Alla già drammatica situazione della fragile nazione si aggiunge un evento dalle tragiche conseguenze
La morte del Presidente di Haiti Jovenel Moïse inasprisce ulteriormente la drammatica condizione della fragile nazione caraibica, facendola piombare in un caos istituzionale ancor più grave rispetto ai precedenti, in parallelo alla disastrosa qualità della vita dei suoi abitanti. Poteri assunti dal Primo Ministro Claude Joseph, che proprio questa settimana sarebbe stato sostituito da Ariel Henry, nominato da Moïse ma non ancora ufficialmente con le deleghe per il nuovo ruolo: ora il rischio è che non ci sia una corretta catena di comando alla guida delle istituzioni haitiane.
“Atto barbaro”
“Un atto atroce, inumano, barbaro”: così il Primo Ministro Joseph, che parla di un omicidio compiuto da “stranieri che parlano inglese e spagnolo”. Per Joseph la situazione della sicurezza è “sotto controllo”, ma è stato proclamato lo stato d’assedio, che permette il divieto dei raggruppamenti, l’impiego dei militari per compiti della polizia, l’ampliamento dei poteri esecutivi. Un passaggio importante quello sullo stop alle manifestazioni, in un Paese che ha visto negli ultimi 3 anni numerose proteste contro il Presidente Moïse.
Joseph ha dichiarato che “tutte le misure per garantire la continuità nel potere sono state prese” e che “la democrazia e la repubblica vinceranno”. Ma si teme ora un dualismo con Henry, de facto successore di Joseph ma senza veri poteri, non essendo stato ufficialmente investito del compito. La costituzione haitiana, in caso di impossibilità del Presidente, prevede che siano i Ministri, sotto la guida del Primo Ministro, a prendere il controllo finché non verranno indette nuove elezioni.
Le proteste contro Moïse
Moïse non è stato un Presidente particolarmente amato dai suoi cittadini: eletto per la prima volta nel 2015, la sua vittoria è stata prima contestata e poi annullata in seguito alla delibera di una commissione indipendente che ha evidenziato una frode di massa. Il Paese ha vissuto un pericoloso stallo fino al 2017 al quale, tra l’altro, si è aggiunto l’uragano Matthew che, da solo, ha causato danni e perdite economiche pari al 32% del Pil del 2015.
Terremoto, colera e coronavirus sono stati deleteri per Haiti, lo Stato più povero dell’emisfero ovest e delle Americhe. Una posizione sconfortante, la 169ª su 189, nell’Indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite. Non solo: su circa 11 milioni di abitanti, secondo la Banca Mondiale, più di 6 milioni vivono sotto la soglia di povertà, ovvero con meno di 2.41 dollari al giorno, e altri 2 milioni e mezzo non raggiungono nemmeno la cifra di 1 dollaro e 23 centesimi. Solo il 24% della popolazione totale ha accesso ai sanitari, con le acque reflue non trattate in tutto il Paese.
Dalle malattie al controllo dei dissidenti
Una serie di problematiche senza precedenti, causate sia dai disastri naturali che dagli addetti ai lavori. Il Paese, infatti, è andato al voto nel 2010, con la popolazione decimata — fino a 300mila morti secondo l’Onu e l’agenzia statunitense Usgs — dal cataclisma avvenuto lo scorso decennio. Per giunta, la Repubblica caraibica ha affrontato un’infezione diarroica tragicamente portata nel 2014 sull’isola dai caschi blu delle Nazioni Unite, che mai ha ammesso le proprie responsabilità nonostante i numerosi studi scientifici realizzati sul caso.
È in questo contesto che si può meglio comprendere la rabbia diffusa dei cittadini haitiani che, per tutto il 2019, il 2020 e anche nel 2021 hanno manifestato a più riprese contro il Governo del Presidente assassinato. Moïse ha governato per decreto da gennaio 2020 senza alcun controllo da parte delle altre istituzioni del Paese, rafforzando le agenzie d’intelligence per il controllo degli oppositori e espandendo il concetto di terrorismo per includere le semplici proteste. La sua morte, e le gravi condizioni nelle quali riversa la moglie, fanno piombare il Paese in un caos ancor più profondo di quanto già non fosse.
“Un atto atroce, inumano, barbaro”: così il Primo Ministro Joseph, che parla di un omicidio compiuto da “stranieri che parlano inglese e spagnolo”. Per Joseph la situazione della sicurezza è “sotto controllo”, ma è stato proclamato lo stato d’assedio, che permette il divieto dei raggruppamenti, l’impiego dei militari per compiti della polizia, l’ampliamento dei poteri esecutivi. Un passaggio importante quello sullo stop alle manifestazioni, in un Paese che ha visto negli ultimi 3 anni numerose proteste contro il Presidente Moïse.