I candidati per gli incarichi europei ci sono, ma sembrano tutti molto “fake”…
Era il 9 maggio 2014, solo cinque anni fa. A Firenze l’Istituto Universitario Europeo organizzava, come ogni anno, The State of Union, una grande parata sul meglio dell’intellighenzia europea. Si doveva votare alle europee e decidere il nuovo Presidente della Commissione. Quattro dei cinque candidati nella corsa al dopo Barroso si sfidavano dal palco: José Bové, Jean-Claude Juncker, Martin Schulz e Guy Verhofstadt. Mancava solo Alexis Tsipras della Sinistra europea. Alla fine vinse Juncker ma poiché era scontato che Ppe e socialisti avrebbero avuto la maggioranza dei seggi era stato possibile stringere un accordo tra Juncker e Schultz per dividersi le poltrone tra Commissione e Parlamento.
Ieri e oggi, sempre a Firenze, The State of Union ha replicato il format per le elezioni del 26 maggio. Ma con qualche significativa differenza. Tutti e quattro i candidati scelti dalle rispettive famiglie politiche (tranne i liberali che hanno messo in campo sette nomi tra cui la Bonino) ossia Manfred Weber per il Ppe, Frans Timmermans per il Pse, Ska Keller per i Verdi e Guy Verhofstadt per Alde (in primo tempo prevista la Bonino) già in partenza sapevano che nessuno di loro avrebbe potuto aspirare alla poltrona attualmente occupata da Jean-Claude Juncker.
Passi il fatto che i messaggi dei cosiddetti “Spitzenkandidaten” sono stati deboli e lontani dai cittadini elettori, anche fisicamente (Villa Salviati a Fiesole non può certo essere considerata una location proletaria). Passi anche il fatto che i candidati non sono riusciti a differenziare bene le loro posizioni tutte, indistintamente, a favore delle riforme istituzionali, delle nuove politiche di accoglienza e asilo, a favore della trasparenza, della sostenibilità ambientale e della lotta all’evasione fiscale.
L’incognita dei sovranisti (Orban sospeso dal Ppe e Salvini che cerca improbabili alleanze con i popolari) ma soprattutto la mancanza di una maggioranza di seggi Ppe e socialisti sta rendendo tutto più difficile.
Per cui il Consiglio Europeo di Bruxelles del 20 e 21 giugno (che in linea teorica dovrebbe designare il nuovo Presidente della Commissione) già si annuncia come la pietra tombale sul meccanismo dei candidati prescelti (“Spitzenkandidaten”).
Troppe, del resto, sono le variabili che coinvolgono l’assegnazione degli incarichi europei. La prima presidenza da coprire sarà quella del Parlamento, dove l’attuale Presidente Antonio Tajani si è già ricandidato per il Ppe. Ma occorrerà prima vedere quanti voti otterrà Forza Italia. Non è escluso che siano i liberali, come terza forza, ad aggiudicarsi la presidenza proprio con Verhofstadft. Poi sarà la volta del Presidente della Commissione la cui poltrona è però legata a quella del Presidente del Consiglio Europeo che scadrà a fine anno. Nel caso in cui la cancelliera tedesca, Angela Merkel decidesse di candidarsi per il dopo Tusk sarebbe molto difficile per l’altro tedesco Weber (sia pure al netto di un curriculum assai debole) aspirare alla Commissione.
Tanto che pure per questi motivi si alimentano le voci che vedrebbero Michel Barnier, il francese negoziatore della Brexit, l’uomo più adatto per quel posto. Il tutto senza contare il gioco degli equilibri politico-istituzionali con un’altra poltrona di peso che dovrà trovare un candidato, ossia la presidenza della Bce dove l’italiano Mario Draghi concluderà in autunno il suo mandato. Insomma: i candidati ci sono ma sembrano tutti molto, molto, “fake”.
@pelosigerardo
Era il 9 maggio 2014, solo cinque anni fa. A Firenze l’Istituto Universitario Europeo organizzava, come ogni anno, The State of Union, una grande parata sul meglio dell’intellighenzia europea. Si doveva votare alle europee e decidere il nuovo Presidente della Commissione. Quattro dei cinque candidati nella corsa al dopo Barroso si sfidavano dal palco: José Bové, Jean-Claude Juncker, Martin Schulz e Guy Verhofstadt. Mancava solo Alexis Tsipras della Sinistra europea. Alla fine vinse Juncker ma poiché era scontato che Ppe e socialisti avrebbero avuto la maggioranza dei seggi era stato possibile stringere un accordo tra Juncker e Schultz per dividersi le poltrone tra Commissione e Parlamento.