Israele: è il vaccino l’ultima arma politica di Netanyahu
Israele sta portando avanti la più fruttuosa campagna vaccinale al mondo. Inoltre, è di ieri sera la notizia secondo cui lo Stato avrebbe inviato dosi all'Autorità Palestinese per scopi umanitari
Israele sta portando avanti la più fruttuosa campagna vaccinale al mondo. Inoltre, è di ieri sera la notizia secondo cui lo Stato avrebbe inviato dosi all’Autorità Palestinese per scopi umanitari
Sono i vaccini anti Covid l’ultima arma politica di Benjamin Netanyahu per restare alla guida di Israele e mostrarsi come leader efficiente e benevolo. Il suo Governo, caduto alla fine di dicembre, è stato infatti in grado di organizzare e gestire la più fruttuosa campagna vaccinale del mondo, portando Israele a essere il primo Paese al mondo per dosi inoculate in percentuale alla popolazione (superato il 15% in due settimane) e il terzo per il totale di dosi (quasi 1,5 milioni).
La campagna vaccinale
Il tutto, grazie a un potente e collaudato apparato che vede centri vaccinali aperti 24 ore su 24 tutti i giorni, alcuni anche di Shabbat e capacità di stoccaggio e distribuzione notevoli. Non solo: Israele, tra i primi Paesi al mondo, ha sottoscritto accordi con tutti i produttori di vaccini, assicurandosi, spesso a caro prezzo, le dosi necessarie per vaccinare l’intera popolazione e più.
Solo da Pfizer, Netanyahu ha acquistato 8 milioni di dosi, capaci di vaccinare quasi la metà della popolazione israeliana che assomma a poco più di 9 milioni di persone. Dosi molte delle quali già consegnate e conservate negli hangar refrigerati militari nel deserto del Neghev. Per assicurarsi queste dosi, Israele ha pagato 60 dollari a dose, il doppio del prezzo solito, lasciando però gratuito ai suoi abitanti il vaccino come gratuiti sono i test. Altri vaccini sono stati acquistati da Moderna e dovrebbero arrivare nei prossimi giorni, dopo che si era temuto che la campagna che viaggia a ritmi di 150.000 vaccini al giorno, si sarebbe dovuta fermare per carenza di dosi.
Tra i più riluttanti, le comunità arabe, tanto che molti israeliani non arabi si sono fatti vaccinare nelle città arabe per non aspettare troppo. Proprio sul successo di questa campagna, Netanyahu punterà a marzo quando si ripresenterà per le quarte elezioni in due anni. Ma nonostante la campagna vaccinale, i contagi non solo continuano a salire ma addirittura raggiungono cifre record di 8mila al giorno, rendendo necessario un lockdown di due settimane, il terzo dall’inizio della pandemia.
Il Paese si è già chiuso a febbraio e poi a ottobre in occasione delle feste religiose ebraiche e da stasera si chiuderà di nuovo. Impossibile per i non israeliani, anche con permessi, entrare nel Paese da settimane e tutti gli israeliani che fanno ritorno sono soggetti a quarantena in un Covid hotel. Proprio il nuovo lockdown ha spinto Netanyahu a chiedere alla corte il rinvio dell’ultima udienza preparatoria del suo processo, prevista per il 13 febbraio. Questa dovrebbe essere l’ultima udienza prima che a febbraio si vada in aula con i testimoni, nel processo per il quale in tre casi Netanyahu è accusato di frode, violazione della fiducia e di corruzione.
Le dosi all’Autorità Palestinese
Ma i vaccini potrebbero anche essere un’arma politica di Netanyahu nei confronti dell’Autorità Palestinese. Questa infatti sta vivendo una grave crisi a causa del coronavirus, con circa 2000 casi al giorno su 5milioni di abitanti ma con sette volte in meno il numero di tamponi eseguiti in Israele (che sono quattro volte in più in percentuale di quelli fatti in Italia). Alcune Ong, tra le quali Amnesty International, accusano Israele di non voler offrire il vaccino ai palestinesi. Ma secondo gli accordi di Oslo del 1993, che regolano i rapporti tra i due Stati, è l’Autorità Palestinese, non Israele, responsabile per la salute dei palestinesi in Cisgiordania, tant’è vero che i palestinesi residenti a Gerusalemme est, sotto controllo israeliano, riescono a vaccinarsi in Israele.
Fino ad oggi, l’Autorità Palestinese non ha chiesto aiuto a Israele per l’approvvigionamento di vaccini anti Covid e ha provveduto autonomamente. Ieri sera la televisione israeliana ha dato notizia di alcune dosi inviate da Israele verso Ramallah per scopi umanitari e che questa sarebbe anche pronta a chiedere molte più dosi, ma non ci sono conferme da parte palestinese. L’AP avrebbe una accordo con la Russia per l’acquisto di 4 milioni di dosi del vaccino, che però arriveranno a fine gennaio per cominciare le vaccinazioni a febbraio. Inoltre, il Governo di Ramallah confida sull’aiuto di diversi donatori, tra i quali anche Cina, Gran Bretagna e Unione europea, per vaccinare almeno il 20% dei 2,5 milioni di palestinesi (Gaza esclusa). L’Autorità Palestinese spera di ottenere vaccini attraverso Covax, una partnership guidata dall’Oms con organizzazioni umanitarie che mira a fornire vaccini gratuiti fino al 20% della popolazione dei Paesi poveri, molti dei quali sono stati particolarmente colpiti dalla pandemia. Ma il programma si è assicurato solo una frazione dei due miliardi di dosi che spera di acquistare quest’anno, non ha ancora confermato alcun accordo effettivo ed è a corto di liquidità.
A complicare le cose è il fatto che i palestinesi hanno una sola unità di refrigerazione, nella città di Gerico, in grado di conservare il vaccino Pfizer/BioNTech. Per tutte queste difficoltà Ramallah sarebbe pronta a chiedere aiuto a Israele sui vaccini e Netanyahu pronto anche a concederli. Ma non senza un tornaconto. Vaccinare anche i palestinesi, per Israele significa essenzialmente tre cose: 1) aumentare il credito e la benevolenza dei Paesi arabi con i quali ha siglato gli Accordi di Abramo e assicurarsi quella dei Paesi arabi che sono alla finestra pronti a siglare l’intesa; 2) favorire le imprese israeliane che adoperano la manodopera della Cisgiordania e impedire il diffondersi del contagio in Israele; 3) favorire l’apertura turistica di Israele visto che i luoghi sacri palestinesi legati al cristianesimo, come Betlemme, sono parte integrante del circuito turistico di Terra Santa. In ogni caso, è una vittoria per Netanyahu. L’ennesima in questi anni.
Sono i vaccini anti Covid l’ultima arma politica di Benjamin Netanyahu per restare alla guida di Israele e mostrarsi come leader efficiente e benevolo. Il suo Governo, caduto alla fine di dicembre, è stato infatti in grado di organizzare e gestire la più fruttuosa campagna vaccinale del mondo, portando Israele a essere il primo Paese al mondo per dosi inoculate in percentuale alla popolazione (superato il 15% in due settimane) e il terzo per il totale di dosi (quasi 1,5 milioni).
La campagna vaccinale
Il tutto, grazie a un potente e collaudato apparato che vede centri vaccinali aperti 24 ore su 24 tutti i giorni, alcuni anche di Shabbat e capacità di stoccaggio e distribuzione notevoli. Non solo: Israele, tra i primi Paesi al mondo, ha sottoscritto accordi con tutti i produttori di vaccini, assicurandosi, spesso a caro prezzo, le dosi necessarie per vaccinare l’intera popolazione e più.
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