati Uniti e Russia e potrebbe rappresentare una nuova frontiera di scontro o un possibile campo di cooperazione