Le Isole Salomone, strategiche per gli Stati Uniti ai fini di un eventuale scontro con la Cina, avrebbero intenzione di firmare un accordo securitario-militare con la Cina. Quali potrebbero essere le implicazioni geopolitiche?
Martedì Zed Seselja, Ministro australiano degli Affari del Pacifico, è atterrato a Honiara, capitale delle Isole Salomone, per una visita di due giorni. Una visita rara e non programmata, e dunque motivata da un’urgenza avvertita da Canberra come particolarmente grave: le Isole Salomone, che hanno nell’Australia la loro partner sulla sicurezza di riferimento, avrebbero intenzione di firmare un accordo securitario-militare con la Cina. Se così dovesse essere – il Primo Ministro salomonese nega però di voler fare della nazione una postazione armata di Pechino –, le implicazioni geopolitiche sarebbero profonde.
Valore geografico e contromosse diplomatiche
Il patto, infatti, viene visto dagli Stati Uniti come una minaccia all’egemonia loro e degli alleati (Australia in primis) sul Pacifico, l’area dove si concentra la competizione con la Cina. Le Isole Salomone sono importanti da un punto di vista geografico-strategico ai fini di un eventuale scontro militare: l’arcipelago fu teatro di combattimenti tra l’Impero giapponese e gli americani nella Seconda guerra mondiale. E quell’accordo sulla sicurezza potrebbe inoltre costituire un precedente per l’espansione della Cina nella regione: Pechino, al momento, ha una sola base militare all’estero, a Gibuti.
La visita di Seselja a Honiara è parte della risposta filoamericana alla mossa cinese. Ad aprile anche Kurt Campbell, coordinatore dell’Indo-Pacifico dell’amministrazione Biden, sarà nelle Isole Salomone, come anticipato dal Financial Times. Gli Stati Uniti, inoltre, dicono di voler presto riaprire un’ambasciata nel paese per garantirsi una presenza diplomatica diretta.
L’Australia tra elezioni e sicurezza
Messo da parte l’elemento prettamente geopolitico, l’arrivo del Ministro Seselja risponde anche a una necessità elettorale: il 21 maggio in Australia ci saranno le elezioni generali e uno dei temi di confronto tra i partiti – quelli principali sono altri: l’aumento del costo della vita, innanzitutto – è l’attivismo della Cina nel Pacifico. Il Primo Ministro conservatore di Scott Morrison deve difendersi dalle accuse di chi dice che non ha fatto abbastanza per dissuadere i Governi della zona dall’affidarsi a Pechino.
La Cina, in realtà, è di casa anche in Australia. Nei giorni scorsi Canberra ha per l’appunto annunciato un investimento di 1,1 miliardi di dollari per un secondo porto a Darwin, nel nord del Paese, hub importante per le esportazioni di idrocarburi e minerali. Dietro all’intervento pubblico c’è l’intenzione di competere con il porto commerciale-militare già presente a Darwin che una compagnia cinese (Landbridge, legata all’apparato della difesa di Pechino) ha affittato per novantanove anni.
Cosa dicono gli americani
Il generale americano David Berger, comandante del Corpo dei Marines, è stato in Australia e si è espresso anche lui sull’accordo tra le Isole Salomone e la Cina, definendolo “troppo bello per essere vero”: quello che vuole dire è che dietro ai vantaggi per Honiara esibiti da Pechino si nasconderebbero insidie e vincoli alla sovranità. L’accordo prevedrebbe la possibilità per la Cina di inviare poliziotti e soldati nelle Isole Salomone per tutelare l’ordine pubblico e – tra le altre cose – di utilizzare il paese come postazione di navigazione, ad esempio per ricaricare di combustibile le imbarcazioni dell’esercito.
Berger ha detto che Washington deve mostrare umiltà nelle relazioni con i Governi del Pacifico, per non dire loro cosa fare e cosa no; ma contemporaneamente deve essere chiara sulle possibili conseguenze di lungo termine delle loro scelte. Il generale ha riconosciuto anche che la comprensione degli affari regionali da parte degli Stati Uniti è limitata, e che per questo hanno bisogno di affidarsi agli alleati come l’Australia, inseriti geograficamente in quel contesto.
Il Primo Ministro delle Isole Solomone, Manasseh Sogavare, ha voluto rassicurare l’Australia in merito alle sue intenzioni con la Cina ma ha detto che per Honiara è “molto offensivo venire bollati come inadatti a gestire i nostri affari sovrani”. La linea di Sogavare verso Pechino non è però rappresentativa dell’intera politica salomonese. Il capo dell’opposizione, Matthew Wale, è ad esempio molto critico e pensa che l’accordo finirà per “minacciare la fragile unità della nazione”, riferendosi alle tensioni tra l’isola di Malaita (la più popolosa dell’arcipelago) e le autorità centrali; tensioni che, oltre alle dinamiche interne, sono infatti alimentate dai rapporti con la Cina.
Il patto, infatti, viene visto dagli Stati Uniti come una minaccia all’egemonia loro e degli alleati (Australia in primis) sul Pacifico, l’area dove si concentra la competizione con la Cina. Le Isole Salomone sono importanti da un punto di vista geografico-strategico ai fini di un eventuale scontro militare: l’arcipelago fu teatro di combattimenti tra l’Impero giapponese e gli americani nella Seconda guerra mondiale. E quell’accordo sulla sicurezza potrebbe inoltre costituire un precedente per l’espansione della Cina nella regione: Pechino, al momento, ha una sola base militare all’estero, a Gibuti.