La visita di Ghani si lega al ritiro delle truppe Usa dall’Afghanistan: per Washington significa mettere fine a quasi vent’anni di guerra, per Kabul vuol dire il collasso delle istituzioni
Venerdì il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha incontrato alla Casa Bianca il suo omologo afghano, Ashraf Ghani. La visita di Ghani si lega al ritiro delle truppe americane e Nato dall’Afghanistan che si completerà il prossimo 11 settembre: per Washington significa mettere fine a quasi vent’anni di guerra; per Kabul, invece, potrebbe significare il collasso delle sue istituzioni.
Il collasso dell’Afghanistan entro sei mesi
Stando all’intelligence americana, in assenza del supporto militare degli Stati Uniti, il Governo afghano non riuscirà a resistere più di sei mesi prima di venire rovesciato dai Talebani, che potrebbero allora instaurare un nuovo regime repressivo e accogliente per le organizzazioni terroristiche come al-Qaeda.
Quando finiranno di andarsene, gli Stati Uniti non si lasceranno dietro un Paese stabile e sicuro, né per i cittadini afghani e forse nemmeno per quelli americani: il segretario alla Difesa Lloyd Austin pensa che nel giro di un paio d’anni un gruppo come al-Qaeda acquisirà capacità sufficienti in Afghanistan per organizzare attentati sul suolo statunitense.
Cosa ha detto Biden
L’amministrazione americana riconosce che il ritiro porta con sé dei rischi. Venerdì Biden ha promesso che, nonostante il rientro in patria dei soldati, i rapporti con Kabul proseguiranno e Washington continuerà a offrire supporto militare, economico e politico al Governo afghano. Per Biden la “costruzione della nazione” (nation-building) è però un compito che non spetta all’America, ma all’Afghanistan. “Gli afghani”, ha detto durante l’incontro con Ghani, “dovranno decidere il loro futuro. E la violenza insensata deve finire, ma sarà molto difficile. Ma noi saremo con voi, e faremo del nostro meglio per assicuraci che abbiate gli strumenti di cui avete bisogno”.
L’avanzata dei Talebani
Senza il sostegno aereo americano, le forze afghane non sono in grado di contrastare i Talebani. Che stanno peraltro avanzando, specialmente nelle ultime settimane, puntando alla capitale.
Dei 370 distretti in cui si divide l’Afghanistan, 144 sono già sotto il loro controllo e 171 sono contesi con le autorità statali. I Talebani hanno ampliato la presa sul territorio andando oltre le roccaforti nel sud. L’offensiva interessa soprattutto le aree settentrionali: martedì scorso hanno preso il controllo del principale valico alla frontiera con il Tagikistan e raggiunto la periferia di Mazar-i Sharif, città importante e polo logistico locale; mercoledì si sono scontrati con l’esercito nella città di Konduz. Nei giorni successivi le forze di sicurezza afghane hanno riconquistato sei distretti tra il nord e il sud, ma il quadro generale rimane negativo.
Risolvere la questione in maniera diplomatica è altrettanto difficile. Le trattative di pace per la condivisione del potere politico tra i Talebani e Kabul sono infatti estremamente complicate, sia per lo squilibrio nei rapporti di forza, sia perché i primi si rifiutano di negoziare fino a che le truppe straniere non avranno lasciato il Paese. Non ci sono inoltre garanzie che rispetteranno gli impegni presi: hanno detto di essersi dissociati da al-Qaeda, ma un rapporto delle Nazioni Unite sostiene che tra le due organizzazioni ci siano ancora rapporti stretti.
Nulla di fatto per Ghani
Ghani ha detto di rispettare la decisione degli Stati Uniti. Se la sua visita alla Casa Bianca doveva servire a influenzare in qualche modo le decisioni dell’amministrazione Biden, non sembra allora aver avuto successo: il termine ultimo dell’11 settembre non è in discussione. Anche l’opinione pubblica americana è nettamente contraria al proseguimento dell’impegno in Afghanistan.