La strategia degli Stati Uniti mira a inserire Delhi nello schieramento anticinese in Asia. Ma la forte dipendenza indiana dall’export militare e dalla tecnologia russa complica le cose
Nel 2006, l’ex ambasciatore statunitense in India Robert Blackwill affermò che nei successivi 10-15 anni, ossia non appena l’azione esterna di Pechino fosse diventata più aggressiva, avremmo assistito a un “naturale avvicinamento” tra Delhi e Washington. Tale previsione, all’epoca considerata azzardata, appare oggi, al contrario, estremamente accurata. In effetti, i recenti avvenimenti internazionali sembrano favorire l’apertura di un nuovo capitolo delle complesse relazioni indo-americane. In particolare, la crescente minaccia posta dall’ascesa del comune “nemico” cinese pare in grado di appianare le divergenze, comprese quelle emerse sull’Ucraina, che hanno frenato nel tempo il consolidamento del partenariato strategico voluto da G.W. Bush e A.B. Vajpayee, nei primi anni duemila.
Un riallineamento tra Delhi e Washington innescato dall’assertività di Pechino confermerebbe, peraltro, un dato storico dei rapporti tra i due Paesi, plasmati dalla diversa percezione della minaccia cinese nel corso del tempo. Non per caso, gli anni di maggiore intesa tra India e Stati Uniti furono quelli a cavallo tra i ‘50 e i ’60 quando la pressione cinese sui confini indiani portò allo scoppio del conflitto sull’Himalaya, nel 1962. Per il subcontinente le relazioni con gli Usa e, di conseguenza, quelle con i russi, sono state spesso legate alla ricerca di supporto nel confronto permanente con il regime cinese, alleato storico del Pakistan. Lo stesso trattato di amicizia indo-sovietico, la cui firma fu ritardata anche per timore della reazione americana, fu siglato solo nell’agosto 1971, poche settimane dopo la visita segreta di Kissinger a Pechino, via Islamabad, che segnava il disgelo delle relazioni Usa-Cina e la conseguente fine del sostegno a Delhi nelle guerre indo-pakistane. Da allora, in risposta all’isolamento, Delhi ha consolidato i rapporti con Mosca che si è imposta come partner indispensabile per la fornitura di tecnologie in settori strategici, come il nucleare, a lungo negate dagli Stati Uniti.
Tuttavia, oggi qualcosa sembra essere cambiato. Anzitutto, in nome della priorità assoluta accordata alle dinamiche di sicurezza nell’Indo-Pacifico, Washington sembra disposta a sorvolare sulla mancata condanna indiana dell’invasione dell’Ucraina e proseguire il percorso di riallineamento con Delhi. In questo quadro, va inserita la votazione della Camera statunitense sull’estensione della deroga alle sanzioni contro l’India relative all’acquisto dei sistemi missilistici di difesa aerea russi S-400. Tale decisione, dimostra una rinnovata attenzione nei confronti delle esigenze del partner indiano che mira a dispiegare gli S-400 sul fronte himalayano, dove si registrano ripetute incursioni aeree cinesi lungo la linea di controllo effettivo che delimita il confine tra i due Stati.
Nel complesso, la strategia statunitense mira a inserire Delhi nello schieramento anticinese che va delineandosi in Asia. Tuttavia, la forte dipendenza indiana dall’export militare e dalla tecnologia russa, fattore che rende impossibile per Delhi sanzionare Mosca, complica la realizzazione dei piani statunitensi. Anche per questo, Washington sta cercando di trasformare le contraddizioni sollevate dal conflitto in Europa in opportunità. In quest’ottica, il pragmatismo della politica estera indiana, guidata dal Ministro degli Esteri Jaishankar, ex ambasciatore negli Usa, lascia ampi margini di manovra agli americani. Come dimostra l’aumento esponenziale delle importazioni di petrolio russo a prezzo scontato, utili al governo Modi per controllare l’inflazione, realismo e perseguimento dell’interesse nazionale dominano le scelte indiane. Di conseguenza, posta di fronte a solide garanzie di sicurezza e partenariati alternativi, Delhi non dovrebbe avere molta difficoltà a riorientare la sua politica estera, come già accaduto in passato. Questo aspetto non è sfuggito all’influente Sottosegretario di Stato Victoria Nuland la quale, lo scorso marzo, ha annunciato ai media indiani l’intenzione di rimpiazzare la tecnologia russa, anche in ambito militare, con quella occidentale.
In questa fase, gli Stati Uniti, già saldamente sul podio dei principali fornitori di armamenti dell’India, premono anche sul tema dell’inaffidabilità russa per consolidare il partenariato con la difesa indiana. Lo sforzo bellico delle forze di Mosca, più oneroso del previsto in termini di uomini e mezzi, e le sanzioni internazionali, infatti, potrebbero impattare negativamente sull’export militare russo, da cui le forze armate indiane dipendono anche per effettuare le manutenzioni. I possibili contraccolpi derivanti dal conflitto in Ucraina animano anche il dibattito interno alla comunità strategica indiana che teme, soprattutto, lo scivolamento di una Russia indebolita nell’orbita cinese. Altrettanto preoccupante è anche la questione delle prestazioni non esaltanti dei sistemi d’arma russi, abbondantemente presenti nei magazzini delle forze armate indiane.
In questo contesto, l’India rischia di essere più vulnerabile sul campo e di vedere indebolita la propria posizione negoziale nella disputa in corso con la Cina sul Ladakh. Per evitare questo scenario, Delhi vorrebbe accelerare i processi di diversificazione e indigenizzazione del settore difesa rilanciando le iniziative Make in India e Atmanirbhar Bharat (India autosufficiente), cavalli di battaglia del governo nazionalista di Modi. Tuttavia, per riuscire in questa sfida, Delhi ha bisogno di sostegno e Washington, già primo partner commerciale e principale fonte di investimenti per il subcontinente, sarebbe il candidato ideale. In effetti, con la recente approvazione del National Defense Authorization Act per il 2023, gli Usa hanno dichiarato di voler rafforzare la cooperazione di difesa con l’India in tutti i settori chiave: ricerca e sviluppo, intelligence, caccia di nuova generazione e dimensione cyber.
Attualmente, nonostante le dichiarazioni d’intenti, la presenza dell’Indo-Pacifico in cima all’agenda degli Stati Uniti è la migliore garanzia possibile per l’India di un futuro sviluppo delle relazioni. Nella regione, infatti, i due Paesi condividono visioni e strategie, tra cui la tutela della libera navigazione negli oceani Indiano e Pacifico. Inoltre, l’India ha recentemente aderito all’Indo-Pacific Economic Framework, il braccio economico della strategia regionale statunitense volta a contrastare l’influenza cinese. Tra l’altro, l’asse con Delhi sull’Indo-Pacifico offre a Washington un’ulteriore occasione di mettere in risalto le contraddizioni insite nelle relazioni russo-indiane. Delhi e Mosca, infatti, perseguono obiettivi diversi nell’area e quest’ultima rifiuta la definizione stessa di Indo-Pacifico, considerata poco inclusiva e apertamente anticinese. Inoltre, Mosca non ha mai risolto le dispute territoriali con Tokyo e i rapporti tra i due Paesi si sono ulteriormente deteriorati a causa delle sanzioni applicate dal Governo Kishida dopo l’attacco all’Ucraina. Il Giappone è partner rilevante per l’India e fa parte, insieme con Australia e Usa, del Quadrilateral Security Dialogue (Quad), il forum strategico informale incentrato sulla dimensione marittima dell’Indo-Pacifico che l’amministrazione Biden vuole rendere elemento portante della nuova architettura di sicurezza regionale.
Nel complesso, un rafforzamento dell’asse Delhi-Washington nell’Indo-Pacifico, favorirebbe ulteriori convergenze a partire dal Medio Oriente, dove gli Usa hanno lanciato un “Quad dell’Asia Occidentale”, ancora in fase embrionale, con India, Emirati Arabi e Israele, passando per l’Afghanistan dei talebani, che offre ampi margini di cooperazione in materia di antiterrorismo. Tuttavia, il riallineamento tra India e Stati Uniti, seppur “naturale”, dovrebbe uscire dalla fase della necessità per entrare in quella della scelta politica deliberata. Solo così, tale rapporto potrà esprimere davvero tutto il suo potenziale, nell’Indo-Pacifico e oltre.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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Nel 2006, l’ex ambasciatore statunitense in India Robert Blackwill affermò che nei successivi 10-15 anni, ossia non appena l’azione esterna di Pechino fosse diventata più aggressiva, avremmo assistito a un “naturale avvicinamento” tra Delhi e Washington. Tale previsione, all’epoca considerata azzardata, appare oggi, al contrario, estremamente accurata. In effetti, i recenti avvenimenti internazionali sembrano favorire l’apertura di un nuovo capitolo delle complesse relazioni indo-americane. In particolare, la crescente minaccia posta dall’ascesa del comune “nemico” cinese pare in grado di appianare le divergenze, comprese quelle emerse sull’Ucraina, che hanno frenato nel tempo il consolidamento del partenariato strategico voluto da G.W. Bush e A.B. Vajpayee, nei primi anni duemila.